Uno In diviso, un’altra chiave di lettura dell’orrore

Creato il 30 dicembre 2014 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Trasporre un romanzo in un graphic novel spesso si trasforma in un lavoro difficile: non è così banale, infatti, riuscire in maniera chiara e scorrevole a immergere il lettore nelle atmosfere di un'opera letteraria dandole la giusta dignità, ed è altrettanto complesso spingersi oltre, con lo scopo di dare un'ulteriore chiave di lettura senza sminuire la prosa. Le difficoltà si moltiplicano qualora la trama del libro in questione non appaia costruita in maniera lineare e dove il racconto lascia spazio all'io profondo dei protagonisti, quando cioè l'introspezione acquista importanza tramite monologhi, discorsi filosofici e pensieri che dominano azioni e coscienza dei personaggi.

La trasposizione di Uno in diviso, romanzo d'esordio di Alcide Pierantozzi, presenta proprio questa serie di problemi: la necessità di trattare un'opera cruda, ruvida e stomachevole e di mantenerne i connotati, il bisogno di dar forma a una narrazione grafica scorrevole e l'esigenza di mantenere l'attenzione del lettore durante le dissertazioni intellettuali ed esistenziali dei protagonisti, che spesso nel romanzo assumono un ruolo predominante. A tal proposito Adriano Barone e Fabrizio Dori, artefici del volume Uno in diviso, edito Tunuè per la collana Prospero Books, hanno deciso di affrontare ogni singola problematica fuoriuscita dalla complessità dell'originale, sfruttando al meglio le proprietà del medium fumetto, all'insegna della sperimentazione sia narrativa che grafica.

Il volume narra le vicende di due gemelli siamesi, Kehinde e Taiwo, due anime prive di educazione morale, vittime della loro condizione fisica che, legati indissolubilmente l'uno all'altro, presto si macchiano di terribili crimini, unico mezzo da loro conosciuto per rapportarsi al mondo che vogliono analizzare, destrutturare e capire.

Non ci sono mai piaciute le cose belle. Io, Taiwo, per noi due, la bellezza era una: quella. Quel ribrezzo, quella porcheria, quella ripugnanza.

È la ricerca della verità che porta i due fratelli a rifugiarsi all'interno di esperienze raccapriccianti e disgustose, come se tutte le cose più orribili di questo mondo diventassero veicolo della ragione e del raggiungimento di una comprensione, di una catarsi che non può essere raggiunta tramite il confronto verbale su temi come la metafisica e la filosofia. A tali contenuti si aggiunge la centralità dell'essenza stessa dei due protagonisti, evocata dal titolo.

Dentro di noi, per fortuna, c'era un grande spazio. Dentro, noi eravamo due: le mie fobie, il suo batticuore, qualsiasi impulso che irrompesse in uno dei nostri corpi, qualsiasi emozione che partisse dai nostri cervelli separati, dalle nostre diverse necessità, iniziava a scendere verso il pianoterra dei corpi, smontava fino a dove il nostro fisico diventava uno indiviso.

L'esistenza dei due protagonisti è, infatti, strettamente legata alla totale mancanza di una vita sociale dominata dai rapporti interpersonali, attività considerata superflua dai due che non conoscono il significato della parola solitudine. Taiwo e Kehinde, infatti, condividono piedi, gambe, pene e vita, il loro corpo è un ipsilon che non permette a entrambi di autodeterminarsi e la loro esistenza è dominata da un rapporto, a tratti conflittuale a tratti simbiotico, impossibile da troncare.

La struttura del romanzo, in continuo mutamento durante tutto l'arco narrativo e portatore di concetti così paradossali e avulsi dalla nostra normale concezione della vita, viene trasformata nel fumetto in un elaborato lavoro di stile, dove il modo in cui vengono gestite la struttura delle vignette, il bianco e il nero e la stessa camaleonticità del disegno appaiono il veicolo più efficiente per definire le scelte narrative dello scrittore Alcide Pierantozzi.

In primo luogo la scelta di diversificare lo sfondo, bianco o nero, separando nettamente gli episodi verificatisi nel passato e gli eventi presenti, oltre a permettere di identificare subito le due sequenze temporali, dà l'impressione che il modo di agire dei siamesi sia stato sporcato con il tempo, deciso dall'acquisizione di consapevolezze derivate dai maltrattamenti subìti durante l'infanzia, da una vita doppiamente dura dove i due presto decidono di fare a meno dei sentimenti per evitare possibili coinvolgimenti. Il ruolo predominante del nero, inoltre, supporta la tornata di scene macabre e raccapriccianti che si susseguono e mantiene alto il livello di tensione durante tutta la lettura.

In secondo luogo, un uso intelligente delle vignette permette ai due autori di giocarsi molto bene alcuni momenti in cui la narrazione è statica: ne sono un esempio la scelta di modificare le tavole in cui i protagonisti raccontano i propri incubi, che vengono proposte in una griglia da nove tracciata come se le linee fossero realizzate con del gesso bianco strisciato su una lavagna, ma anche la scelta di utilizzare molto spesso splashpage e vignette centrali che non coprono interamente la pagina in larghezza e in lunghezza, o di non contornare per nulla alcuni disegni, permettendo al nero e alla tenebra di avvolgere completamente la tavola.
Anche i ballon talvolta vengono usati in maniera particolare, soprattutto nelle pagine in cui è stato deciso di non riempirli di testo e didascalie ma di illustrarli a loro volta, divenendo la cornice di insetti, pensieri e azioni.

Le pagine che aprono i capitoli appaiono poi estremamente evocative; dal serpente mozzato nell'incipit (troncato in due dalla stessa vignetta da cui fuoriesce), alle mura della stanza dei due gemelli nel capitolo successivo (a evocare la struttura classica griglia fumettistica), fino al cubo che contiene Taiwo e Kehinde come entità separate (a rappresentare lo Yin e lo Yang), ogni immagine di apertura racchiude in sé, in maniera simbolica e originale, il sunto della narrazione delle pagine successive.

Infine la decisione di utilizzare uno stile grafico in continuo divenire, mai coerente per troppe vignette di seguito, e con netti riferimenti alla pittura e alle diverse correnti artistiche che si sono succedete nel corso della storia (si osservano riferimenti visivi a Bacon, Michelangelo, Van Gogh,all'astrattismo, alla pittura barocca, al simbolismo, ma anche una serie di vignette realizzate a immagine e somiglianza dei manuali di istruzione Ikea) permette una lettura in cui il disegno rappresenta in maniera iconica le atmosfere e le sensazioni che suscitano gli avvenimenti che si stanno svolgendo (un esempio su tutti, il più evidente e inquietante, la citazione al Crono divora i suoi figli di Francisco Goya in apertura del terzo capitolo: Inferno).

Le chiavi di lettura del romanzo appaiono notevoli e stratificate, ed è proprio con lo scopo di aggiungere un nuovo layout e incrementare la complessità del graphic novel, che i due autori hanno adottato un massiccio uso della simbologia. Essa viene utilizzata soprattutto per sottolineare uno dei temi centrali del libro: la circolarità del tempo.
Se l' Ouroboro, serpente mitologico che si morde la coda, e la Y, che rappresenta la morfologia del corpo dei due protagonisti, sono elementi essenziali dell'opera di Alcide Pierantozzi in quanto rispettivi simboli della ciclicità degli eventi e della condizione fisica dei gemelli siamesi, nel fumetto a essi si alternano altri spunti. Ci si trova a osservare la rappresentazione multiforme di una delle due vittime sacrificali di Taiwo e Kehinde che diventa prima angelo, poi crocifisso (sfogliando il lavoro, sono notevoli i riferimenti alla cristianità) e infine sirena, la presenza nelle mani dei gemelli dei solidi platonici durante le loro disquisizioni sull'esistenza di Dio e la continua riproposizione di pezzi di puzzle, oggetti fortemente correlati al misterioso datore di lavoro dei due ragazzi.

In particolar modo sono davvero numerosi gli elementi riferiti al tempo che scorre in se stesso tra cui notiamo il già citato serpente, l'orologio da muro e la luna crescente. Il simbolismo viene riproposto anche tramite la scelta di cambiare i nomi di alcuni personaggi: il capo dei gemelli diventa perciò Zebù, uno degli appellativi affibbiati al diavolo, mentre le due ragazze che vengono torturate a morte dai protagonisti diventano Maria e Maddalena, quasi a ricordare il loro ruolo di vittime innocenti e gravidanza della prima.

Tra gli sviluppi interessanti che fanno di questo graphic novel qualcosa d'altro rispetto al libro da cui è tratto, vi è la decisione di aggiungere un finale metafumettistico a quello metalettarario di Alcide Pierantozzi. Così mentre al termine del romanzo l'autore esprime i propri sentimenti nei confronti della sua generazione che non stima, e che non è capace di raccontare nulla di autentico (" Vuol dire senza sentire"), nel fumetto alle sue riflessioni si accostano le parole di Adriano Barone che propone il suo pensiero su Uno in diviso cercando di mitigare le angosce dello scrittore e sfruttando il mito sudamericano di Quetzalcoatl, il serpente piumato che creò l'uomo.

Col sangue Quetzalcoatl, signore della stella e dell'alba, creò gli esseri umani dalle ossa di coloro che l'umanità avevano preceduto. Non è quello che facciamo noi, ogni volta che prendiamo una penna o accediamo lo schermo di un computer, e quel bianco, così luminoso ci si para davanti?

In quest'ultima parte del volume i disegni di Fabrizio Dori che in un primo momento si dividono tra realistici paesaggi di Milano (in cui appare un suo autoritratto mentre è metaforicamente in procinto di "uscire" fuori dalla carta stampata) e vignette estremamente simboliche, che rievocano i sentimenti d'angoscia delle didascalie, si concentrano sulla narrazione del mito (riproponendolo nella forma delle antiche litografie azteche) e sul concetto di luce, rappresentato dall'estremo biancore della schermata del computer nel quale Barone sta terminando la sceneggiatura del volume che abbiamo in mano.

In conclusione, Uno in diviso, oltre a essere una buona trasposizione del romanzo d'esordio di Alcide Pierantozzi, si presenta come la prova di quanto si possa ancora giocare con il linguaggio fumettistico, sperimentando le soluzioni più svariate per ottenere una narrazione stratificata e fluida mantenendo vivide le riflessioni cardine in esso presenti.

Abbiamo parlato di:
Uno in diviso
Adriano Barone, Fabrizio Dori
Tratto dal romanzo omonimo di Alcide Pierantozzi
Tunuè, novembre 2013
160 pagine, brossurato, bianco e nero - 14,90€
ISBN: 9788897165811


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :