Pierpaolo Pasolini è stato un intellettuale di grande valore, una delle ultime voci libere: le sue analisi della “cultura” di massa e della “civiltà” industriale, sono a distanza di decenni, di un’attualità corrosiva. Si pensi, a titolo di esempio, alla sua lucida diagnosi a proposito del mezzo televisivo.
Chiosa il narratore e regista in “Scritti corsari”, 9 dicembre 1973: “Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio ‘uomo’ che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali. La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto mezzo tecnico, ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità che non si saprebbe dove collocare. E’ attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c’è dubbio che la televisione è autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come con dolore l’aratro rispetto ad un trattore. Il fascismo non è stato in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione, non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre” .
Pasolini, pur ignorando il pericolo insito nella tecnica in sé, che è comunque un offuscamento della vita, coglie il carattere dispotico e mistificatorio della televisione, adatta a plagiare l’opinione pubblica ed a corromperla. Si evidenzi soprattutto la condizione asimmetrica che si crea tra produttori di messaggi e fruitori: i primi impongono la loro visione del mondo ad un “cittadino” che interloquisce solo nel caso di giochi a premi o di brevi sfoghi contro la classe “politica”.
Tralasciamo, però, tale questione su cui il dibattito è aperto: è indubbio che il medium televisivo è, nel suo significante e nel suo significato pernicioso, né il suo influsso deleterio è scemato, nonostante l’avvento della Rete di cui la televisione riproduce solo i difetti. Questo basti.
Una celebre disamina di Pasolini circa la repressione perpetrata dalle forze dell’ordine durante le rivolte studentesche del 68-69, risulta oggi obsoleta, se non sfocata. Sorvoliamo su certe categorie e termini che risentono di una lettura post-marxista della società: concentriamo l’attenzione su alcune asserzioni a proposito dell’appartenenza di manifestanti e di esponenti delle forze dell’ordine alla stessa classe media o proletaria. Gli agenti che manganellavano gli universitari erano figli di operai o piccoli impiegati proprio come i manganellati. Quindi i tafferugli e le violenze opponevano sfruttati contro sfruttati. Ciò era, in parte, vero: Pasolini, però, per via di una sua visione “romantica” dell’uomo, credeva che, dietro le divise, potesse albergare una coscienza. In verità, situazioni transazionali ci spiegano che un uomo, nel momento in cui si identifica con il sistema dispotico, tramite un paziente ed efficace processo di indottrinamento, non è più uomo, ma, verbigrazia, militare. Il militare è l’antitesi netta, irredimibile dell’uomo. Egli è simile ad un automa, ma senza la ferocia gratuita dell’automa.
Così, quando vediamo i birri, armati fino ai denti, che infieriscono, tracotanti ed implacabili, contro cittadini che manifestano o automobilisti che hanno superato di cinque kilometri il limite di velocità o l’adolescente scoperto con uno spinello, siamo al cospetto di una situazione sproporzionata, profondamente sbilanciata: da un lato oppressori facinorosi, dall’altro persone oppresse.
Vero è che molti movimenti di protesta sono infiltrati dai servizi, se non addirittura creati dai poteri forti, ma assistere al cruento spettacolo di agenti che percuotono donne ed uomini pacifici di ogni età, fracassando teste ed ossa, può suscitare solo riprovazione. Se negli ‘60 e ’70 del XX secolo, alcuni agenti di pubblica sicurezza (?) e carabinieri che erano mandati a lanciare lacrimogeni ed a usare gli sfollagente contro i “sessanttottini”, erano ancora aggrappati ad un simulacro di umanità, oggi, tranne qualche eccezione, la polizia forma un esercito di picchiatori professionisti. Addestrati non solo a provocare ed a malmenare, ma soprattutto a sradicare qualsiasi residuo di sentimento e valore (il rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali denunciato da Pasolini), possono ferire ed uccidere senza sensi di colpa, piuttosto godendo sino all’orgasmo delle loro scellerate gesta, come i soldati statunitensi che in Iraq compiono il tiro al bersaglio su civili inermi. La guerra è solo un gioco; le manifestazioni un pretesto per flettere i muscoli e la protervia per opera di chi non è cittadino, perché docile schiavo del regime, non è uomo, perché non lo è più e forse non lo è mai stato.
Attacco all'informazione
CLICCA QUI