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VACCHE AMICHE | Un’autobiografia non autorizzata di Aldo Busi | Recensione di Marco Cavalli

Creato il 28 marzo 2015 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia
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aldo_busi_vacche_amiche_marco_cavallidi Marco Cavalli

Metti un viaggio Montichiari-Davos a dicembre, “cinque ore e mezza di auto, facciamo sette a prendersela comoda”, con alla guida il meno italiano tra gli scrittori in lingua italiana la cui “disinvolta incorruttibilità” fa il paio con un uso di mondo che non si concede né perdona la minima infrazione di etichetta. Di che cosa si potrebbe chiacchierare con uno così, che ha già detto e dato tutto nei suoi libri e che soprattutto non parlerebbe mai “tanto per far andare la bocca”? Per tacere che, come tutti i viaggi di Aldo Busi, anche questo è un viaggio letterario, e come tale non contempla né tempi morti né strade programmaticamente maestre né imprevisti che non si rivelino appropriati e tempestivi. Per esempio, se una mandria di vacche ti blocca lungo la strada, e nevica, saperle mungere ti salverebbe da sicuro assideramento. Guai a credere che i contrattempi servano solo a rallentare il viaggio: essi sono spesso l’unica ragione per intraprenderne uno. Tocca a ognuno di noi evadere dal proprio sistema di attese e fare in modo di farsi amiche persino le vacche che gli tagliano la strada. Questa è una morale tra le molte e diversificate che si possono trarre da Vacche amiche (un’autobiografia non autorizzata), l’ultima opera di Aldo Busi (Marsilio edizioni, pp. 177, euro 15, 50) in libreria dal 19 marzo.

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Vacche amiche è il romanzo anomalo di un viaggio impossibile da compiere e tuttavia compiuto. Impossibile perché a Busi non interessa fare un ennesimo  viaggio che consista in uno spostamento geografico; perché egli sa di non poter trovare da nessuna parte qualcuno in grado di chiacchierare con lui (uno scrittore) alla pari; infine, perché tra il viaggiare da soli e immaginarsi il viaggio senza farlo il passo è breve.

Insomma, il punto di partenza di Vacche amiche sembra essere lo scetticismo imperfettibile del “Non si può andare avanti così!”. Critico come sempre verso i suoi tempi e l’umanità che li abita, Busi si scaglia anche in questo libro contro il cosiddetto progresso scientifico, i rapporti tra i sessi, le religioni di massa e confessionali, esponendo le ragioni che uno scrittore come lui potrebbe addurre a sostegno del proprio sopravvenuto immobilismo. Ma non esiste in Italia e fuori dall’Italia uno scrittore capace come Busi di descrivere esattamente la paralisi antropologica del paese Mondo e subito dopo di dare un calcio a quella descrizione se appena la sua esattezza accenna a diventare una posizione di comodo, una consolazione, una superiorità.

Scrivere, per Busi, significa andare in cerca dell’umano al di fuori dell’unica umanità ammissibile: la propria. Se intorno a lui l’umanità fa del suo peggio, Busi non si rassegna ad accontentarsi del proprio meglio. Non si trincera, non si arrocca in una intelligenza stanziale delle cose, anche se munita di ragioni sacrosante, anche quando si tratta di una stanzialità cui si è pervenuti al termine di migrazioni innumerevoli e mirate, anche quando lo star fermi è prodotto più dal paesaggio fattosi indifferenziato che non dal tracollo di una curiosità personale. Se la ragione è “un moto a luogo con soste brevissime”, quella di Busi, nomade e ballerina quanto la sua scrittura, disegna da una pagina all’altra di Vacche amiche una mappa fatta tutta di digressioni, di deviazioni da percorsi obbligati. In una parola: una mappa di Utopia, tanto disorientante quanto divertente nel senso etimologico della parola.

E così, nonostante Busi sia lo scrittore che è, nonostante gli italiani siano i non lettori che sappiamo, il viaggio Montichiari-Davos ha inizio. Non serve muoversi, basta farlo attraverso le pagine di Vacche amiche, lasciandosi guidare dallo scrittore, riscaldati dalla sua affabulazione allegra, precisa, affettuosa. Durata della lettura: dalle cinque alle sette ore, “contrattempi inclusi”.

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Ecco allora l’amore dell’uomo e della donna dedotto dalle rispettive pornografie. Ecco le stupende considerazioni sulla traduzione quale metafora dell’unico spostamento che meriti di essere sperimentato, quello verso la cultura che ancora non ci appartiene. Ecco l’amicizia esaminata dal punto di vista dei tradimenti necessari che comporta la sua manutenzione. Ecco una memorabile trinità di “donne a priori”, tra le quali spicca una meravigliosa creola, emblema del Potere Forte, la quale preferisce capitalizzare le passioni nell’irrevocabilità del ricordo anziché spenderle al presente, godendo non di avere una relazione col cognato all’insaputa del marito, ma del fatto di averla avuta alle spalle dello scrittore che la reputava intoccabile dalla trivialità di simili grovigli dinastico-incestuosi. Ecco un altrettanto sinistro terzetto di “compagnoni italiani di sinistra”, specializzati nel predicare integrità e nel razzolare prostitute. Ecco alcune pagine definitive su sessualità & politica, in cui Busi enuncia la regola aurea dell’azione politica più alla portata di qualunque cittadino, e dunque dell’azione politica imprescindibile: “Se volete fare qualcosa per una democrazia che non sia una dittatura come questa, dite qualcosa di spinto sulla vostra sessualità, a tavola, in mensa, in fabbrica e, principalmente, sulle pedane dei grandi discorsi sul progresso e la ripresa economica in televisione.” E conclude: “Per venire al dunque, divagate: divagate verso quelle parti lì dove non batterà mai abbastanza il sole della parola ragionata.”

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Che Vacche amiche sia un libro utopistico dovrebbe essere chiaro fin dal sottotitolo, che recita “Un’autobiografia non autorizzata”. Esso è racchiuso tra parentesi non allo scopo di evidenziarne la natura di titolo secondo o di rinforzo, o non solo per questo. La parentesi indica che per essere inteso il sottotitolo va, per l’appunto, messo “tra parentesi”: bisogna leggerlo, cioè, con quell’attenzione o premura speciale che le parole della letteratura pretendono dai lettori quando costoro lettori vogliono esserlo davvero.

Vacche amiche è un libro avveniristico per via dei lettori  in cui confida senza farsi alcuna illusione; lettori che elabora, inventa, col semplice presupporli. È un libro inventivo perché, scavando nella mente dello scrittore che c’è ma nessuno vuol vedere, riempie quella del lettore che non c’è e vuole vedersi dappertutto. Una autobiografia del non lettore di oggi, non autorizzata dal non lettore di oggi – “monsemblable, monfrère”, malgrado tutto.

Marco Cavalli

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 22 – Marzo 2015.

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