Uniti resistiamo, divisi cadiamo.
Prendo in prestito quest’antico motto inglese per unirmi in modo silenzioso alle rumorose e festose celebrazioni che oggi stanno dando vita in Italia al 150° anniversario dell’Unità, avvenuta il 17 marzo del 1861.
Allo stesso tempo si elevano i malumori su quanto ci sia effettivamente da festeggiare, in un momento poco felice per l’immagine della Penisola e in un periodo di crisi globale che affligge tutto il pianeta, senza dimenticare le divisioni che affiorano pure all’interno del nostro Paese, fra leghisti, nordisti, altoatesini, separatisti e chi più ne ha, più ne metta.
Queste polemiche fanno riaffiorare nella mia mente un episodio che qualche tempo fa raccontò un giornalista in televisione (purtroppo non ricordo più chi sia stato).
Il giornalista raccontò che si trovava a New York, e chiacchierando con un taxista pakistano questi gli domandò, una volta saputa la sua nazionalità, quali fossero i nostri nemici, i nemici degli italiani. Ebbene lui colto dall’imbarazzo non seppe rispondere, quando riflettendo gli venne in mente, che noi italiani li abbiamo eccome i nemici, e sono i nostri vicini.
Sono i livornesi per i pisani, i laziali per i romanisti, i catanesi per i palermitani, i perugini per gli aretini e potrei continuare all’infinito per raccontare di rivalità fra vicini che poi si riflettono nella politica con comunisti contro fascisti, berlusconiani contro antiberlusconiani e nel calcio juventini contro tutti, milanisti contro interisti, sampdoriani contro genoani e mi fermo qui per evitare di dilungarmi in un noiosissimo elenco.
Le ragioni di questo vanno senza dubbio ricercate in secoli e secoli di divisioni fra piccoli e grandi stati, ducati e principati che non hanno fatto altro che incrementare le rivalità da campanile. Ma in Germania è stato lo stesso sino a poco più di vent’anni fa e non si respira certamente la stessa aria.
Eppure noi italiani, escluso l’aberrante momento unitario sotto la bandiera fascista, ci sentiamo veramente uniti in due momenti: di fronte le difficoltà quando siamo i primi a offrire il nostro aiuto solidale a chi è stato colpito da una calamità naturale o una catastrofe, e quando si tratta di qualsivoglia manifestazione sportiva di alto livello, sia essa la Nazionale di calcio o le trepidazioni e le gioie per le sofferenze e le vittorie dei nostri atleti alle Olimpiadi.
Sport e dolore ci uniscono innanzitutto, dunque.
Ma potremmo anche parlare di uomini e opere che ci rendono orgogliosi di essere italiani, e qui l’elenco sarebbe lunghissimo a cominciare dagli artisti, ai musicisti, ai registi e gli scrittori che conferiscono lustro e gloria alla nostra nazione.
Però niente è più chiaro del concetto dell’essere italiani di quanto ha espresso Benigni durante la sua lectio magistralis nel corso del Festival di Sanremo, 51 minuti di storia, orgoglio e dignità italica.
La domanda più scontata che possiamo porci in conclusione è quella se questa Italia, devastata da approssimazione, corruzione, menefreghismo, crisi, sia quella che si sognava durante il Risorgimento.
La risposta non può che essere scontata, ma mi lascia lo spazio anche a una piccola conclusiva riflessione finale.
Oggi, infatti, è anche il giorno di San Patrizio, il giorno in cui in Irlanda e in città colme di emigrati irlandesi come a Boston o a New York, sfilano tutti vestiti di verde, uno dei tre colori che fa parte della nostra bandiera.
Ma il verde è anche il colore della speranza, quella che rimane accesa sul cambiamento o sul miglioramento delle nostre condizioni.
Che sia un verde anniversario per te e per noi, cara amatissima e odiatissima Italia.