Si parte!
Non è facile descrivere cosa mi aveva spinto a trasferirmi a Cuba. Forse è quello che spinge tutti
a fare un passo del genere, e cioè un po' il senso dell'avventura, un po' la voglia di cambiare "aria"
che prende tutti quelli che hanno intorno ai 30 anni. Io avevo già conosciuto quella che poi sarebbe
diventata mia moglie e lei era già venuta qua in Italia in visita per un mese nel 1995. A lei non era
piaciuta l'Italia (e ancora non le piace adesso!) e mi aveva sempre detto che non avrebbe mai
lasciato il suo paese (mai dire mai, eh eh eh!). Così appena mi si è presentata l'opportunità di un
lavoro a Cuba ho deciso di fare il grande passo, e ciò è avvenuto pressapoco a giugno del 1995,
quando lei, Maribel, telefonandomi da Cuba mi dice che lì a Niquero dove vive c'è un piccolo
centro di calcolo dove sarebbe possibile entrare a lavorare (io sono analista-programmatore).
Ad agosto sono andato giù per sposarmi e per parlare con il direttore del centro di calcolo. Il
matrimonio era fino ad allora un concetto per me sconosciuto e non ne avevo mai voluto sapere
(mai dire mai!!).
Sposarsi a Cuba è una delle cose a base di burocrazia che si svolgono più facilmente: bastano
due certificati tradotti e legalizzati in Italia e 600 dollari e il gioco è fatto.
La decisione di trasferirmi si è materializzata solo nel momento in cui ho trovato la possibilità di
lavoro: è vero che se hai dei soldi (molti) puoi vivere a Cuba anche senza fare niente, però non è
quello che cercavo io. Io volevo condurre una vita normale così come la conducono i cubani. Prima
pensavo che fosse possibile, ma solo molto tempo dopo mi sono reso conto che non lo era affatto.
Infatti tutti a Cuba mi dicevano: non sarà facile per te vivere qui, ma chi te lo fa fare di venire
qua se in Italia puoi avere molto di più e vivere meglio, ecc... E chi mi diceva queste cose non
erano, come si potrebbe pensare, degli anti-rivoluzionari invidiosi della mia "libertà", anzi, erano
persone come mio suocero, combattente della rivoluzione cubana, fervido sostenitore di Fidel,
patriota integerrimo, comunista dalla testa ai piedi. Ma io no, volevo fare di testa mia, dicevo: cosa
c’è di strano a venire a vivere a Cuba, ma scusate, siete o non siete rivoluzionari, il vostro paese non
è meglio del nostro in quanto a stile di vita, solidarietà sociale, ecc...? Allora perché mi dite che in
Italia si sta meglio? Non ci capivo molto in tutto ciò, sapevo solo che volevo trasferirmi a Cuba, e
ora ne avevo l’opportunità. E siccome anche io sono un simpatizzante della rivoluzione cubana
pensavo che nulla mi poteva fermare, che avrei trovato le porte aperte, che finalmente potevo vivere
e realizzare ciò che in un paese capitalista come l’Italia non è possibile trovare.
Quindi non sarei potuto andare a fare il nababbo, sarebbe stato un insulto per la società cubana.
L’aver trovato un lavoro chiudeva il cerchio e mi portava a compiere quel salto che doveva
cambiare completamente la mia vita. Decidere di trasferirsi per sempre in un altro paese non è una
scelta facile: in quei giorni che precedono la partenza quando ti svegli al mattino ti senti invadere da
un senso d’angoscia (che per fortuna dura poco, ma sembra interminabile) durante il quale ti chiedi
se stai facendo la cosa giusta, vedi tutta la tua vita scorrere velocemente, pensi agli amici che non
vedrai più come prima, anche alla famiglia, se ce l’hai, a tutte le cose che facevi e che d’ora in poi
non avrai più la possibilità di fare, specialmente se vai a Cuba, un paese bello sì, ma molto, molto
diverso dal nostro.
Dicevo, allora, che ad agosto del ‘95 mi sono sposato e ho avuto l’incontro con il direttore del
centro di calcolo, il quale mi dice: bene, sono contento che tu venga qui a lavorare da noi, ho un
sacco di iniziative per la testa, con il tuo aiuto potremo fare delle cose nuove, ecc... Bella
prospettiva, interessante, non c’è che dire... Solo che uno dei difetti de cubani è quello di
"esagerare" un po’ nel fare i progetti, le pianificazioni; di solito sono molto ottimisti e sbagliano per
eccesso. Bisogna saper interpretare molto bene le loro dichiarazioni, per evitare successivamente
malintesi a volte insanabili.
Così, una volta tornato in Italia, mi ero un po’ montato la testa, ero eccessivamente esuberante
nel pensare a tutte queste cose che andavano a gonfie vele. E nel bel mezzo di questo godimento ho
fatto le valigie, ho "inscatolato" casa mia (nel senso che ho imballato tutti i mobili e li ho spediti in
aereo) e il 23 novembre 1995 sono partito per il Nuovo Mondo.
Arrivando a Cuba con tutta la mia "mercanzia" (praticamente avevo portato tutto, anche il letto e
il divano!) mi sono imbattuto nei primi, drammatici, estenuanti meandri della burocrazia cubana e
delle incomprensioni che ne scaturiscono. Prima di partire dall'Italia mi ero informato al Consolato
di Milano e mi avevano detto che non c'erano problemi: andando a Cuba per risiedervi avevo,
secondo loro, il diritto di portarmi dietro le mie cose. Purtroppo non era proprio così. Io arrivai
all'Avana un venerdì sera dove mi stavano aspettando il fratello di mia moglie, suo zio e suo cugino
con un camion e due autisti che avevano noleggiato per l'operazione presso un'impresa agricola
locale (non ci sono le imprese di traslochi!), un camion per il trasporto delle merci, coperto da un
telo, dentro il quale avremmo dovuto viaggiare anche noi quattro per una notte intera. Loro con quel
camion avevano già fatto il viaggio di andata da Niquero a l'Avana e ora dovevamo fare il percorso
inverso. Peccato però che di venerdi sera la dogana è chiusa, e il sabato mattina pure.
Aspettammo quindi fino al lunedi, quando ci presentammo di nuovo all'aeroporto, zona "cargo",
agli sportelli della dogana. Qui un vetro separava me dalla persona che stava oltre, ma la cosa
angosciante, kafkiana oserei dire (e kafkiano fu tutto il mio rapporto con Cuba in quel periodo in cui
rimasi laggiù), era che una tapparella oscurava il vetro quasi totalmente, lasciando aperta in basso
solo una fessura di circa 10 centimetri, il minimo necessario per far passare i documenti, e non
permetteva quindi di vedere in faccia la persona con cui stavo parlando, ma solo le sue mani, e la
voce a malapena si udiva, così che dovevo abbassarmi verso quella fessura per accostare l'orecchio,
cercando invano di individuare il volto della donna che parlava, ma potendo solo vedere al massimo
il suo mento. In questa situazione, già di per sé desolante, mi sento anche dire che non avrei potuto
ritirare le mie cose, perché da nessuna parte risultava che io fossi già residente cubano, quindi
dovevo prima dimostrare questa mia posizione.
La cosa si complicò parecchio. Ritornammo in città per cercare una soluzione presso l'Ufficio
Stranieri, cercando di farci rilasciare uno straccio di documento che mi desse qualche possibilità.
Qui, in un atrio semideserto, una poliziotta stava seduta ad un tavolino, impegnata a fare nulla;
ascolta impassibile le nostre richieste e alla fine, senza batter ciglio, con lo sguardo fisso davanti a
noi, con la monotonia della voce, risponde che non si può fare nulla. Insistiamo ma ripete che devo
recarmi prima nel luogo prescelto per la residenza e farmi dare da loro un certificato provvisorio.
Continuiamo a insistere (da l'Avana a Niquero sono 850 km!) e finalmente riusciamo a schiodarla
da quella benedetta sedia, si alza e dice che va a consultare i suoi superiori. Torna dopo dieci
interminabili minuti. Lo sguardo è sempre lo stesso, stampato come sul bronzo, così che non si
riesce a percepire, guardandola solamente, se le notizie che deve darci sono buone o cattive.
Purtroppo erano cattive. Nulla da fare: secondo loro dobbiamo tornare a Niquero per cominciare le
pratiche di residenza, e poi tornare qui con quelle.
Non ci arrendiamo tanto facilmente. Tentiamo ancora una sortita nientemeno che alla Direzione
Generale Della Dogana Di Cuba. (Detto per inciso muoversi rapidamente in una città grande come
l'Avana senza un mezzo proprio significa ogni volta prendere un taxi e spendere in una giornata
qualche decina di dollari: solo il tragitto dal centro all'aeroporto costa circa 13-14 dollari).
Qui sembra che qualche possibilità in più ci sia: la donna alla reception è molto più disponibile e
umana di quelle che l'hanno preceduta nella nostra odissea. Capisce che il mio problema è
fondamentalmente dovuto ad una errata e superficiale informazione datami dal Consolato di Cuba
in Italia, così mi consiglia di fare un esposto indirizzato alla Direzione (anzi, mi avrebbe anche fatto
parlare con un responsabile, ma in quel momento non era lì). Entro un paio di giorni ci avrebbero
fatto sapere qualcosa, così ci consigliano di non lasciare l'Avana e aspettare una loro telefonata.
Dopo due giorni la risposta arriva: purtroppo non si può proprio fare nulla. Devo proprio andare
prima a Niquero e poi tornare qui con un certificato di residenza. L'unico vantaggio acquisito finora
è che almeno ufficialmente abbiamo lasciato una traccia con quell'esposto alla Direzione Generale
della Dogana. Torniamo all'aeroporto a prendere mio cognato e suo cugino che erano rimasti lì nel
piazzale della zona cargo per delle ore sotto il sole sperando che arrivassimo con delle buone notizie
(naturalmente il telefono cellulare a Cuba è un lusso per pochi, così come il telefono in generale, sia
privato che pubblico, e ciò ci ha complicato la vita non poco in quest'occasione come in altre).
Si decide allora di partire per l'Oriente cubano, destinazione Niquero, ridente località della
provincia Granma (si fa per dire!). Il camion viene a prenderci verso sera, già carico di mobili per
metà, perché i due autisti di loro iniziativa avevano deciso di dare un passaggio fino a Niquero a
due conoscenti che dovevano portare dei mobili fin laggiù. Già, e i miei mobili dove li avremmo
messi, visto che non c'era più spazio?? Ma ai due sembra non importare molto...
Così passiamo una notte tremenda di viaggio dentro il cassone di un camion che ad ogni buca del
terreno (e ce ne sono molte sull'unica autostrada cubana che percorre l'isola per lungo) ti rimescola
gli organi addominali in maniera tale che quando credi di avere male alla milza in realtà è il fegato,
che ha cambiato posto.
A Niquero comincio le pratiche per la residenza. Ogni straniero che voglia stabilirsi a Cuba deve
richiedere la residenza, che è di due tipi: permanente o temporanea. Quella temporanea viene
richiesta da chi deve rimanere per un periodo definito e limitato nel territorio dello stato, per motivi
di lavoro, di studio, o altro. Ti viene consegnato il cosiddetto Carnet de Identidad di colore grigio e
con questo non hai problemi, puoi andare dove vuoi, fare quello che vuoi, ecc... La residenza
permanente viene richiesta solo da qualche "pazzo" come il sottoscritto (non ho conosciuto altri
stranieri che l'avessero chiesta) che decide di trasferirsi per un tempo indefinito a Cuba: ti viene
consegnato un Carnet de Identidad di colore verde e anche con questo puoi fare tutto quello che fa
un cubano, anche aprire un'attività per conto proprio (cosa che con il carnet grigio, se non ricordo
male, non si può fare) e ritirare di diritto la tua quota di alimenti con la famosa "libreta". Ma la
differenza più spettacolare tra i due carnet (a parte il colore, ovviamente) è che quando decidi di
uscire dal paese devi chiedere prima il permesso alle autorità di polizia e attendere circa una
settimana e pagare circa 30 dollari nel caso del carnet grigio, mentre se hai la residenza permanente
devi aspettare circa un mese e pagare 150 dollari (!), esattamente come un qualsiasi cubano.
Ovviamente io non ero al corrente di queste "insignificanti" differenze, e tantomeno a nessuna di
tutte le persone con cui ho dovuto parlare negli uffici della polizia è mai venuto in mente di
dirmelo...
Quando vado all'ufficio immigrati di Niquero pensavo di cavarmela in qualche ora. Ad agosto,
quando ero venuto a Cuba per sposarmi, ero già venuto qui negli stessi uffici ed avevo parlato con
un grassone baffuto, vagamente somigliante al sergente Garcia del famoso telefilm "Zorro", il quale
mi aveva scrutato dalla testa ai piedi e chiedendomi perché volevo prendere la residenza qui
sfogliava il mio passaporto: "Così lei è stato in Cecoslovacchia... e in Ungheria... Come mai?" I
cubani sono talmente poco abituati ad uscire dai confini del loro paese (se lo hanno fatto in passato
era solo per missioni ufficiali di lavoro) che non riescono a concepire che uno possa recarsi
all'estero semplicemente per turismo, specialmente se il tuo interlocutore è uno della polizia o della
dogana. "E' stato anche in Nicaragua e in Salvador... lei viaggia molto!". Insomma, alla fine mi dice
che per chiedere la residenza non devo far altro che portare il certificato di matrimonio.
Per questo in quel giorno di novembre non avrei mai immaginato che ottenere il Carnet de
Identidad sarebbe diventato arduo come poi è stato. Adesso mi dicono che lì a Niquero non si può
fare nulla di tutto ciò, che loro dipendono da Manzanillo (una cittadina più grande che dista 60 km)
e che quindi devo andare là.
Va bene, andiamo a Manzanillo. Scriverlo è semplice (sono 5 parole) ma metterlo in pratica
significa alzarsi alle 5 del mattino, recarsi alla stazione degli autobus di Niquero (non è che ci siano
autobus, però come saprai ci sono gli "amarillos" che controllano il transito dei camion statali e su
quelli vuoti fanno salire la gente), sperare che passi qualche mezzo pesante e sopportare 1 ora e
mezza di strada dissestata in piedi. Un viaggio a Manzanillo è come una temibile punizione.
A Manzanillo troviamo proprio lui, il grassone, che mi riconosce pure e riconosce anche Maribel
e fa anche il gentiluomo: come va?, tutto bene? No, io qui non posso fare niente, ora dipende tutto
da Bayamo (il capoluogo della provincia Granma che dista altri 60 km, per un totale di 120 km da
Niquero), dovete andare là. Per fortuna quel giorno eravamo in macchina, ci avevano portato quelli
del centro di calcolo di Niquero (il mio futuro nuovo posto di lavoro), e quindi in 1 ora circa
arriviamo a Bayamo. Ci manca solo più che anche qui ci dicano che loro non possono fare niente e
che dobbiamo andare magari fino a l'Avana...
Invece pare che siamo arrivati nel posto giusto; nell'ufficio immigrazione di Bayamo il tipo che
mi riceve va a prendere il testo della legge sull'immigrazione e mi dice: prendi nota, per chiedere la
residenza occorre:
- certificato di matrimonio
- 2 foto
- dichiarazione del futuro datore di lavoro
- dichiarazione del coniuge che si assume le spese di vitto e alloggio
- esami del sangue (ricerca HIV), delle urine e delle feci
- radiografia al torace
- certificato penale
Di fronte a una lista del genere avevo capito che forse ci avrei messo un po' più di un'ora. Mentre
eravamo a Bayamo siamo andati alla sede centrale dalla quale dipende il centro di calcolo di
Niquero, dove ho avuto un colloquio con la direttrice, la quale ad un certo punto sai cosa mi dice?
Che per poter iniziare a lavorare dovevo prima avere la residenza! Gli emigranti hanno vita difficile
in qualsiasi parte del mondo si trovino. Comunque almeno sono riuscito a farmi dare la
dichiarazione in cui si dice che si impegnavano ad assumermi: un documento era già fatto, ne
mancavano solo più altri sette...
Analisi varie le ho fatte a Niquero (meno male che le prestazioni sanitarie non si pagano, o
meglio: in una grande città te le farebbero pagare, in quanto straniero, ma qui in un paese piccolo
con le amicizie si riesce a fare qualsisasi cosa), l'assurda dichiarazione del coniuge che si assume le
spese di vitto e alloggio è solo una formalità (un modulo da sottoscrivere e sul quale si applica una
marca da bollo di 50 dollari, pari a otto mesi di stipendio di Maribel!), il certificato di matrimonio
l'avevamo già, mancavano solo più il certificato penale e le foto.
Per il certificato penale provo a rivolgermi telefonicamente all'ambasciata italiana: "Ah ma
questi sono problemi suoi, l'ambasciata non è mica qui per fare i certificati! Deve farselo lei in
Italia!" mi risponde la scortese e scorbutica funzionaria che si occupa degli italiani resdienti qui
(non è che se ne occupi poi tanto, se li tratta tutti così). La cosa quindi si complica: non posso mica
andare in Italia solo per fare un certificato!
Qualche giorno dopo da Niquero telefono a mia sorella, le spiego la situazione, si va ad
informare in procura e mi dice che accettano anche una persona delegata, con fotocopia della carta
d'identità dell'interessato. Sembrerebbe facile, se non fosse che fare una fotocopia a Niquero è più
difficile che fare 6 al superenalotto. Qui non ci sono fotocopiatrici, però adesso che mi viene in
mente al museo civico c'è un fax, così vado lì e siccome conosco il direttore e tutti quelli che ci
lavorano non ho problemi ad ottenere una discreta copia della mia carta d'identità. Devo solo più
mandarla via posta in Italia e normalmente ci vuole circa un mese di tempo (più un altro mese per la
risposta fanno circa due mesi di attesa).
Nel frattempo ammazzavo il tempo al centro di calcolo, dove mi avevano proposto di cominciare
comunque a frequentare, tanto per vedere l'ambiente e conoscere i colleghi. Oltretutto avevo portato
giù anche il mio glorioso 486 DX 33 con modem e scanner manuale (il modem in realtà non è che
servisse molto, dato che il collegamento a internet non è previsto per i cubani) che faceva la sua
bella figura al centro, dotato solo di un povero 386, pure senza Windows. Io invece con il mio
Windows 3.1 sfoggiavo una superiorità invidiabile, tale che dovetti organizzare un corso di
Windows per pochi adepti. Nella sede centrale di Bayamo, però, ricordavo di aver visto molti PC
anche potenti, dotati già di Windows 95 e altre meraviglie: fu allora che cominciarono ad assalirmi i
primi sospetti su quanto poco fosse tenuto in considerazione il centro di calcolo di Niquero e le
persone che vi lavoravano.
CONTINUA......