Va bene così

Creato il 06 luglio 2012 da Robomana
Non è che ci sia molto da dire sull'uscita italiana, oggi, a inizio luglio, quando ormai al cinema non ci va più nessuno, a parte per vedere quella merdata di Spider Man, che se anche ne facessero un altro uguale tra un mese ci sarebbero quelli intelligenti che direbbero che a loro piace perché è cultura popolare e poi in fondo l'uomo ragno è un eroe chiaroscuro, mica uno tutto bianco o tutto nero, non c'è molto da dire, dicevo, sull'uscita di The Way Back di Peter Weir. O meglio, ci sarebbe da dire che è l'ennesimo ritardo della stagione, dopo quelli di Hunger, di Prometheus, di Margaret (di cui tra qualche giorno parlerò, e poi in questo caso le ragioni non dipendono troppo dall'Italia) e allora ti metti l'anima in pace e pensi che ormai è impossibile non cercare di vedere i film in qualche altro modo, visto che senza fare i pirati The Way Back era disponibile in dvd già più di un anno fa. Comunque, è difficile trovare un motivo per cui il film di Weir, mica uno a caso, arrivi solo ora: non è certo al livello dei suoi migliori, e questo lo si poteva già intuire, ma non è nemmeno brutto. Anzi. Se la sceneggiatura, specie all'inizio, nella parte ambientata nel gulag, non ci va troppo per il sottile, con i protagonisti che impiegano zero minuti a evadere da un posto in cui milioni di persone sono morte, non è che regista e sceneggiatori si siano bevuti il cervello, ma forse perché The Way Back non è un film sui campi di prigionia sovietici, ma una storia di sopravvivenza e di sfida dei limiti fisici umani, in cui il cinema cerca di riscattare la storia umana, i suoi orrori e i suoi errori, lasciando sullo sfondo la violenza dell'uomo sull'uomo e mettendo in primo piano il confronto con la natura, con il freddo della Siberia, il vuoto della steppa, il caldo del deserto, la pericolosità dell'Himalaya. La cosa migliore del film è che pur trattandosi di una storia di fuga non è mai di conseguenza una storia d'inseguimento (cosa che mi avrebbe immancabilmente rotto le balle): i fuggitivi non si guardano mai indietro, non hanno mai nessuno che li cerchi, il loro sguardo è rivolto verso l'orizzonte, verso un mondo da creare o immaginare, come nella scena più che metaforica del miraggio, e poi da raggiungere. The Way Back è la storia di una palingenesi, che non a caso si chiude - in maniera un po' forzata - con la fine del comunismo e il ritorno in Polonia del protagonista. Sembra un sogno, non un pezzo di storia reale come a quanto pare dovrebbe essere, ma poco importa: serve al film per chiudere il cerchio, e allo spettatore che ha creduto che si potesse fuggire da un gulag mettendosi d'accordo con altre cinque o sei persone, senza nemmeno essere inseguiti, va bene così.

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