Bruno Pescia è un tipo tosto, ma la voce ancora gli trema quando parla del figlio: "Andrea era una persona in gamba. Fin da giovane aveva la passione dei viaggi e dopo il diploma ha preso il volo. Seguendo la sua libertà e l’amore è finito a Fortaleza e in quella terra tanto bella, quanto disperata, aveva trovato la sua dimensione. Lavorava, studiava (si era iscritto a Legge) ed era diventato padre".
Cosa è successo il 10 febbraio del 2006? "Era notte, squilla il telefono. Vengo travolto dal pianto della madre della compagna di mio figlio, capisco poco, ma è sufficiente per gettarmi nel panico. Poco dopo sento al telefono la compagna di Andrea e mi conferma il peggio: Andrea è stato ucciso".
Decisi di partire "Due giorni dopo, con mia moglie Daniela e Massimiliano Sarti, un amico di mio figlio, praticamente un fratello, partiamo. Nel frattempo la notizia esce sui giornali locali, ma a livello nazionale e istituzionale è tutto fermo. La Farnesina non sa nulla della questione e nulla fa per saperlo. Arrivati in Brasile siamo costretti a fare tutto da soli, vista la totale assenza di aiuti concreti da parte del consolato italiano. Veniamo a capire i particolari dell’assassinio di mio figlio dai suoi amici e da dei testimoni. Un balordo del posto, poco più che adolescente, denunciato da mio figlio per un furto subito qualche tempo prima, gli aveva teso un agguato sparandogli. Entriamo in contatto con la polizia, conosciamo il capitano Rodriguez, l’unico che capisce la nostra disperazione".
Tutto da soli... "Tutto da soli. L’assenza di qualsiasi aiuto da parte dello Stato mi amareggia ancora. C’erano anche tutti i problemi relativi al ritorno della salma di mio figlio in Italia. Anche qui, abbiamo fatto tutto da soli".
In una vicenda così tragica è difficile trovare un raggio di luce. "Ma c’è e si chiama André Jr, mio nipote, preciso come una goccia d’acqua a suo padre Andrea da piccolo. È stata una pena tornare in Italia, sapendolo laggiù con in giro l’assassino di suo padre. Tornati in Italia, sempre senza l’aiuto di nessuno, ci siamo dati da fare per far si che lui e sua madre si trasferissero qui da noi e adesso viviamo tutti insieme nella nostra casa, qui a San Carlo".
E sul versante delle indagini? "Alla fine, per smuovere le acque ho promesso una ricompensa al poliziotto che avesse arrestato l’assassinio di mio figlio. La notizia ha fatto scalpore, ma ha prodotto i suoi frutti. Il bastardo è stato catturato, poi processato e infine condannato a quindici anni di galera".
Perché l’associazione, il sito (www.associazioneandreapescia.org) e il libro? "Mio figlio adorava i bambini. Abbiamo individuato una scuola che toglie dalla strada i bimbi delle favelas, l’associazione è nata con lo scopo di raccogliere fondi per aiutarla e ci stiamo riuscendo, ma con i proventi del libro contiamo di fare ancora di più".
In un'altra intervista, sempre del padre di Andrea, si legge:
Intanto a quasi tre anni dalla morte di suo figlio Andrea, ucciso in Brasile durante una rapina, Bruno Pescia esprime tutta la propria indignazione per la vicenda di Cesare Battisti al quale il Paese sudamericano ha concesso lo status di rifugiato politico negando l'estradizione in Italia. «Tra alcuni giorni - ricorda - saranno tre anni che il mio unico figlio Andrea è stato ucciso da un balordo minorenne con due delitti alle spalle che girava libero di delinquere ancora. Voglio ricollegare questo mio fatto personale al caso Battisti», spiega Pescia, avvertendo che in Brasile per avere giustizia «bisogna pagare di tasca propria». Come ha fatto lui, racconta, per risalire all'assassino di suo figlio, condannato poi a 15 anni. «Dissi allora - ricorda - che solo con i propri soldi si potevano risolvere certe situazioni in Stati che si definiscono sovrani e che accolgono impunemente delinquenti, nazisti, fascisti e forse la peggior feccia della terra. Dovetti assoldare un poliziotto, mettere una taglia, prendere un buon avvocato per arrivare ad avere giustizia! Sono indignato sconcertato per questa situazione naturalmente ancor più eclatante e clamorosa». Pescia, che in memoria del figlio ha aperto una fondazione a favore dei bambini abbandonati del Brasile, si mette nei panni di chi ha perso un un proprio caro per mano di Battisti e conclude: «Non esiste perdono in casi simili».
Ora l'Associazione Andrea Pescia ha deciso di fare un film su quanto è successo, i cui incassi saranno devoluti per aiutare i bambini di Fortaleza. L'anteprima si svolgerà a Padova il 29 gennaio del 2013, quindi i miei amici veneti che avranno la possibilità di assistere tale evento potranno, in questo modo, aiutare l'associazione e alcuni poveri bambini brasiliani.
Un ringraziamento a Giancarlo per avermi fatto notare questa notizia.