Le attività associative in Bocconi sono sottoposte alle decisioni di un organo, il Comitato Attività Studentesche Associative (CASA), che decide quali proposte degli studenti possano essere realizzate e quali invece no. Per quanto il CASA possieda notevoli margini di discrezionalità, i criteri di decisione rispettano sostanzialmente una serie di norme non scritte.
Da circa un anno e mezzo a questa parte si è assistito ad un irrigidimento nel modo in cui la governance della nostra Università vede gli eventi che gli studenti organizzano e molte iniziative anche di un certo interesse sono state bloccate sulla base di un nuovo criterio. Questo criterio , purtroppo, è molto nebuloso ed espande in maniera illimitata la discrezionalità di chi si trova a prendere le decisioni dirette: parliamo dell’idea che esista un conflitto tra le attività organizzate dagli studenti e il valore del “brand” dell’ Università. In sostanza, si sostiene che il brand “Bocconi” possa essere danneggiato dalla presenza in Università di personalità “particolari” e ça va sans dire poco gradite, soprattutto a qualcuno in particolare che cambia, ovviamente, a seconda dell’ospite.
Per risolvere il problema è quindi necessario prendere dei provvedimenti che permettano alla governance di dormire sonni tranquilli e di vagliare attentamente le attività in modo da non esporsi nei confronti dei giornali e delle trasmissioni d’assalto come Report.
Ammesso e non concesso che esista un collegamento tra brand dell’ università e libertà delle associazioni studentesche di invitare chi preferiscono, esaminiamo rapidamente cosa questo implica.
Se si riconosce l’esistenza di un trade-off tra difesa del brand e libertà di espressione, si ammette l’esistenza di un problema che richiede una soluzione. E la soluzione necessaria non può che essere quella di restringere la libertà di espressione e aggiungere ulteriori oneri a carico delle realtà associative come garanzia, così come è stato fatto senza però riuscire a creare un sistema dove vengano prese decisioni coerenti nel tempo. Giusto per citare un esempio, due anni fa Massimo D’Alema venne a parlare in Bocconi, serenamente, privo di controparte politica – cosa ad oggi impensabile ma priva di effetti collaterali sugli studenti.
Si e’ iniziato dicendo che non va bene invitare i condannati, poi che i condannati, pur avendo scontato la pena, sono personaggi non graditi. E buonanotte alla funzione riabilitativa della pena. Infine siamo arrivati alla vicenda di Gianluca Vacchi, il quale ha ricevuto una condanna poi annullata – quindi è tecnicamente incensurato – ma che ha l’irrimediabile colpa di essere stato coinvolto in Vallettopoli.
Un altro di quei brutti e indicibili, da emarginare da parte di chi maschera la propria falsa coscienza con una cultura della vergogna khomeinista. Indubbiamente un personaggio che non frequenta i salotti perbene e un po’ bigotti dai quali escono persone sobrie ed educate che tanto piace esibire durante certe altre passerelle, di cui il recente evento sull’agricoltura biodinamica e’ solo un esempio un po’ comico.
Ci chiediamo: qual è il criterio definitivo e univoco per stabilire chi è gradito e chi invece non lo è? Frequentare i salotti giusti? Esibire un curriculum di tutto rispetto? Avere qualcosa da dire? E anche un volta che si rispondesse a queste domande, chi si arroga il diritto di prendere decisioni nel merito dell’evento? Davvero Briatore non può parlare di imprenditoria perché non è competente come altri nel settore? Se anche non lo fosse, perché gli stessi standard di “moralità ” vengono sospesi di fronte a pregiudicati di maggior peso come Scaroni? Di esempi simili se ne potrebbero fare a decine.
Ovviamente non esiste un criterio univoco: esiste solo l’arbitrio di un Organo o di chi, di volta in volta, decide per esso e anche contro di esso, come sembra succedere un po’ troppo spesso. Tutto questo ovviamente va a scapito proprio di quegli studenti che lavorano e si impegnano per creare un campus attivo e dinamico.
Siamo letteralmente nel caos, ed esso non è un prodotto di un errore di design istituzionale, ovvero di come sono strutturati il CASA o gli organi preposti a prendere le decisioni, ma è il prodotto delle idee che animano molti di coloro che si trovano a prendere decisioni su queste questioni.
Per questo non è risolutivo trovare soluzioni di compromesso tra le istanze contrapposte della libertà associativa e del brand: in questo modo si apre semplicemente la discussione su che requisiti richiedere alle associazioni per dare garanzie all’università. Dopo aver chiesto la biografia dei relatori e di visionare la conferma via mail del docente responsabile cosa chiederanno? La fedina penale? I carichi pendenti? La dichiarazione dei redditi?
E’ necessario rifiutare categoricamente e con decisione l’idea che ospiti sgraditi possano creare un danno d’immagine alla nostra università.
Per convincerci di questo è doveroso chiedersi prima di tutto che cosa sia l’università. Se un’università fosse nient’altro che un luogo dove si mantengono e costruiscono relazioni, dove il marchio è più importante della discussione, allora privilegiare il brand rispetto alla libertà di espressione è una scelta coerente e sensata. Cosa implicherebbe concepire l’università come un centro di relazioni e interessi? Tra le altre cose, la definitiva creazione di un terreno di scontro e accordo tra fazioni che si spartirebbero gli spazi e le risorse per impiegarle al meglio per raggiungere scopi diversi dallo sviluppo della conoscenza.
Ma siamo sicuri che l’università sia un centro di relazioni prima ancora che un centro di produzione di cultura e di dibattito aperto e anche molto acceso sui temi più controversi e con le personalità più disparate?
Credo che a questa domanda nessuno risponderebbe con esitazione: l’università è il luogo dove la libertà di espressione deve essere massima perché l’impegno è costante nella ricerca della verità ed essa può scaturire, imperfetta e contingente, solo dal dibattito e dall’approfondimento.
Affermare ciò però non è senza conseguenze. Affermare che l’Università è il luogo della libera discussione significa che il valore supremo è la libertà di espressione e che questa va difesa e preservata perché essa costituisce l’essenza stessa dell’Università. Il vero brand di un’università è proprio questo perché è solo attraverso questa attenzione alla libertà che è possibile creare l’humus adatto alla formazione di persone che saranno in grado di prendere decisioni e posizioni di responsabilità importanti per loro e per il loro Paese. Posizioni che possano anche essere di rottura nei confronti dello status quo e dei luoghi comuni e soprattutto non bigotte. Nessun curriculum viene scartato perché la Bocconi ha ospitato Briatore o Vacchi, perciò non si riesce proprio a capire dove gli studenti potrebbero essere danneggiati dal concedere spazi di libertà ad altri studenti. Senza contare che negare che gli studenti siano in grado farsi un’opinione su chi hanno davanti porrebbe l’Università dinanzi ad un problema logico: come può affermare questo senza auto screditarsi un’università che si vanta di avere un test d’ingresso selettivo e di formare classe dirigente?
In questo caso è sempre utile citare il coraggio del presidente della Columbia University Lee Bollinger che decise di far parlare Ahmadinejad ( ricordate quel presidente iraniano, rigorosamente senza tatuaggi, che sosteneva di voler cancellare Israele dalle mappe geografiche?) presso la sua Università. Le critiche furono molto aspre e alcuni alumni minacciarono pure di tagliare donazioni e legami con l’università. Un bel problema.
Ma Ahmadinejad ha parlato e qui potete trovare una ricostruzioni degli umori del campus per l’evento. Bollinger ha detto chiaramente che l’Università è il luogo della libertà di espressione, dove chiunque ha il diritto di parlare perché chiunque ha anche il diritto di criticare e dissentire. Insomma ha deciso che la libertà e l’indipendenza valgono più dei ricatti di alumni che hanno capito molto poco di cosa sia l’essenza dell’Università. E questo è un principio molto importante.
IlBocconianoLiberale