La recita di Natale, all'asilo. L'occasione per vedere una rappresentazione teatrale orchestrata dalle maestre e messa in piedi, fra gli altri bambini, anche da mio figlio. Ci vado per assistere a un racconto tra i cui personaggi c'è anche lui. Chissà che dirà, quali gesti farà, quali canzoni canterà in coro con i suoi amici. Si emozionerà, perderà la memoria, inciamperà. Tutti, più o meno, saranno fuori tempo. Nessuno è capace di coordinarsi bene con gli altri, figurarsi un bambino di neanche cinque anni. Non mi aspetto la prima alla Scala e perfino il solo fatto di restare sul palco ed esibirsi è notevole, conoscendo la timidezza di Dodokko per questo genere di cose. Non è riuscito a tirarsi indietro all'ultimo momento e a non recitare. Infatti, era davvero troppo timido per farlo: lui, come chiunque altro, non avrebbe mai saputo rinunciare dopo settimane di prove. Un grande successo per tutti, ad ogni modo, decretato dagli applausi scroscianti del pubblico, la clac dei genitori urlanti, macchina fotografica e cinepresa in mano, che non si perdono un attimo della prova del talento dei figli. Sono andato alla recita di fine anno per vedere e ascoltare Dodokko e per farmi vedere da lui. Per farmi riconoscere in mezzo a tutti gli altri genitori. L'ho chiamato tante volte, infischiandomene della mia maleducazione. Lui si è sempre girato verso di me, sorridendomi. E io ho osservato attentamente quel sorriso all'inizio perplesso, impreciso, incerto come il passo di un vecchio in cerca di un appoggio. Ho guardato i suoi occhi che guardavano i miei in attesa di un conforto, di un incoraggiamento, di un cenno minimo, di un giudizio, addirittura. Frazioni di secondo, istantanee rimaste impresse nelle retine, il significato di tutto racchiuso in uno sguardo, che per il mondo è muto ma che per me è un libro aperto. Il cenno è arrivato, un nuovo sguardo, un codice intimo messo a punto giorno dopo giorno, perfezionato a partire dal primo momento in cui i nostri occhi si sono incontrati. La montagna è crollata ed è scivolata giù dalle spalle. Senza tonfi, senza sollevare polvere. Ogni cosa ha assunto la bella leggerezza che gli spettava. Lo sguardo era rilassato. Il sorriso, finalmente, quello spensierato di un bambino.
La recita di Natale, all'asilo. L'occasione per vedere una rappresentazione teatrale orchestrata dalle maestre e messa in piedi, fra gli altri bambini, anche da mio figlio. Ci vado per assistere a un racconto tra i cui personaggi c'è anche lui. Chissà che dirà, quali gesti farà, quali canzoni canterà in coro con i suoi amici. Si emozionerà, perderà la memoria, inciamperà. Tutti, più o meno, saranno fuori tempo. Nessuno è capace di coordinarsi bene con gli altri, figurarsi un bambino di neanche cinque anni. Non mi aspetto la prima alla Scala e perfino il solo fatto di restare sul palco ed esibirsi è notevole, conoscendo la timidezza di Dodokko per questo genere di cose. Non è riuscito a tirarsi indietro all'ultimo momento e a non recitare. Infatti, era davvero troppo timido per farlo: lui, come chiunque altro, non avrebbe mai saputo rinunciare dopo settimane di prove. Un grande successo per tutti, ad ogni modo, decretato dagli applausi scroscianti del pubblico, la clac dei genitori urlanti, macchina fotografica e cinepresa in mano, che non si perdono un attimo della prova del talento dei figli. Sono andato alla recita di fine anno per vedere e ascoltare Dodokko e per farmi vedere da lui. Per farmi riconoscere in mezzo a tutti gli altri genitori. L'ho chiamato tante volte, infischiandomene della mia maleducazione. Lui si è sempre girato verso di me, sorridendomi. E io ho osservato attentamente quel sorriso all'inizio perplesso, impreciso, incerto come il passo di un vecchio in cerca di un appoggio. Ho guardato i suoi occhi che guardavano i miei in attesa di un conforto, di un incoraggiamento, di un cenno minimo, di un giudizio, addirittura. Frazioni di secondo, istantanee rimaste impresse nelle retine, il significato di tutto racchiuso in uno sguardo, che per il mondo è muto ma che per me è un libro aperto. Il cenno è arrivato, un nuovo sguardo, un codice intimo messo a punto giorno dopo giorno, perfezionato a partire dal primo momento in cui i nostri occhi si sono incontrati. La montagna è crollata ed è scivolata giù dalle spalle. Senza tonfi, senza sollevare polvere. Ogni cosa ha assunto la bella leggerezza che gli spettava. Lo sguardo era rilassato. Il sorriso, finalmente, quello spensierato di un bambino.
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