V for Vendetta va annoverata tra i primi lavori di Alan Moore e risulta, dunque, lontana dal genio creativo di The Swamp Thing e Watchmen, opere riconosciute mondialmente quali capolavori della letteratura a fumetti. Nonostante ciò, la storia del ribelle V presenta già, seppur in forma embrionale, alcuni dei temi ricorrenti e delle caratteristiche stilistiche tipiche dei lavori di Moore e che vedranno, in seguito, pieni e maturi evoluzione e sviluppo.
Tra le principali tecniche narrative adoperate da Moore in V, è possibile riscontrare innanzitutto l’intertestualità, ossia un attento lavoro di riscrittura e reinterpretazione delle tradizioni culturale e letteraria, accompagnato da una acuta e profonda riflessione sulla società e sulla natura umana.
Intertestualità in V for Vendetta
Gran parte della letteratura di Moore è incentrata sull’intertestualità intesa quale creativa reinterpretazione di elementi familiari e tradizionali. Il mondo della narrativa è la principale fonte di ispirazione del nostro autore tanto che, come egli stesso dichiara, le sue idee derivano principalmente dalla tradizione letteraria o scaturiscono dal riutilizzo dei principali miti della civiltà occidentale: “ If anything, I’d say that what I’d like to do as a writer is to try and translate some of the intellect and sensibilities that I find in books into something that will work on a comics page.”1
Attraverso la de-costruzione prima e la ri-costruzione poi di elementi narrativi preesistenti e ben consolidati, Moore reinterpreta e lancia un guanto di sfida a simboli e idee arcinote e comunemente accettate da tutti, riproponendoli in contesti estranei/altri e, pertanto, rivestendoli di significati inediti (l’innovativa decostruzione dell’eroicità tradizionale dei supereroi Marvel in Watchmen ne è un esempio più che lampante).
La reinterpretazione del “classico” assume spesso in Moore una forma parodica, mediante l’attribuzione di tratti sovversivi e inaspettati a formule già note. Va precisato, tuttavia, che questo tipo di parodia non sfocia in un atteggiamento critico verso la fonte d’ispirazione ma diventa piuttosto una sorta di tributo con il quale Moore omaggia l’opera originale che viene sempre rispettata e mai oscurata o ripudiata. Il risultato di tale operazione è un arricchimento delle tecniche narrative tradizionali nonché la generazione di una nuova modalità di narrativa – le cui fondamenta poggiano, però, su stilemi tradizionali – che deriva dalla natura de-costruttiva della scrittura di Moore. Attraverso la manipolazione di forme e formule antiquate, l’autore dà vita, di fatti, a una riflessione critica su aspetti essenziali – sociali politici e culturali – della nostra esistenza.
Nonostante sia meno evidente rispetto a lavori quali Miracleman o Watchmen, il ricorrente uso di espedienti intertestuali rende V for Vendetta un’opera fortemente dinamica con continui rimandi non solo al canone letterario o alla tradizione classica del fumetto ma anche alla cultura popolare, con citazioni provenienti dal mondo della musica, dell’arte figurativa e del cinema.
Il personaggio di Evey Hammond è un primo esempio della dissimilarità decostruttiva che caratterizza l’intera opera. Il ruolo della ragazza ricorda chiaramente al lettore la figura del giovane aiutante dell’eroe principale, elemento tipico della letteratura a fumetti classica. Tuttavia, il fatto che Moore scelga un’aiutante donna costituisce certamente un fattore di novità, assolutamente non casuale, dato che la femminilità di Evey si carica di un forte simbolismo in tutta l’opera.
La reinterpretazione intertestuale che Moore adotta in V for Vendetta, inoltre, è perfettamente sintetizzata già nella sola figura del protagonista, V, che vuol essere un supereroe ma che nulla, o quasi, ha che vedere con il supereroe classico. Tanto la sua caratterizzazione fisica (l’oscuro costume da Guy Fawkes), quanto la natura stessa della sua lotta contro i “cattivi” (V non protegge lo stato dal mostro di turno ma piuttosto difende i cittadini dal mostruoso regime che li governa), stridono fortemente con gli stilemi tradizionali e consolidati del mondo del fumetto.
Come già accennato, anche la connotazione fisica di V è lontana anni luce dal tipico abbigliamento del supereroe e rifugge le classiche tutine aderenti alla Superman, corredato dalle iniziali dell’eroe. Sia Moore che Lloyd intendono infatti evitare di ricadere in un simile cliché, disegnando per V un travestimento molto più austero, fatto solo di un mantello nero, un cilindro e una maschera da Guy Fawkes, che basta indossare per dar vita alla “trasformazione” – senza dover ricorrere a formule magiche.
Inoltre, seppur estremamente abile e intelligente, e dunque connotato da due qualità da sempre associate supereroi, V non possiede doti sovrannaturali e ancor meno superpoteri; sembra, quindi, essere più un comunissimo membro della razza umana piuttosto che appartenere alla folta schiera di paladini coraggiosi, in lotta per far trionfare la giustizia. Proprio come accade in Watchmen, l’eroe assume una connotazione ben più umana e realistica.
Moore mette in piedi, in tal modo, un’intricata rete di connessioni i cui significati profondi si scagliano ben al di là del mero livello testuale-narrativo. Partendo da un’idea inizialmente avanzata da David Lloyd, l’autore sviluppa il concetto in modo da inglobare alla perfezione i temi della ribellione e della messa in discussione del potere stabilito che permeano l’intero lavoro. Anche il parallelismo con Guy Fawkes si dimostra essere, ancora una volta, uno splendido esempio del decostruttivismo di Moore: l’autore, infatti, modifica l’interpretazione tradizionale della figura di Guy Fawkes che da traditore della patria, come viene comunemente ricordato nei libri di storia, si trasforma in figura salvifica ed eroe. Tramite un ironico capovolgimento della storia ufficiale –V/Guy Fawkes riesce alla fine a far esplodere il Parlamento – il nostro autore sembra suggerire che non è il fallimento della ribellione, e pertanto la vittoria del Potere, che deve essere ricordato ma, piuttosto, la ribellione stessa, in quanto simbolo di libertà.
Fin dalla sua prima apparizione nelle pagine iniziali della graphic novel, la Galleria, stipata di libri e opere d’arte, appare cromaticamente in contrasto con il regime: le tavole in fondo alla pagina che ne ospitano la rappresentazione, infatti, mostrano sfumature calde e chiare di colori quali il rosa e il giallo che vanno a scontrarsi con il grigiore e l’oscurità delle tavole in alto, dove il regime viene disegnato in tutta la sua mestizia.
Osservando attentamente, è facile scorgere nella collezione di V opere ben riconoscibili al lettore: Utopia di More, che descrive una società ugualitaria e libera, chiaramente opposta al regime dittatoriale del Norse Fire o La Capanna dello Zio Tom di Stowe, una storia contro la schiavitù dei neri d’America che si scontra con il sistema repressivo attuato dal regime nei confronti delle persone di colore. Qualche pagina dopo, è possibile scorgere altri volumi ancora: da Frankenstein ai Viaggi di Gulliver, passando per il Faust e Don Chisciotte, assieme a svariate opere di Shakespeare e alla Divina Commedia del nostro Dante. Poco più in là, il Dottor No e Dalla Russia con amore di Fleming: Dante e 007 a braccetto!
Tra le citazioni musicali vanno elencate Simpathy for the Devil dei Rolling Stones e I’m Waiting for the man di Lou Reed. La tradizione del cabaret e del Music Hall ripercorre invece tutto il secondo libro, dal titolo The Vicious Cabaret mentre riferimenti impliciti alla musica classica sono disseminati in tutta l’opera.
Di particolare rilievo, l’omaggio che Moore rende a Shakespeare attraverso continue citazioni tratte dalle opere del grande bardo inglese. Ancora una volta, l’autore riesce a creare nuove e inedite interpretazioni di classici letterari, estrapolandone i versi e immergendoli in un contesto del tutto inusuale e originale. Il risultato è una forte decontestualizzazione dell’opera che provoca un effetto di straniamento e di messa in discussione dell’intero universo letterario.
Nelle pagine iniziali del testo, ad esempio, V recita un passo tratto da Macbeth, Atto I, scena 2, ma, in un mondo in cui il passato culturale è stato cancellato dal regime, nessuno è in grado di riconoscere la citazione di V, motivo per cui il poliziotto lo bolla come una specie di ritardato scappato da un ospedale.
Più nel dettaglio, i versi di Macbeth citati nelle pagine iniziali della graphic novel, sembrano suggerire una implicita connessione tra la pazzia di quest’ultimo e l’atteggiamento folle in cui spesso ricade il fervore ideologico di V. Si pensi alle tavole che mostrano V che, dall’alto di un tetto, contempla estasiato la distruzione di alcuni edifici chiave simbolo del potere del regime, dirigendone la stessa demolizione con una bacchetta, a mò di direttore d’orchestra.
Il tema del teatro è ricorrente nelle azioni e nella persona di V. Tanto il suo abbigliamento quanto la frequente messa in scena di situazioni drammatiche posticce – si pensi alla finta prigionia di Evey nel campo di concentramento di Larkille – potrebbero alludere alla falsità e ipocrisia del mondo moderno: Moore sembra indicare in questo modo che lo sconsiderato abuso di potere assieme all’alienante processo di “lavaggio del cervello” messo in atto dai media creano una distorsione del mondo tale da rendere impossibile la distinzione tra realtà e finzione. Inoltre, l’attitudine “teatrale” di V e la ricostruzione delle magiche atmosfere degli anni ’30 stridono con il piglio realistico del testo e delle illustrazioni, ulteriore indizio dell’intricata pantomima messa in atto da V, finto supereroe. Egli, infatti, non è altro che un attore, i cui trucchi verranno svelati dal detective Finch che, alla fine, riuscirà a scoprire e a localizzare il nascondiglio di V nel mondo “reale”.
La tecnica di ri-elaborazione delle fonti culturali e letterarie appare, dunque, una delle tecniche più efficaci tramite cui Moore svecchia e rinnova il mezzo fumettistico. Tramite allusioni, citazioni e parodie, l’autore costruisce una fitta reti di riferimenti testuali e non testuali, un labirinto intertestuale, vera e propria sfida anche per il lettore più attento che, come Evey, continuerà a chiedersi: “It is, isnt’it? It’s another bloody quote!”2