Grande cruccio è il non averlo potuto conoscere di persona.
Eppure l’opportunità di una quasi “presa in diretta” è arrivata, un giorno,e assolutamente per caso, dai racconti di padre Giuseppe Caffarato, missionario della Consolata, che ebbe, nei primi anni del ‘900, la gioia (uno dei pochi missionari cui fu possibile per ragioni strettamente anagrafiche ), di conoscere personalmente il fondatore della sua congregazione.
L’Allamano, com’è ovvio, era già avanti negli anni, padre Giuseppe, invece, solo un preadolescente e, per giunta, da poco entrato in seminario.
Ma quell’incontro fu importante e lo fu, in particolare,come è immaginabile, per il più giovane dei due.
Due “Giuseppe” : entrambi, nel loro rapportarsi agli altri, con buone capacità di accoglienza.
Nessuna sdolcinatura di maniera. Né nell’uno. Né nell’altro.
Di contro autenticità d’ affetto e d’attenzione alla persona.
Perché l’ incontro, quando è incontro vero, è l’ entrare nel mondo dell’altro e l’altro nel tuo.
E, quando ciò avviene, c’è il piacere incommensurabile d’arricchirsi reciprocamente.
Di crescere ….anche in santità.
E l’Allamano è stato da subito e da sempre l’ amico dei suoi missionari e delle sue missionarie.
Quelli che considerava, appunto, come figli propri.
E sapeva esserlo, un amico, con la giusta dose d’intransigenza, quando questa era necessaria e anche, con la paterna dolcezza accogliente del suo sorriso, in altra magari differente occasione.
Era capace, insomma, di alternare la parola di lode e/o d’incoraggiamento a quella di consolazione, se indispensabile.
Una parola che per lui era poi quella con la “maiuscola” , presa in prestito dal Gesù di Nazareth e ruminata ben bene in tutti gli anni di approfondimento del suo lungo sacerdozio.
E testimonianza, infatti, ne sono le lettere inviate ai missionari e alle missionarie. E anche i contenuti mirati delle sue conferenze.
Una ricchezza immensa di scritti, ben conservati, cui attingere (chi lo volesse), per conoscere e approfondire la personalità di Giuseppe Allamano, indipendentemente dalle notizie biografiche già note.
Quello che stupisce (per chi ha difficoltà a credere) è la fede in Dio dell’Allamano.
Una fede assoluta. Totale. Il suo “affidarsi” esclusivamente al Padre “senza se e senza ma”.
Una fede che si ha modo di ravvisare, anche attualmente, per quanto i tempi all’apparenza parrebbero sconfessarlo, in molti di coloro che sono i suoi figli spirituali.
Sappiamo, infatti, cosa è accaduto quando, rettore del seminario della Consolata in Torino, sembrava ci fosse, in città, assoluta penuria di vocazioni.
Dio padre e Maria Consolata, patrona di Torino.
Ecco i riferimenti unici del “nostro”, pregati nel silenzio della sua stanza o , in chiesa, dinanzi al tabernacolo in adorazione, perché le cose potessero cambiare.
Così come sappiamo anche quanto impellente fosse nella sua persona l’urgenza di allora, giorno dopo giorno, di far conoscere la “parola”di Dio in ogni angolo del mondo, lì dove essa non fosse mai giunta.
Una “Parola” affiancata da tantissima laboriosità, affinché i destinatari divenissero prima uomini e donne, degni di tale nome (promozione umana) e poi tutto il resto.
E cioè : rispetto e dignità per ogni creatura.
Ed ecco che sopraggiunge il conseguente progetto di creare in Torino due congregazioni missionarie, una maschile e l’altra femminile (1901-1910).
E la grazia è che oggi le missioni dei “consolatini”, come le vocazioni stesse, specie in Africa e pure in America latina, non cessano di moltiplicarsi nonostante sia trascorso più di un secolo da quella decisione presa, tanti anni fa, a Torino.
E’ questo che significa essere persone di fede.
Operiamo nel nostro piccolo ma il grande costruttore, colui che edifica, è Dio.
Diminuiamo con gioia per fare posto al Padre nostro.
E ‘ quanto hanno sempre fatto i figli e le figlie dell’Allamano, perché la loro “missione” segnasse il trionfo dello Spirito.
Ed è questo che ha insegnato loro il fondatore, oggi Beato, e presto Santo, sul cui cammino tracciato essi proseguono ieri come oggi.
Perché Parola di Dio è sicurezza. Essa è salde fondamenta del nostro esistere. E’casa costruita sulla roccia.
E’ certamente segno e strumento dei missionari.
Ma lo è anche di tutti quegli uomini e quelle donne di buona volontà, che intendono concorrere all’edificazione del regno di Dio, qui e ora.
Quindi preghiera. Tanta preghiera prima. E poi la stessa unitamente all’azione.
E ai piedi del Crocifisso proprio come era solito fare l’Allamano, quando si poneva in raccoglimento.
Niente più del Cristo Crocifisso, il Figlio unico amato dal Padre, infatti, è l’autentico compendio dell’ intera umanità.
Della nostra umanità. Fatta di carne e di sangue. Sotto ogni cielo. A tutte le latitudini.
Molti, che non concordano, preferiscono volgere altrove lo sguardo.
Ma non serve. Le sfide in negativo, che ci riguardano, sono sempre troppe.
Se sfogliamo con attenzione un quotidiano, se ascoltiamo la radio o guardiamo la tv, non vediamo forse, di questi tempi, una sequela di “crocefissi” e, e per giunta, in più parti del mondo ?
Giovani, anziani, bambini, uomini e donne. Tutti vittime di guerre assurde o di ingiustizie macroscopiche, che altro non sono, tutte insieme, che quelle che chiamiamo strutture di peccato.
C’è bisogno, dunque, di preghiera e di Vangelo.
Dappertutto.
La missionarietà (e ,dunque, la santità) del Beato Giuseppe Allamano è questa : un’intuizione profetica che supera tempo e spazio, e che ha colto da subito, tra tantissime urgenze,anche quella dell’importanza del dialogo con le altre religioni per realizzare, un giorno, e ci auguriamo neanche non troppo lontano (proprio per quel che purtroppo vediamo in queste ore), quell’umanesimo spirituale che, invece, consenta al mondo tutto di aprirsi con bontà d’intenti al progetto di Dio.
“Il nostro "io" risiede tutto nella volontà. Per questo, se offriamo a Dio la nostra volontà, gli offriamo tutti noi stessi.” (Beato Giuseppe Allamano-Pensieri)
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)