Viaggiare nello spazio è un po’ meno rischioso di quanto si pensasse. Almeno per quanto riguarda il rischio mutageno. Le dosi effettive di radiazioni assorbite dagli astronauti sono infatti significativamente inferiori – fino al 200 percento – rispetto a quelle rilevate dai dosimetri che comunemente indossano. È quanto emerge dai risultati dell’esperimento Matroshka, una serie di tre lunghissime campagne di misura – oltre un anno ciascuna – condotte fra il 2004 e il 2009 dentro e fuori dalla Stazione spaziale. A fare da cavia, un manichino hi-tech dalle sembianze vagamente antropomorfe, imbottito di rivelatori per raggi cosmici e di autentiche ossa umane.
La “dose effettiva”, rispetto all’esposizione stimata dai dosimetri, è un parametro assai più affidabile per valutare il rischio di mutazioni cancerogene. Per misurare in modo puntuale quanta radiazione effettivamente viene assorbita dagli organi interni, il manichino in plastica – testa e tronco, senza gambe – del progetto Matroshka, realizzato quasi interamente presso l’Istituto di fisica nucleare dell’Accademia per le scienze polacca (IFJ PAN), conteneva ben seimila rivelatori termoluminescenti, consentendo dunque un’analisi realistica della distribuzione spaziale dell’esposizione. Rivelatori costituiti da un reticolo cristallino di fluoruro di litio opportunamente drogato.
Inoltre, poiché i raggi cosmici (particelle come protoni, o ioni più pesanti, a elevato livello energetico) presenti nello spazio hanno sulle cellule un effetto mutageno assai superiore a quello delle radiazioni ionizzanti che possiamo trovare sulla Terra (raggi gamma, essenzialmente), all’interno del manichino erano presenti anche scintillatori plastici, grazie ai quali è possibile discriminare fra i due tipi di radiazione. Infine, il manichino era avvolto in una sorta di mantello costellato di rivelatori analoghi ai dosimetri indossati dagli astronauti, così da poter confrontare i diversi tipi di misure.
Delle tre campagne di misura, due sono state condotte all’interno del modulo russo presente sulla ISS, e la terza all’esterno, dentro a un contenitore schermato in modo tale da simulare l’effetto protettivo di una tuta spaziale. Terminata la lunga e inedita raccolta, il manichino è stato riportato sulla Terra per le analisi. Risultato: i dosimetri comunemente indossati dagli astronauti sovrastimano la dose effettiva di raggi cosmici del 15% per quanto riguarda l’esposizione all’interno della ISS, e addirittura del 200% per quella nello spazio esterno.
Attenzione però: questi numeri non vanno letti come un via libera alle lunghe traversate interplanetarie. «Non dobbiamo dimenticare», mette in guardia Paweł Bilski, fisico all’IFJ PAN, «che le misurazioni svolte durante l’esperimento Matroshka sono state eseguite su un’orbita bassa, dove l’azione della magnetosfera terrestre riduce in modo significativo il numero di particelle cariche dovute alla radiazione cosmica. Nello spazio interplanetario questa schermatura è assente». Insomma, dosi sì più contenute di quanto stimato fino a oggi, ma ancora pericolosamente elevate.
Fonte: Media INAF | Scritto da Redazione Media Inaf