Vaganova dal vivo – II

Creato il 31 gennaio 2014 da Pioggiadinote

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Pur immersa in un’assorta concentrazione verso la lezione, con l’intento di non lasciarmi sfuggire alcun dettaglio, mi sono accorta che la struttura degli esercizi nella sbarra del metodo Vaganova sembra caratterizzata da uno schematismo piuttosto rigido che suggerisce, e in un certo senso richiede, un discorso musicale sottomesso a requisiti di linearità e uniformità nei disegni melodici e ritmici dove non resta spazio per una grande inventiva. Gli slanci di…vitalità, rappresentati dagli episodi di intensificazione dinamica del movimento (in generale corrispondenti a momenti di notevole impegno tecnico per chi danza) devono essere minuziosamente descritti dalla musica, ma risultano spesso troppo isolati per costituire una fonte di idee tematiche o ritmiche. E in questa uniformità non si possono troppo sfruttare tonalità minori perchè, senza un’articolazione ritmica più varia, accentuano la pesantezza del tutto.

Può anche darsi che io abbia frainteso talvolta la linearità con la monotonia, nello sforzo di assecondare diligentemente il movimento; in ogni caso, dopo alcune lezioni ho intuito

la possibilità di legare in modo diverso l’accordo o le note in corrispondenza del ritorno del piede nei tendu

un sottinteso invito a curare specifici accenti attraverso mezzi scarni come la singola orchestrazione di un accordo

che anche una semplice triade, brillante della sua luce, può sottolineare un accento in modo appropriato e suscitare indirettamente un’emozione in chi osserva

Eppure, al centro ho visto momenti di sviluppo d’intensa velocità, in particolare nel raggiungere le pose (bellissime): come frecce improvvise in un mare calmo. Ho capito che un tendu può diventare una specie di storia dal finale sorprendente; ho avuto accontentata la mia sete di godimento estetico (che non è poco, in una lezione di danza con allievi “imperfetti”); ho constatato come, nei salti al centro, questo affondo studiato così severamente alla sbarra,  dà all’osservatore- musicista un effetto di morbidezza inimmaginabile, se correlata alla tremenda fatica necessaria per affrontare questo lavoro anche con corpi abilissimi.

E’ quasi riposante questa sorta ostinata trama di apparente semplicità, che può sembrare persino sterile. Non perchè al pianista sia concesso suonare meno note, o perchè le preparazioni agli esercizi siano ridotte al minimo (scelta sensatissima quest’ultima, in un contesto dove la struttura è piana, alla lunga prevedibile – e dove non è ammesso distrarsi – e dove il pianista non viene pagato per fare da balia a giovani danzatori svogliati); è riposante perchè tende a chiudersi, come un cerchio: tutto torna. Il pianista e i ballerini, tutti noi, abbiamo soprattutto osservato e pensato; soltanto di conseguenza, suonato e danzato.

Così ho lavorato molto sulla brillantezza di singoli accenti, ho lasciato spazio a quella bellezza, ho suonato musiche molto morbide e quasi legate (esagero) persino nei salti maschili: ho avuto il permesso di non aiutare quei corpi per consentire la manifestazione di quella perfezione possibile.

…Continua…

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