Usare un simbolo nella storia

Da Marcofre

Prima o poi, magari per darsi un tono, viene il momento di usare un simbolo in una storia. Bene: come si fa?

Non ne ho alcuna idea, tranne che non può calare dall’alto, ma in un certo senso scaturire dalla storia.

Un esempio? Cormac McCarthy ne usa uno di una banalità sconcertante. Lo troviamo ne “La strada”, ne “Non è un paese per vecchi” (in particolare nel finale) e in altri romanzi.

Si tratta del fuoco.

Questo scrittore statunitense ambienta i suoi romanzi nel West, e il fuoco è quanto di più semplice si possa trovare, giusto? Serve per scaldarsi, cucinare qualcosa, farsi un caffè, eccetera. È prima di tutto un elemento quotidiano e del tutto normale. Di solito accade questo: si usa un elemento, e d’un tratto appare come simbolo.

Ne “Non è un paese per vecchi” il finale è il sogno dello sceriffo, dove il fuoco, è evidente anche ai sassi (anche a me quindi), è un simbolo. Il mondo si è incattivito, anzi ha perso la bussola. Ecco allora la figura del padre che porta il fuoco, lo custodisce. Accende da qualche parte là davanti, un altro fuoco, più grande, per difendersi dal freddo.

Il fuoco lo troviamo pure ne “La strada”. Al di là della sua qualità, delle sue caratteristiche che lo rendono fondamentale, non solo nel West ma nella vita di tutti i giorni, l’autore ricorre a esso per trasmettere dell’altro. Non lo ficca nella storia, perché sarebbe ridicolo.

Nemmeno scrive in un modo tale da suggerire: “Ehi, lettore! Attento adesso perché entra in scena un simbolo! Mi raccomando!”

Sono anzi persuaso che molti leggano i libri di McCarthy senza nemmeno badare al simbolo del fuoco. Quindi si tratta di opere scritte male? No.

Non c’è scritto da nessuna parte che si debba usare un simbolo. Spesso accade che ve ne sia uno nella storia, ma all’insaputa dell’autore. Quindi è del tutto inutile imporsi di scrivere e di ricorrere a un simbolo per trasmettere un messaggio per pochi eletti. Anzi: un buon simbolo anche se non viene percepito come tale dai lettori, sarà in grado di dare i suoi frutti.

La buona narrativa agisce all’insaputa di chi scrive.


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