Uruguay-Argentina: “le cartiere della discordia”

Creato il 03 dicembre 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

“L’Uruguay seguirà la sua strada”, questa l’importante dichiarazione resa negli ultimi giorni dal presidente José Pepe Mujica con cui ha annunciato la decisione di consentire all’azienda finlandese Upm (ex-Botnia) di incrementare la produzione di cellulosa a 100.000 tonnellate annue. Tale annuncio, apparentemente di mero carattere nazionale, in realtà cela pericolosi risvolti esterni. Potrebbero, infatti, riacutizzarsi le già profonde frizioni tra il Paese e la confinante Argentina, frizioni che, come nel passato, potrebbero ripercuotersi all’interno del Mercosur, minando la sua tenuta e, per l’effetto, il processo di integrazione regionale in atto.

Il contrasto affonda le sue radici nell’annosa e delicata questione delle cartiere, meglio note come papeleras, costruite sul confine naturale tra i due paesi, la cui gestione congiunta – del confine, si intende – è disciplinata dal trattato del 1975, denominato Estatuto del Rìo Uruguay, qualificato dagli stessi firmatari “strumento finalizzato alla creazione di un meccanismo idoneo a raggiungere un utilizzo ottimale e razionale del fiume”.

La vicenda aveva già creato profondi malumori nel lontano 2002 allorquando il governo uruguayano decideva di localizzare sulla propria sponda del fiume, presso la città di Fray Bentos, la costruzione di ben due cartiere, la spagnola “Ence” e la finlandese “Botnia”, suscitando le preoccupazioni del Governo argentino che ne chiedeva tempestivamente uno studio sull’impatto ambientale. Più in particolare, il governo temeva che queste installazioni avrebbero provocato molteplici e gravi danni – ambientali e non – tra cui inquinamento atmosferico (forte odore di composti di zolfo); estrazione di grandi quantità di acqua dal fiume Uruguay; perdita della biodiversità dovuta alla coltivazione di grandi estensioni di monocolture (nella fattispecie eucalipto); produzione di diossina durante il processo di sbiancamento e fabbricazione di biossido di cloro altamente pregiudizievole per la salute umana; generazione e spargimento di prodotti di scarto, con relativo rischio di inquinamento dell’acqua utilizzata per bere e di distruzione delle risorse della pesca e degli ecosistemi acquatici (risorse fondamentali per il sostentamento di molte comunità locali). Danni, questi, ancora più gravi se si considera che Gualeguaychu, la città argentina dirimpettaia, rappresenta un’importante località turistica, nota per le sue spiagge ed il suo carnevale.

Ebbene, disattendendo le richieste provenienti da parte argentina, l’Uruguay autorizzava la realizzazione di una delle due fabbriche – precisamente quella finlandese – provocando l’irritazione della sua controparte. La situazione si infiammò nel 2005 quando la Botnia, con un investimento di ben 1,1 miliardi di dollari, procedeva alla realizzazione del proprio stabilimento nell’area assegnata; decisione, questa, che scatenò subito in capo alla popolazione argentina forti proteste che consistettero nel blocco della comunicazione fra le due sponde per mezzo dell’impedimento del transito sul ponte internazionale che portava da Gualeguaychu a Fray Bentos. Pochi mesi più tardi, il governo di Buenos Aires segnalò all’esecutivo uruguayano la presunta violazione dello Statuto del Rio Uruguay del ’75 che prevedeva, tra le altre cose, la notifica di qualsiasi operazione sulla frontiera. Appellandosi a questa disposizione, il presidente Kirchner nel maggio 2006 invocava l’intervento della Corte Internazionale dell’Aja accusando la controparte di aver violato il trattato e chiedendo, per l’effetto, un cospicuo risarcimento per presunti danni all’ambiente e per ripercussioni sul turismo e l’agricoltura. Le tensioni originate nella città di Gualeguaychu presto si diffusero su tutto il confine fino a provocare nel gennaio 2007 il primo blocco totale delle comunicazioni terrestri che cagionò gravi danni all’economia uruguayana. Per parte sua, il Governo di Montevideo decise di schierare l’esercito a protezione della cartiera in costruzione.

L’allora presidente Tabaré Vázquez, preso atto dei pesanti condizionamenti causati all’economia uruguayana dai blocchi stradali argentini, decise di azionare la macchina di risoluzione delle controversie del MERCOSUR. Invocò l’intervento di un Tribunale ad hoc, denunciando l’Argentina di aver violato con le sue politiche protezioniste le regole dell’organizzazione ed, in particolare, di non essersi impegnata a smobilitare le proteste e i blocchi stradali. Tale inerzia – chiariva, Montevideo – contravveniva ad uno dei pilastri fondativi del MERCOSUR, ovverosia garantire la libera circolazione dei beni e dei servizi all’interno dei paesi membri. Il 6 settembre 2006 il Tribunale accolse la richiesta uruguaiana dichiarando l’Argentina responsabile di non aver impedito il blocco della circolazione provocato dai cittadini di Gualeguaychú e, pur non camminando alcuna sanzione pecuniaria, suggerì al Governo di Buenos Aires un cambio d’atteggiamento.

La scarsa efficacia di tale pronunciamento provocò, altresì, un isolamento dell’Uruguay all’interno dell’organizzazione. In particolare, il Brasile, al fine di evitare di sacrificare i suoi rapporti con l’Argentina, aveva sin da subito escluso che la crisi delle cartiere avrebbe potuto trovare un componimento all’interno del MERCOSUR.

L’escalation delle tensioni, unitamente all’isolamento in cui era stato posto il Paese e alla preoccupazione per lo scoppio di un conflitto militare, spinsero il Presidente Vázquez a chiedere l’appoggio dell’allora Presidente Statunitense George W. Bush il quale non tardò a proporgli un “vantaggiosissimo” Trattato di Libero Commercio (TLC). La proposta provocò un’immediata frattura all’interno del governo uruguayano fra quanti (fra cui l’allora Ministro dell’Economia e attuale vice presidente Danilo Astori) si mostravano favorevoli al Trattato e quanti (come il Ministro degli Esteri Reinaldo Gargano), invece, erano dichiaratamente contrari sul presupposto che, ove accettata, la proposta avrebbe scardinato gli equilibri geopolitici regionali e sicuramente reso nulli i sacrifici sostenuti dal Governo per risollevare il Paese dalla crisi economica che lo aveva afflitto dagli anni ’60 agli inizi del 2000.

Provvidenziale in tale delicata fase fu l’azione diplomatica dell’allora Presidente venezuelano Hugo Chávez che, offrendo una serie di accordi vantaggiosi all’Uruguay (soprattutto quello di cooperazione tra la petrolifera venezuelana PDVSA e la petrolifera uruguayana, ANCAP) ha, di fatto, impedito che il Paese cedesse alle lusinghe statunitensi, con ciò in un certo qual modo salvaguardando il processo di integrazione regionale che era stato avviato.

La descritta crisi diplomatica si risolse solo il 15 novembre 2010, con la pronuncia della Corte dell’Aja che pur decidendo in favore di Montevideo ed escludendo qualsiasi forma compensazione a Buenos Aires, al contempo – e sul presupposto che effettivamente l’Uruguay non aveva informato in modo opportuno l’Argentina sui dettagli dell’operazione – ordinava l’istituzione di una commissione congiunta bilaterale incaricata di vigilare sulle attività della cartiera e segnalare eventuali casi di contaminazione, in tal modo sopendo le tensioni sul confine.

Il contrasto, tuttavia, rimane irrisolto e potrebbe causare ulteriori crepe nei già compromessi rapporti fra i due Stati. La recente decisione di incrementare la produzione di cellulosa, ancorché sia stata prevista la costruzione di un nuovo impianto di raffreddamento per le acque di scarico e la riduzione del contenuto di fosforo negli scarti, potrebbe infatti riaccendere i riflettori su questa vicenda attirando l’attenzione di soggetti esterni che potrebbero approfittare, come nel passato, delle tensioni per crearsi nuovi spazi di manovra e utili varchi all’interno della regione. Infatti, volendo ampliare l’obiettivo, questioni come quelle delle papeleras costituiscono pericolose “linee di faglia” che, seppur embrionali e localizzate, potrebbero nel lungo periodo compromettere il processo di integrazione regionale in corso.

A tal proposito è importante ricordare come ciascun Governo, attraverso le sue politiche, di fatto determina (ovviamente in proporzione al suo “peso” sullo scacchiere) la buona riuscita di tale processo. In particolare, la situazione politica uruguaiana rivela degli equilibri molto labili dovuti al fatto che l’attuale presidente Muijca, pur provenendo da esperienze radicali, fa parte della coalizione Frente Amplio in cui è presente anche una larga porzione di moderati fra cui il vicepresidente Danilo Astori, già ministro dell’economia nel precedente governo, che ha accettato la candidatura a condizione di avere l’ultima parola in materia economica. Questa circostanza, unitamente al fatto che Mujica abbia ufficialmente dichiarato che il suo vice è un “primo ministro di fatto”, spiega il pericolo di repentini capovolgimenti di scenario, deduzione ascrivibile alla posizione tenuta da Astori in occasione della proposta statunitense del TLC di cui accennato in precedenza.

Ebbene, in ultima istanza non può che concludersi che questioni come quelle delle cartiere uruguaiane che per le ragioni suesposte hanno ripercussioni anche regionali, disvelino una grave carenza di visione strategica univoca e di lungo respiro che, ove non sanata, potrebbe minare gli equilibri regionali favorendo, o quantomeno non ostacolando, la riemersione di un “controllo imperialistico” di potenze extra-regionali.


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