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Usa: bufera su Abercrombie & Fitch, accusata di razzismo. “Arriva il Ceo, mandate a casa i commessi neri”

Creato il 15 aprile 2015 da Stivalepensante @StivalePensante

Bufera su Abercrombie and Fitch (A&F), uno dei marchi di abbigliamento più popolari tra gli adolescenti di mezzo mondo. Una delle sue commesse/modelle ha accusato l’azienda di razzismo e comportamenti sessisti. La giovane universitaria americana – che ancora lavora, ma solo saltuariamente, nei negozi A&F – ha definito l’ambiente “tossico e superficiale”.

(globalgrind.com)

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Le accuse di razzismo e sessismo al marchio di abbigliamento Abercrombie and Fitch. Una volta, ha raccontato una giovane americana impiegata ancora saltuariamente nei negozi di A&F, al magazine “xoJane”, in vista dell’arrivo al negozio dell’allora Ceo, Mike Jeffries, i responsabili decisero che i modelli al piano terra dovevano essere “la creme de la creme”, ovvero di fatto, “i più magri, i più alti e i più bianchi possibile”. Nel passato, Abercrombie and Fitch ha già dovuto sostenere diverse denunce per discriminazione, e una in particolare – una class-action nel 2006 di un gruppo di ex-dipendenti appartenenti a minoranze etniche – gli costò 40 milioni di dollari.

Con l’arrivo del Ceo, Mike Jeffries, tutti i modelli neri furono mandati a casa. Secondo l’anonima commessa, l’ex Ceo visitava di frequente il negozio in cui lei era impiegata e uno degli episodi “più vergognosi” avvenne proprio in procinto del suo arrivo: “La maggior parte dei modelli neri furono mandati a casa un’ora prima della fine del turno perchè si aspettava la sua visita”. Negozi in penombra e commessi belli come modelli, A&F ha una politica di assunzione molto rigorosa: si cerca personale di bell’aspetto, nelle pubblicità i maschi sono sempre a torso nudo, alle donne si richiede un trucco naturale, niente smalto alle unghie. Anche le taglie del vestiario non prevedono la “large”. Jeffries, che si è dimesso a 70 anni nel dicembre scorso – in un momento in cui, tra l’altro, le vendite dell’azienda stanno calando – una volta spiegò in questi termini la policy: “Le persone di bell’aspetto attraggano quelle belle, e noi vogliamo un mercato di gente cool, di bell’aspetto… Molto gente non c’entra (con i nostri vestiti) e non può entraci”.

Il caso di Samantha Eloauf, non assunta perché mussulmana: “non rientra nella policy dell’azienda”. Le accuse arrivano proprio mentre la Corte Suprema americana si appresta a esprimersi sul caso di Samantha Eloauf, che ha denunciato la catena di negozi – 834 solo negli Stati Uniti – di non averla voluta assumere perchè musulmana. A&F afferma che non è nella “policy” dell’azienda consentire di indossare “cappelli” di vario genere. L’adolescente, invece, che cercava lavoro a Tulsa, in Oklahoma, nel 2008, sostiene di esser stata rifiutata per via del velo islamico. La sentenza potrebbe segnare un precedente per i diritti dei lavoratori in Usa, perchè i giudici devono decidere se un potenziale impiegato può chiedere in maniera esplicita di essere esentato da determinate regole per via della sua religione. (AGI)


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