Tratto dal celebre e surreale manga del maestro Ito Junji (il Lovecraft del Sol Levante, come è stato più volte definito), Spiral riesce, con una notevole originalità, a riproporre, cn intelligenza e inattesa efficacia, il feroce straniamento delle tavole disegnate.
Spiral è soprattutto un film bellissimo, che fa della forza delle immagini la sua arma di fascinazione: con una fotografia potente e spesso virata al verde, lunghe carrellate di circolari (a richiamare la spirale – uzumaki, in giapponese – segno e simbolo a cui tende l’intero film) e una quantità di dettagli gore decisamente bassa ma utile a scandire il ritmo, la pellicola di Higuchinsky, nonostante una forte cripticità, appassiona e contemporaneamente spiazza, precipitando lo spettatore in un incubo folle da cui però non si vorrebbe mai svegliare.
È dotato di una sorta di forza ipnotica, il film di Higuchinsky, con le sue spirali che compaiono improvvisamente sullo sfondo, con la sua storia eccentrica e il suo finale aperto.
Non appaia, però, tale espediente, una comoda scorciatoia per riempire voragini narrative, buchi di sceneggiatura o mancanza di idee,
Spiraliforme anche nella sua struttura narrativa e linguistica, con una trama che si avviluppa progressivamente e progressivamente si avvicina al centro della spirale, il film ci propone nuove soluzioni ad ogni anello concentrico, fino a che, raggiunto il cuore della spirale attraverso un climax sempre più denso di alterità, si torna ad un nuovo inizio.
Higuxhinsky è talmente bravo nel dipanare le concatenazione della trama attraverso soluzioni linguistiche e di messa in scena funzionali ed efficaci, nonostante
Uzumaki è un film divertente e divertito, che riesce a trasporre il manga omonimo da cui è tratto, e contemporaneamente risulta raccapricciante e inquietante, e poi ancora psichedelico, contorto, incredibile, innovativo e oscuro.
Siamo storditi dalle innumerevoli e sempre più frequenti apparizioni delle spirali, mostrate in maniera quasi subliminale, sottile, come fosse un difetto di vista o un effetto ottico, senza che, in realtà, esse si sostanzino nel rappresentare una metafora di alcunché, restando inspiegabili e inspiegate, contribuendo a rendere il film ancora più inquietante e disturbante.
Written by Alberto Rossignoli
Fonte
M. Lolletti – M. Pasini, “Storie di fantasmi. Il nuovo cinema horror orientale”, Foschi Editore, Forlì 2011.