“Chiedo Scusa” di Francesco Abate e Saverio MastrofrancoIntervista a Valerio Mastandrea
Tendone Sordello, Piazza Sordello (Mantova) ore 12,30.
Siamo all’ultimo giorno del Festival della Letteratura di Mantova che forse mai, come quest’anno, ha visto una tale affluenza lì dove, per fortuna, a fare da richiamo non sono solo i “grandi” nomi. La gente scorre per le strade e i vicoli di questa Mantova splendida di sole, anche in bici, con cartina alla mano a cercare i luoghi degli eventi e a concedersi soste culinarie.
Il Tendone Sordello si sta riempiendo mentre manca ancora più di un’ora all’inizio: siamo tutti lì, ad occupare ogni spazio vuoto, seduti per terra a gambe incrociate (forse pensandoci meglio era il caso di scegliere uno spazio più ampio) ad aspettare questo scrittore esordiente: Saverio Mastrofranco, come riporta la copertina del libro scritto a quattro mani con il giornalista Francesco Abate, a tutti meglio noto come Valerio Mastandrea. Arriva puntuale, all’apparenza timido, ma sorridente e cordiale con quanti, troppi, cominciano subito a chiedere autografi e a rubare foto. Dopo la presentazione a due voci, di questo libro difficile, dal quale al pubblico sono stati letti ampi stralci con altrettanta pazienza e spontanea ironia, Mastandrea, visibilmente accaldato, si concede generosamente alle domande della stampa.
Mi sembra doveroso partire dalla scelta dello pseudonimo, chi è Saverio Mastrofranco?
La scelta di questo pseudonimo, di cui non è la prima volta che faccio uso, nasce da un’esigenza di rispetto nei confronti del libro e del mio amico Francesco Abate. Non volevo in alcuno modo che la mia “fama”, per così dire, di attore potesse in alcun modo agevolare commercialmente il libro che non ha bisogno di alcuna “spinta” né minimamente adombrare la figura di Francesco che ne è il vero autore e protagonista. Diciamo che io mi sono limitato a dare una mano.
La storia che si racconta è quella autobiografica di Francesco Abate, un “trapiantato” diremmo. Dopo aver sofferto da sempre di problemi di fegato, contagiato insieme al padre da una siringa, sin da bambino ha sofferto di epatite b sino a quando, recentemente, è guarito grazie al trapianto. Il padre purtroppo non ha avuto la sua fortuna. Se si fosse limitato a scriverla lui la storia rischiava di scadere nel trionfo del dolore o nella commiserazione. Io sono servito a renderla meno soggettiva, aggiungendo molti spunti umoristici e riscrivendo per intero la parte di Chiara, la non fidanzata di Walter, il protagonista. Quella il mio amico l’aveva fatta davvero male.
Quanto al titolo? Chi chiede scusa e a chi?
Francesco Abate dice che il titolo l’ho inventato io. Io non me ne ricordo, ma del resto rileggendo ora molte pagine non ricordo di averle scritte, come se quest‘operazione fosse avvenuta in uno stato di totale incoscienza. “Chiedo scusa” è il soprannome che viene affibbiato a Walter in ospedale. Mi pare che la natura spesso si accanisca con gli uomini, e a volte sempre con gli stessi. Non credo che un giorno verrà qualcuno dall’alto dei cieli a chiederci scusa per quello che ci tocca sopportare. Così è Walter a chiedere scusa ai suoi compagni d’ospedale, a chi non ce l’ha fatta, agli uomini, a tutti.
Ti è risultato facile reinventarti scrittore?
… Ecco… io, parlando di me, neanche riesco a pronunciarla la parola scrittore. Diciamo che non mi è risultato difficile come credevo, soprattutto scrivere nei panni di una donna; ho cercato di fare una donna che fosse credibile e stimabile. Mi pare che oggi, né al cinema né nei libri, nessuno sappia scrivere per le donne. Una donna che ha un ruolo fondamentale in un libro che non vuole essere triste, ma parlare del cammino della gioia nella guarigione.
Una battuta sul Festival della Letteratura di Mantova
I libri non dovrebbero essere letti ad alta voce, però se mi dicono di leggere…. (e allarga le braccia).