Un anno fa, più o meno di questi tempi, si apriva il dibattito: sarà una Clinton o un Bush il prossimo inquilino della Casa Bianca? Non avevano ancora sciolto la riserva, Hillary e Jeb, che già si dava per scontata qualcosa che, oggi, così scontata non è. Perché un anno dopo, a pochi giorni dal voto in Iowa, lo scacchiere repubblicano si è capovolto e di Jeb Bush si sono (quasi) perse le tracce, mediaticamente parlando. Hillary Clinton, no: lei è ancora al suo posto.
A un certo punto – giugno 2015 – Donald Trump – quel Donald Trump – ha deciso di metterci la faccia ed entrare in competizione allo scopo di “rendere l'America di nuovo grande”. Noto immobiliarista, uomo d'affari (con un patrimonio spropositato) e personaggio televisivo, Trump – che negli anni si è messo in mostra quale “acerrimo nemico” di Obama, dal suo punto di vista nemmeno americano e dunque comandante in capo abusivo – annunciò in grande stile il suo impegno, a New York, dalla “sua” Trump Tower. L'uomo del successo di The Apprentice, l'uomo a cui sono legati i diritti dei concorsi di bellezza Miss USA e di Miss Universe, ben presto avrebbe mostrato il suo lato battagliero e populista, catalizzando l'attenzione su alcuni temi chiave, l'immigrazione in particolare (di recente, durante un dibattito, se ne è uscito con una frase che ha fatto molto discutere: “I rifugiati sono il cavallo di Troia del terrorismo”). Per quello che conta (conta?), il magnate di New York ha in questi giorni ottenuto l'endorsement di Sarah Palin – quella Sarah Palin –, già candidata vicepresidente dei repubblicani nel 2008.
Prima ancora si era affacciato Ted Cruz, senatore 45enne del Texas, figlio di immigrati cubani naturalizzati statunitensi. Qualsiasi sia il tema sollevato, l'idea più a destra è la sua. Sono in molti a credere che Trump e Cruz, in fondo, non siano candidati tanto diversi. Hanno pensieri simili su diverse questioni: l'immigrazione, le tasse, i matrimoni gay, l'aborto. Una massiccia dose di populismo è presente anche nella retorica di Cruz, uno che – nonostante la giovane età – mastica politica da una vita, fervente sostenitore dei valori che a suo dire i repubblicani hanno smarrito nel tempo. Ecco, dopo un anno dicevamo, sono loro due i contendenti più accreditati nella corsa repubblicana alla nomina del candidato presidente, grazie anche ad un'oratoria talvolta spicciola ma diretta, talvolta dura ma efficace. Così, almeno, stando agli ultimi sondaggi, che li distanziano – e di parecchio – dai rivali.
Un primo sgambetto a Jeb Bush arrivò da Marco Rubio, giovane senatore della Florida, ex delfino di Bush quando Bush era governatore della Florida, spesso paragonato a Obama o, per meglio dire, identificato come un potenziale Obama repubblicano. In verità Rubio è un conservatore tutto d'un pezzo, ma ad oggi il massimo cui sembra poter aspirare è il ruolo di terzo incomodo nella sfida a due Trump-Cruz.
In estrema sintesi: nel Gop confidavano in Bush e nell'ultraliberista Rand Paul in veste di outsider, ora si ritrovano a fare i conti con un tipo di candidati che non si aspettavano. In un primo momento sembrava essere il neurochirurgo di fama mondiale, Ben Carson, l'anti-Trump, salvo perdere consensi nel corso dei mesi.
Jeb Bush, quindi? Se vuole rientrare in gioco deve anche sperare in un passo falso di chi lo precede nei sondaggi. Al momento la sua è la figura "più presidenziale" che il partito repubblicano ha proposto, ma la lontananza dalla scena politica (della Florida è stato governatore dal 1999 al 2007) deve avergli tirato un brutto scherzo, trasformandolo anche in un accumulatore seriale di gaffe, inciampando poi su temi spinosi come l'invasione dell'Iraq del 2003 promossa dall'ex presidente, nonché suo fratello, George W. Bush. Non è detto, insomma, che il cognome sia sufficiente per vederlo alla Casa Bianca tra circa un anno.
(anche su T-Mag)
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