Val Grande: la vecchia della grotta

Creato il 17 dicembre 2010 da Fabiocasa


La Val Grande è bella anzi bellissima o forse no; Si può camminare per ore senza incrociare lo sguardo del sole. E’ un luogo mistico dove torniamo agli albori della nostra vita, dove il paradiso può essere un pianoro soleggiato.
Dove potevano nascere storie, trasformatesi poi in leggende, se non in luogo così?
Vi è una storia molto strana, che parla di amore clandestino, di morte ed abbandono, ma anche di sopravvivenza e di gagliarda lotta contro il destino e di una donna che ha sfidato la natura, la sua natura.
Proverò a raccontare anche questa storia in prima persona, ma penso che non sarà facile.
Mi chiamo Angela e sono nata sotto i corni di Nibbio. Ho lavorato sin da quando ero bambina, facendo legna e portandola a casa. La mia vita è sempre stata molto difficile, anzi dura. Sono molto bella, tutti gli uomini mi guardano ma io ne guardo solo uno, ma ha moglie e figlio e lavora in montagna, fa’ la legna in Val Granda. Un giorno, quando ero ancora molto giovane, incrociai lo sguardo di quell’uomo che non potevo e non dovevo conoscere. Lui si chiama Michele. E’ un uomo grande e forte, molto forte e mi piace. Mi piace così tanto che lo amo. Lui mi ama, ma il paese non capisce. Nessuno capisce solo perché il mio uomo ha una sua famiglia. Dobbiamo scappare. Decidiamo di risalire le montagne di fronte a Nibbio per cercare una sistemazione, ma come sapete sono montagne cattive; superiamo molti intagli e dirupi, fino a quando troviamo una grotta. E’ brutta e scura ma il nostro amore è più forte. Ci siamo portati qualche capra per sopravvivere perché tutto intorno non c’è niente. Passano gli inverni, uno, due poi cinque ed oramai ci siamo abituati a vivere quassù con quello che abbiamo. Abbiamo cercato anche di metter su famiglia per farci aiutare, ma purtroppo gli inverni sono troppo freddi e siamo sempre rimasti solo noi due. Ogni tanto sentiamo dei passi di qualche alpinista che cerca di risalire le pendici del Lesino per divertimento, non come noi che lo abbiamo fatto per necessità. Si fermano per curiosare dentro la grotta, ora coperta da legni e sassi per ripararci dal vento e dal freddo, ma appena sentono un rumore scappano perché anche loro non capiscono; i più coraggiosi accettano le ciotole con latte di capra che vengono servite dalle nostre mani scure in cambio di qualcosa di diverso da mangiare. Non viene nessuno, anzi un giorno cerca di raggiungere il nostro covo d’amore il figlio del mio uomo oramai fattosi grande; ma il destino non vuole ed il povero ragazzo scivola in un burrone. Da quel giorno non vediamo più nessuno. Ma la compagnia è sempre la stessa. Sono passati molti inverni, forse più di trenta e siamo ancora qua. Un giorno verso sera non sento più la voce di Michele, il mio Michele, che chiama le capre; vado a cercarlo: è morto vicino al bastone di una vita. Non so cosa fare. Decido di caricarlo in spalla e portarlo verso il paese, ma la strada di discesa è brutta e lui è pesante; devo fermarmi per riposarmi e per cercare il passaggio tra le rocce. Dopo diverse ore vedo le case del paese, ma io non voglio farmi vedere; alla prima casa decido di lasciare il corpo di Michele perché venga sepolto. Io ritorno alla grotta per continuare la mia vita di stenti; però senza il mio uomo non è più la stessa cosa; decido di scendere ogni tanto al paese per portare il formaggio fatto quassù in cambio di un po’ di farina: la gente quando mi vede si spaventa; le vedo che si toccano i gomiti le une con le altre per avvisarsi, solo perché non mi sono rimasti altri vestiti che quelli del povero uomo che mi ha fatto compagnia per una vita: non capiscono, anche loro dopo tanti anni non capiscono. Un giorno tornerò per sempre e resterò nel paese, ma loro non capiranno.

Questa è la storia che, passata di generazione in generazione, è arrivata sino a noi: probabilmente si è tinta di leggenda, in quanto andando a cercare nei giornali e nei libri dell’epoca, si scopre una narrazione diversa, leggermente diversa.
Ritengo che questa curiosità possa attrarre il visitatore in questo lembo di terra dove le nude vette della Valgrande dirupano scoscese nella Val d’Ossola.
Fabio Casalini

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