Più passa il tempo e più si approfondisce il solco tra il mondo fittizio proiettato dai media di regime e la realtà quotidiana. Le più recenti tecnologie (penso, ad esempio, alla televisione HD) creano scenari sfavillanti, dalle tinte nitide, dagli spazi profondi, prospettici.
Paradossalmente questa realtà finta è più sensoriale e più aggettante dell’universo “reale” ormai offuscato ed appiattito dalle incessanti azioni distruttive perpetrate ai danni della natura. La natura “naturale” è oggi quella dei documentari prodotti da prestigiose reti: la savana, la foresta equatoriale, il deserto... hanno una plasticità ed una forza iconica ignota agli ambienti veri.
Talora ci si chiede se quell’esplosione di vita con animali e piante esotiche non sia, almeno in parte, il risultato di artifici digitali. Molte specie estinte continuano a vivere forse solo nella ri-creazione elettronica. Qui l’Oceano Pacifico pullula ancora di fauna, si slarga in azzurri orizzonti, in cieli sconfinati, si accende di tramonti corruschi..., mentre la concreta desolazione radioattiva di Fukushima si staglia in un silenzio invisibile.
All’evocativa ed esotica Terra del fuoco, nell’estremo sud dell’America oggi si è sovrapposto il paesaggio campano: nella “terra dei fuochi” dai rifiuti tossici si elevano tetre colonne di fumo, si sprigionano aspri colori.
La distanza tra questi universi aumenta sempre più: il diorama attrae con le sue figure fantasmagoriche, ma l’esistenza langue in una cella squallida. Mentre nell’universo catodico la morte è solo un ingrediente narrativo, essa aleggia sulle città-dormitorio simile all’ombra di un angelo dalle ali pesanti, coperte di catrame.
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