Usa 2012: Obama cerca una difficile rielezione, bilancio di quattro anni democratici

Creato il 24 agosto 2012 da Candidonews @Candidonews

Mancano meno di 80 giorni all’Election Day americano. Tra pochi giorni saranno celebrate le Convenction di Democratici e Repubblicani, dove verranno ‘incoronati’ i due sfidanti e che apriranno le ‘danze’ per l’elezione del Nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America.

Barack Obama riuscirà ad essere rieletto oppure Mitt Romney metterà fine al suo mandato dopo soli quattro anni?

Come abbiamo visto negli ultimi due anni, l’economia è risultata determinante nelle elezioni politiche di diversi Paesi. Spagna, Francia, Portogallo, Irlanda, Grecia ed Italia hanno visto ‘spazzati’ via i governi impegnati nell’amministrare la crisi economica in atto. Lo stesso Obama fu eletto nel 2008 anche a causa del tracollo finanziario iniziato mesi prima.

Dopo quattro anni di Amministrazione democratica è arrivato il momento di tirare un bilancio ed Obama non può certo dirsi tranquillo.

Recentemente il settimanale Newsweek, di idee progressiste, ha messo in prima pagina un duro attacco al Presidente.

‘Vattene via Barack’, il titolo di Newsweek

Cosi scrive Niall Ferguson, storico britannico di idee conservatrici ed estensore dell’articolo:

Obama promise “non solo di creare nuovi posti di lavoro, ma di mettere le basi per far riparte la crescita economica”. Promise di “riportare la scienza al posto che merita e di usare le meraviglie della tecnologia per migliorare l’assistenza sanitaria e renderla meno costosa”. E promise anche di “trasformare le nostre scuole, i college e le università per rispondere alle esigenze dei nostri tempi”. Sfortunatamente, i risultati del presidente su ognuna di queste promesse fanno pietà.

Analizzando i dati economici non c’è da stare allegri. La crisi c’è ancora ed è forte:

I freddi numeri non sembrano aiutare il presidente. Nel 2011 il bilancio federale statunitense si è chiuso con un deficit di 1.299 miliardi di dollari, portando il debito pubblico a quota 14.764 miliardi. L´ultimo pareggio di bilancio si è registrato nel 2001, da allora si è sempre chiuso con un deficit, stratificando il passivo nello stock del debito pubblico. Se nel 2008 questo ammontava al 69,7% del Pil, il 2011 si è chiuso con un debito pari al 98,7%, mentre si prevede che per il 2012 raggiunga il 104,8%. La disoccupazione è passata da 5,8% del 2008 all´8,1 del 2011. Solo la crescita economica è tornata in positivo, passando da -0,3% a +2,1%, un dato comunque molto rilevante se guardiamo alle difficoltà delle economie occidentali nel complesso e alla capacità statunitense di invertire la tendenza. Obama punterà sulla ripresa.

In questo campo, dopo il varo di un “pacchetto” di stimolo dell´economia reale del valore di 787 miliardi di dollari, Obama si è concentrato soprattutto sulla riduzione del deficit. (fonte)
Il Presidente, oltre a varare pacchetti di stimolo per l’economia, ha cercato di ‘riformare’ Wall Street ed ha impegnato tutte le sue risorse per far approvare la Riforma Sanitaria:
A luglio del 2010 è entrato in vigore il Dodd-Frank Wall Street reform and consumer protection act, volto a rafforzare la regolamentazione pubblica sul settore finanziario, mentre nel settembre 2011 è stata la volta dell´American jobs act, un ulteriore pacchetto di stimolo da 447 miliardi.
Sul piano interno il cavallo di battaglia di Obama è la nota riforma sanitaria. Varata nel 2010, la riforma ha esteso la copertura assicurativa a 32 dei circa 50 milioni di cittadini americani che ne sono privi, per un costo complessivo stimato dal Congressional budget office in 940 miliardi: un successo in ottica democratica, un vero tradimento dei valori americani per i repubblicani più convinti.
Da ricordare anche i ‘successi’ in Politica estera:
Quasi paradossalmente uno dei punti di storica debolezza dei democratici, la politica estera, sembra offrire argomenti a favore. Obama ha tenuto fede alle proprie promesse elettorali: cattura (e uccisione) di Osama Bin Laden; ritiro dall´Iraq; avvio del ritiro dall´Afghanistan.
Di contro molti accusano Obama di ‘inesperienza’, di aver perso tempo prezioso grazie all’ostruzionismo dei Repubblicani:
Gli viene rimproverato di non avere la necessaria leadership e di aver sprecato rapidamente il suo iniziale capitale politico, di aver tentennato troppe volte alla ricerca di un “terreno comune” irrealizzabile. Il presidente sapeva che i repubblicani avrebbero rallentato ogni sua riforma, ogni sua azione legislativa, ma non si è mai preoccupato di superare questo problema una volta per tutte. L’amministrazione è stata lenta nelle contromisure all’ostruzionismo e ingenua nel non saperne prevedere gli effetti. Un esempio di quest’ingenuità è il voto sulla legge sul clima, che avrebbe introdotto un sistema di incentivi e disincentivi fiscali in relazione alle emissioni di anidride carbonica delle imprese. La legge era indigesta ai centristi, indispensabili per ottenere la maggioranza: Obama li ha praticamente costretti a votarla, innervosendoli e inimicandoseli per i mesi a seguire, senza peraltro che la legge riuscisse a passare, affondata dall’ostruzionismo. Ingenuità, o forse inesperienza, hanno portato alla situazione di debolezza politica in cui si trova il presidente. (fonte)

Sull’operato del Presidente pesa anche la perdita della maggioranza parlamentare al Congresso, dopo le elezioni di ‘midterm’ del 2011. La ‘battaglia’ con i repubblicani, vittoriosi alla Camera dei Rappresentanti, ha portato il Paese sull’orlo del default, causando anche il primo ‘storico’ declassamento da parte delle agenzie di rating.

A livello di politica estera, assieme al ruolo ‘defilato’ assunto in Medioriente, pesa molto il rapporto con la Cina:

La sua presidenza era iniziata facendo ipotizzare una sorta di G2, in cui Cina e Stati Uniti avrebbero agito fianco a fianco per guidare il mondo. Gli equilibri sono però ben presto mutati e la superpotenza americana si è trovata per la prima volta in una posizione di sudditanza rispetto a Pechino. Il presidente cinese, Hu Jintao, si è persino permesso di rimproverare Washington, colpevole, a suo dire, di non fare abbastanza per rimettere in ordine i bilanci federali. In quanto paese creditore, Pechino si è sentito autorizzato a imporre una sorta di disciplina al suo principale debitore. Si è quindi verificato un importante cambiamento negli equilibri internazionali, con il pendolo dell’economia e della politica mondiale che si è spostato verso Pechino allontanandosi da Washington

Il bilancio globale sull’operato del Presidente in carica è quindi costituito da luci ed ombre. Tutto ciò si riflette sulla popolarità presso il popolo americano. Da qui il ‘testa a testa’ che vede Obama contendersi la leadership del Paese con un candidato debolissimo come Mitt Romney. Poco carismatico, gaffeur, l’ex Governatore del Michigan rischia davvero di poter vincere a causa della sfiducia verso l’amministrazione uscente.

Veniamo ai ‘numeri’ sulla prossima ‘battaglia per la Casa Bianca’. Brevemente, le elezioni americane non sono ‘dirette’, il Presidente viene eletto tramite un ‘passaggio indiretto’. Ogni Stato ha un numero stabilito di delegati, chiamati ‘Grandi elettori’, che si riuniscono dopo le elezioni di novembre per ‘eleggere formalmente’ il nuovo Comandante in Capo. Il loro numero totale è di 538.  Gli abitanti dei vari Stati dell’Unione, durante l’Election Day, votano i candidati presidenziali, chi tra di loro arriva primo in uno Stato ‘vince’ però tutti i delegati dello stesso.

Secondo i sondaggi, al momento il Presidente in carica puo contare già su 221 grandi elettori, per riconfermarsi alla Casa Bianca Obama ha necessità di ‘vincere’ almeno 270 deputati degli Stati.

Se vediamo il grafico, fornito dal sito RealClear Politics, i Repubblicani mantengono quasi tutti gli stati del 2008, incrementando di 15 grandi elettori il bottino precedente. (191 per Romney contro i 175 finali di McCain).

Il vero ‘problema’ per Obama è quindi quello di riconquistare alcuni stati chiave che quattro anni fa lo avevano visto vincitore. Sei su tutti, Florida (29 grandi elettori), North Carolina (15),  Ohio (18) e Michigan (16), Virginia (13) e Colorado (9). Al momento in questi cinque Paesi dell’Unione  lo scarto tra i due contendenti è troppo esile per ‘assegnarli’ a questo o quel candidato. Vengono quindi detti ‘toss up’.

Sempre secondo il sito di sondaggi, in Michigan sembra prevalere Obama per 3 punti, come pure in Ohio (di 2 punti) , in Virginia (3%) ed in Colorado (1%). In North Carolina invece è in testa Romney di 1 punto mentre in Florida i due sfidandti sono appaiati al 46%.

Se finisse così, con questi scarti minimi negli Stati ‘toss up’, anche senza l’assegnazione della Florida, Obama riuscirebbe a conquistare altri 56 delegati e raggiungerebbe il totale di 277, numero necessario per essere rieletto Presidente. I sondaggi però hanno un margine di errore elevato, alle elezioni mancano ancora piu di due mesi e tutto puo succedere.

Non è quindi affatto scontato che Barack Obama riesca a tornare alla Casa Bianca, fermo restando la debolezza cronica del suo avversario.


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