Uscire dal lavoro nero per sempre

Da Fioridilylla @c_venturini

Fiori di lillà
Immagine da Google.it

Le mie giornate volano all'insegna del fundraising, del crowdfunding e dei social media. Tuttavia, oggi ho dovuto tirare una linea netta. Perché lavorare senza un contratto e senza una retribuzione, ovvero essere parte del lavoro nero, è una situazione negativa.
L'iniziale stage non retribuito non è mai esistito, visto e considerato l'assenza di un Ufficio Fundraising e/o di un Ufficio Stampa e visto che tutto questo avrei dovuto personificarlo io stessa. Perciò, senza voler sottilizzare  alcuni aspetti, pur importanti (come l'assenza di tutor, di progetto per me e di contratto di stage), capaci di generare frustrazione, ho deciso di lasciare tutto il tempo necessario all'associazione, in serenità e senza rancore, per capire se sono interessati (o meno) al regolarizzarmi. Quel che potevo fare gratuitamente, con tutta la buona volontà, la passione e l'umiltà di cui parla la nostra "adorata" Ministro Fornero, l'ho fatto. Da qui in avanti, ho la necessità di un regolare contratto, di una retribuzione consona e di un'assicurazione (il mio luogo di lavoro dista 50 km da Roma, scendo in una stazione da lupi, i miei rischi me li corro). Ciò detto, vado avanti. E, in questo, mi sta aiutando Natalie.
Il molto che ho già realizzato è tutto in questo post. Se riceverò una proposta di lavoro consona, dovrò, nel futuro, gestire molti aspetti di social media marketing avanzato, avviare un programma di raccolta fondi annuale, lavorare sul personal branding, creare una rete di blogger, costruire e riempire di contenuti il nuovo sito web/blog, costruire una rete di relazioni e di occasioni, creare e-book a tema, organizzare eventi, formare altre persone totalmente analfabete di 2.0 per includere e coinvolgerle nella generazione di contenuti adatti ai profili social, a Google e alle finalità e tanto altro ancora!
Per un simile impegno non è possibile accettare nulla al di fuori di una regolarizzazione lavorativa, anche in virtù del fatto che il mio impegno è giornaliero, non occasionale. Inoltre, raccogliere fondi non è un'attività che si può improvvisare. Questo significa che ho bisogno di formazione e di studiare per ottenere la certificazione e.. questa certificazione ha i suoi costi, sia che la ottenga a Roma, sia che salga fino a Forlì. Non basta un mese per riempire d'oro le caverne di Zio Paperone. Soprattutto quando il tema è la tossicodipendenza, soprattutto quando si ha a che fare con la crisi economica e, soprattutto, quando c'è tabula rasa su ogni fronte ed è tutto da costruire. Soprattutto, infine, quando si inizia nel periodo esatto in cui le aziende hanno già chiuso i loro spazi per le donazioni nuove oppure hanno un piano donazioni specifico e definito, nel quale non vogliono far entrare nessun'altra nuova associazione. Soprattutto, infine bis, quando il tema della droga viene sentito come libera scelta, non come malattia, e quindi non vi è motivo per spendere un euro nei confronti di persone che hanno liberamente scelto di farsi del male (questo è il pensiero ricorrente e bisogna riconoscerlo, per poterci lavorare).
Quello che potevo fare in poche settimane di lavoro l'ho fatto: ho contattato aziende, ho iniziato a creare una community e a lavorare sul brand, ho creato contenuti (scritti, fotografici e slide) per il profilo Facebook, ho iniziato a coinvolgere gli utenti e ho iniziato a impostare l'ossatura del nuovo sito. In poche settimane sono riuscita ad ottenere una promessa di donazione di porte e infissi e di una 50ina di libri per la biblioteca. Certo, in un mese non ho portato milioni sul conto corrente, come mi è stato fatto notare. Se esiste un fundraiser capace di farlo, vorrei conoscerlo per imparare. Ho lavorato sul mio pc perché, come detto, non esistendo un ufficio fundraising ma dovendo condividere un unico computer con più persone, ho preferito portarmi avanti con il lavoro in autonomia. Credo di aver fatto molto e credo che i risultati che ci sono stati siano positivi, considerando il poco tempo. Dimenticavo: questa è la mia prima esperienza come fundraiser.
In futuro, al cambiare delle condizioni, vorrei essere più "veloce" nel prendere in mano la situazione e porre il problema, onde evitare "rogne" di vario genere. Da subito, infatti, avrei dovuto chiedere delucidazioni sul mio stare lì, essendomi resa conto dal primo giorno che non avrei fatto alcuno stage e che, anzi, avrei dovuto lavorare in autonomia. In futuro vorrei avere più coraggio nel mettere in chiaro subito, in serenità, le condizioni per poter lavorare. Sto cercando di imparare un nuovo modo di fare e non è semplice perché vivo ancora la pressione del "non dover chiedere" una retribuzione perché altrimenti l'azienda/l'associazione ha un'opinione negativa di te. Il problema nasce quando questa parte di me si scontra con la realtà e con il bisogno di vivere, non sopravvivere. Sto cercando un riconoscimento lavorativo e professionale e voglio avere un ruolo e delle responsabilità. Questo implica anche il rispetto dei confini e dei limiti. Se ho un ruolo riconosciuto posso permettermi di contestare o bloccare, in certi casi. Senza un riconoscimento, non ho voce in capitolo, il mio lavoro può essere distrutto a piacimento o trattato con poco rispetto oppure ancora violato negli spazi senza un vero perché. Questo è uno dei miei talloni d'Achille. Mi ci scontro sempre, sia nel privato che nel professionale.
Credo che questo sia un problema anche in molte realtà aziendali e sociali italiane: hanno un disperato bisogno di sopravvivere e di una persona competente che le aiuti, ma quando la trovano -  e devono affrontare cambiamenti - l'idillio si inceppa. E' normale. Soprattutto nelle realtà statiche, abituate a ritmi placidi e gerarchie confuse, in cui ognuno può fare tutto e non c'è un controllo di obiettivi, qualità, risultati, dove il capo non fa il capo e i sottoposti fanno come quando il gatto non c'è e i topi ballano. In questi casi, in linea generale, accade che il "tran tran" su cui ci si è adagiati è un motivo sufficiente per boicottare il cambiamento, anche se si è assolutamente consapevoli di rischiare il tutto per tutto. Ripeto: è normalissimo. E' un meccanismo psicologico umano. E' come quando vai in terapia e dopo i primi "convenevoli" il terapeuta ti chiede: comprendo il problema, prima di iniziare a lavorare ti chiedo: "Sei disposto a cambiare? Sei disposto ad accettare che non guarirai in una settimana, ma potresti aver bisogno di più tempo?". E' come quando vai dalla dietologa e ti dice:"La dieta te la posso dare. Tu sei disposto a fare sport e a seguire quel che ti dico?" Se dici di sì, ma poi fai come credi, ti metti di traverso, metti in dubbio, non riesci ad essere costante e quindi qualcosa si incrina: è chiaro che ci sarà un insuccesso, che sorgeranno conflitti. Ancora più palese quando non riconosci la figura professionale contattata ovvero non paghi per il servizio che chiedi e non firmi alcun contratto - quindi non ti assumi nessuna responsabilità - nei suoi confronti. Questo accade, per esempio, in tutti i servizi di terapia gratuita: poche sono le persone che riescono a prendere sul serio qualcosa di importante per cui non pagano. Dare un valore ai servizi che si ricevono è importante.
Il rapporto è sempre bidirezionale. Non voglio essere l'invisibile ultima arrivata, senza contratto, senza stipendio, che parla ma nessuno rispetta a livello professionale perché, nella gerarchia di un'azienda/associazione/ente, un lavoratore in nero non conta nulla. Voglio essere riconosciuta ed essere chiamata con il nome che mi spetta (social media maganer e/o junior fundraiser). Voglio che il diritto al lavoro retribuito non mi sia più negato e voglio che, se la spending review colpisce il luogo in cui lavoro, questa non si debba abbattere in toto sulle mie spalle, negandomi la possibilità di sopravvivere, quindi non pagandomi. All'inizio ho accettato lo stage non retribuito perché le prospettive che mi si erano aperte davanti - prospettive di formazione e apprendimento - erano interessanti e il gioco poteva valere la candela. Inoltre, volevo proteggermi dall'ignoranza di ritorno, dalla depressione e dall'angoscia del cercare ossessivamente lavoro o nel sostenere colloqui ridicoli oppure ancora offensivi. Nel corso del tempo ho compreso molte più cose di quante non se ne potrebbero comprendere in un colloquio di lavoro, in particolare ho compreso che non avrei avuto futuro non "per colpa mia", ma perché la struttura stessa rischia costantemente la chiusura... a partire dalla ASL. Vivo un contrasto dentro di me: potrei fare molteplici cose per loro. Davvero. E sarei felicissima di poterle fare. Ad oggi, le prospettive che c'erano a settembre, non ci sono più. Per forza di cose, anche dopo il colloquio con la loro commercialista (la quale mi ha ipotizzato un lavorare con ritenuta d'acconto per un massimo di 30 giorni all'anno e 5000,00€ di guadagno all'anno, ovvero 416,66€ al mese a cui va tolto il 20% di I.V.A. ) sono costretta a ritornare sulle mie valutazioni iniziali e a chiedere una modifica degli accordi, proprio in virtù del fatto che ci sono stati cambiamenti importanti (da stagista a libera professionista ce ne passa).  Ad oggi, inoltre, l'apertura della partita I.V.A. è un passo da ponderare con molta attenzione: senza la certezza di guadagni reali da fatturare, avrei i costi sulle mie spalle e ... a mala pena so se riuscirò a pagarmi la retta per l'università il prossimo anno, figuriamoci aggiungere altri 1500,00€ di commercialista! 
In questo mese ho inviato altri preventivi per dei lavori social: vedremo se si concretizzerà qualcosa. Nel mentre faccio i conti con i miei soliti disturbi fisici e l'altalena emotiva nata dalla difficoltà - sempre più grande - nel gestire l'emotività di queste situazioni così sfiancanti. Vorrei poter vivere, almeno una volta nella vita, la serenità di andare a dormire sapendo per certo che potrò contare su un'entrata stabile, almeno per un mese. Non dico un anno. Un mese. Mi basterebbe. Davvero. Me lo farei bastare e cercherei di vivere il momento, senza pensare che sarebbe solo un mese. Che cosa si prova ad avere uno stipendio fisso che ti viene accreditato o che fatturi al mese? Che cosa si prova nel firmare un contratto vero? Che cosa si prova sapendo di avere delle garanzie? Ve lo chiedo perché io vi so parlare solo di che cosa si prova nello stare nel mondo del lavoro nero, non retribuito e non riuscire ad uscirne, nonostante tutta la fatica, lo sforzo e la grinta. Che cosa si prova? 
In apertura dicevo che Natalie mi sta aiutando. E' vero. Con lei sto progettando un nuovo sito vetrina e una nuova veste grafica per questo blog per dare uno slancio in più all'attività di libera professionista e, quindi, per riuscire ad uscire da questo pantano lavorativo in un periodo consono. Vorrei raccontarvi tanti particolari, ma vi rovinerei la sorpresa. Natalie, come le ho detto oggi, mi sta raccogliendo con il cucchiaino e mi sta aiutando a focalizzare cosa vorrei, come me lo immagino, cosa mi piace. Ha tanta pazienza e anche la fermezza necessaria per aiutarmi a mantenermi sulla "retta via". In questo momento ne ho tanto bisogno. Per ora posso solo ringraziarla pubblicamente. Di cuore.
Che dire, infine, del crowdfunding? Che sabato andrò al convegno che mi ha regalato Antonio e che seguirò il workshop sulle donazioni online. Vorrei ringraziarlo ancora una volta per il regalo che mi ha fatto: lo apprezzo e farò il massimo per viverlo e sfruttarlo al meglio. Mi sto informando anche per altri corsi sul fundraising, ma costano molto. Non posso sostenere queste spese, anche se le potrei rateizzare. A disposizione ho un budget limitato, che  mi deve durare fino a quando non troverò un'entrata fissa con uno stipendio/fatturato. Per ora, quindi, sfrutto la conoscenza sul web, gli articoli, le slide, l'apprendimento nato dallo studiare quel che gli altri fanno, soprattutto su Twitter e su Facebook. Spero che tutto questo mi aiuti e voglio credere nel futuro.

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