“Valperga”– Mary Shelley XXIII

Creato il 13 febbraio 2012 da Marvigar4

Mary Shelley (1797-1851)

VALPERGA

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La vita e le avventure di Castruccio, Principe di Lucca

Traduzione integrale di Marco Vignolo Gargini dall’originale in inglese Valperga; or the Life and Adventures of Castruccio, Prince of Lucca

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Capitolo 23

Castruccio trama l’assassinio di Roberto re di Napoli. Diventa Principe di Lucca. Dichiara guerra a Firenze. Sgominato complotto d’una rivoluzione a Lucca. Castruccio cita Valperga.

I piani ambiziosi di Castruccio maturavano ogni giorno. Tutto l’esercito ghibellino in Italia faceva adesso ritorno dall’assedio di Genova, che fu difesa da Roberto, re di Napoli, alla testa dei guelfi. Castruccio non s’era mai veramente congiunto all’esercito assediante, ma aveva avuto un vantaggio dalla guerra, che impedì ai genovesi di difendere i loro castelli sulla costa, sorprendendo molti di loro e diffondendo le sue conquiste molto al di là del territorio lucchese. Egli fu sempre attento al minimo incidente che potesse contribuire all’esaltazione dei ghibellini. Aiutò i suoi amici lombardi, irritando il nemico per quanto era in suo potere, e non esitò ad usare le arti più turpi per offenderlo e distruggerlo. Adesso lui sottoscriveva in pieno tutti gli articoli del credo politico di Pepi e riteneva corretti l’inganno e il delitto segreto quando assottigliavano le fila del nemico.

Roberto, re di Napoli, era a capo dell’esercito guelfo a Genova. L’assedio era durato con alterna fortuna per due anni, e ogni estate il re visitava questa città per dirigere la campagna. Castruccio, spronato da Galeazzo Visconti e dalla sua stessa fiducia nell’espediente dello schema, cospirò per abbattere il re: un piano folle per vari modi, poiché un re legittimo, come il vino, non muore mai e quando getti terra sulla vecchia radice un nuovo germoglio spunta dalla stirpe dei genitori.

Il re di Napoli aveva messo su una flotta per andare ad attaccare il re di Sicilia, che era un protettore dei ghibellini. Castruccio mandò due disperati ma fedeli seguaci ad appiccare il fuoco sulla nave in cui il re stesso navigava. Gli uomini furono ammessi a bordo della reale galea che, più veloce delle altre, sfrecciava sulle onde, mentre il resto della flotta galleggiava come una nube sul lontano orizzonte. Di notte l’odore di bruciato fu avvertito nel vascello e una piccola fiamma fuoriusciva da una delle finestre: lo spavento e la confusione furono terribili, quando capirono che stavano andando a fuoco così in mare aperto, mentre le altre imbarcazioni erano troppo distanti per correre in soccorso. Tutti si diedero da fare per estinguere le fiamme, e fu allora che gli incendiari nascosti furono scoperti, poiché tentarono d’incendiare un’altra parte della nave. Si scoprì che s’erano forniti di galleggianti di sughero, con cui speravano di salvarsi in acqua, fino a poter essere salvi da qualche imprevisto.

Il fuoco fu visto dalla galea dove era imbarcato il figlio maggiore del re Roberto, che faceva pressioni per correre in soccorso. Il giovane principe, nell’ansia del terrore, si mise lui stesso a remare per poter arrivare più veloce. L’intero equipaggio si salvò ed i criminali furono condannati alla tortura e alla morte.

Le notizie di questo complotto odioso si sparsero in tutta Italia, né fu molto biasimato. Fu allora che Eutanasia, lo spirito vivente della bontà e dell’onore, in mezzo all’angoscia che l’indegnità di Castruccio le aveva provocata, considerò un giusto trionfo aver superato le sue inclinazioni e non essere la sposa di un subornatore e un assassino. Anche ora, ricordandosi ch’era risaputo che una volta amava Antelminelli, fu presa da una profonda vergogna e le sue guance arrossirono ad ascoltare il racconto. Ma, incurante dell’infamia condivisa con molti dei suoi cittadini e dispiaciuto soltanto che il suo disegno non fosse andato in porto, Castruccio non provò a nascondere la parte che aveva nel complotto e dichiarò con forza che tutti i suoi nemici potevano prevedere la stesso trattamento riservato al re Roberto, mentre in cambio permetteva loro di provare simili metodi contro di lui.

Intanto la guerra continuò con raddoppiato vigore. Nell’inverno dell’anno 1320 i ghibellini rafforzarono le loro armate davanti a Genova e chiesero agli alleati d’offrire il massimo appoggio. Castruccio del resto stava avanzando in loro aiuto con tutte le sue forze. Ma i guelfi non erano inattivi: Firenze aveva inviato soldati d’ogni tipo per rafforzare i genovesi e si gettò in ogni impresa contro il partito imperiale, anche se un desiderio di mantenere il proprio territorio libero dagli orrori della guerra, e rimediare con una lunga pace alle ingiurie alle proprie vigne e agli olivi, l’aveva portata a conservare una parvenza di pace con Lucca.

Castruccio considerò tutti i suoi successi presenti solo come dei preliminari per la grande impresa, e avendo sottomesso non solo il territorio di Lucca, ma molti castelli e roccaforti, che prima erano state indipendenti o avevano pagato il tributo a Genova o ai signori di Lombardia, preparò un piano di guerra più energico per la campagna successiva. Il suo primo passo fu di aumentare la sua sicurezza e il potere nella stessa Lucca.

Sempre più fiero dei suoi recenti successi, iniziò a mal tollerare il nome di console che finora portava. Riunì il senato e, sull’esempio dei suoi amici, che erano stati maestri in proposito, questa assemblea gli conferì il governo di Lucca a vita con il titolo di principe. In seguito fece in modo che questa concessione fosse confermata da un’assemblea popolare: le sue attività belliche, unite alle spese moderate del suo governo, gli fecero ottenere un gran favore dalle classi più basse, le quali condividevano i suoi progetti ambiziosi. Dopo poco, grazie alla mediazione del suo amico Galeazzo Visconti, ottenne da Federico, re dei romani, la dignità di Vicario Imperiale in Toscana.

Tutto ciò avvenne durante l’inverno, in primavera riunì le truppe per un nuovo piano. Era stato in pace per tre anni con Firenze, anche se, combattendo sotto opposte insegne, lo spirito d’inimicizia era sempre stato vivo tra lui e i fiorentini. Ora, senza dichiarare guerra, o senza avvisarli del pericolo, fece un’incursione improvvisa nel loro territorio, bruciando e devastando terreni fino ad Empoli, prendendo molti castelli e portandosi via un immenso bottino, e in seguito si ritirò a Lucca.

La violazione dei diritti delle nazioni all’inizio sgomentò i fiorentini e poi li indignò. Avevano inviato le loro truppe migliori a Genova e s’erano ritrovati attaccati senza essere avvertiti in tempo per prepararsi. Quando il lucchese si ritirò ci furono accese proteste. Castruccio replicò alle rimostranze dei fiorentini con una dichiarazione di guerra e successivamente marciò subito con le sue forze armate per raggiungere l’esercito assediante davanti a Genova.

Quando i fiorentini videro che non potevano ottenere alcuna riparazione, tornarono a pensare alla vendetta. Raccolsero tra i cittadini le forze fresche possibili e, sperando d’assistere il loro piccolo esercito con altre misure che allora erano diffuse nel sistema bellico italiano, cercarono di fomentare una cospirazione tra i lucchesi per rovesciare il governo del loro principe. Castruccio in un giorno ricevette una lettera da Giovanni da Castiglione, il generale che comandava le poche truppe che aveva lasciato a guardia della sua città, con l’informazione che i fiorentini erano entrati nella Val di Nievole, bruciando e saccheggiando tutto ciò che gli capitava a tiro; e un’altra lettera da Vanni Mordecastelli, il suo luogotenente civile a Lucca, che rivelava un complotto per danneggiare il suo potere che stava organizzando in quella città. Castruccio lasciò subito l’esercito lombardo e tornò con le sue truppe per scoraggiare questi progetti.

Dei castelli posti in un cerchio di molte miglia attorno a Lucca, tutti erano sottomessi a Castruccio, eccetto il castello di Valperga e le sue dipendenze. Aveva spesso sollecitato Eutanasia a porre se stessa sotto la protezione del suo governo e lei aveva costantemente rifiutato. Il castello di Valperga stava su di una rocca, tra i monti che delimitavano il passaggio attraverso cui il Serchio scorre, e dominava l’ingresso nord del territorio lucchese. Era un punto di grande forza e nelle mani di un nemico poteva permettere ad un esercito ostile un accesso facile nella stessa piana di Lucca. I fiorentini, fiduciosi dell’affetto che la contessa aveva per la loro città, le inviarono ambasciatori per invitarla ad unirsi a loro contro Castruccio e ad ammettere un gruppo di soldati fiorentini nel suo castello. Ma lei respinse le loro proposte e rifiutò decisamente di aderire a qualsiasi lega nociva al governo attuale di Lucca. Gli ambasciatori erano stati scelti tra i suoi amici intimi, il suo Mondualdo, Bondelmonti, ne era a capo: non furono per niente intimiditi da un rifiuto, ma ribadirono, invano, le loro proposte fondate sul suo interesse e sul servizio che lei avrebbe reso alla sua città nativa. Lei sentì che la libertà in cui le era stato concesso di restare mentre, uno dopo l’altro, tutti i castelli attorno al suo venivano sottomessi, poteva derivare dall’amicizia e indulgenza del principe. Giudicò che sarebbe stata una sorta di tradimento trarre vantaggio dalla sua moderazione per introdurre la devastazione nel suo paese; nello stesso tempo aveva promesso che nessuna minaccia o preghiera l’avrebbe indotta ad allearsi o a sottomettersi con il nemico di Firenze.

Gli ambasciatori, educati alla scuola politica italiana dell’epoca, capivano poco e non approvavano per niente i suoi scrupoli, tuttavia la trovarono irremovibile alle loro ragioni e furono obbligati a rinunciare a ogni aspettativa del suo aiuto. Ma fecero della speranza di vincere le sue obiezioni il pretesto per il loro soggiorno prolungato nel suo castello, dato che avevano altri piani in vista. La vicinanza di Valperga a Lucca, e i rapporti tra il castello e la città, offrivano loro un’occasione per familiarizzare con molti nobili scontenti, i reduci della fazione dei Neri, a cui era stato permesso di rimanere. Eutanasia, essendo guelfa, aveva naturalmente molti rapporti con i pochi di quel partito rimasti a Lucca, e dai discorsi di questi uomini gli ambasciatori fiorentini nutrirono la speranza di ordire un complotto che generasse la caduta Castruccio. Pensarono di aver trovato in uno di essi un successore alla sua dignità e un capo fedele al partito papale, come Castruccio lo era stato a quello imperiale.

Tra quelli della fazione dei Neri rimasti a Lucca c’era un ramo della famiglia Guinigi, uno dei giovani di questa casa aveva sposato Lauretta dei Adimari, cugina di Eutanasia. Quest’unione creò una grande intimità tra le famiglie. Leodino de’ Guinigi, il marito di Lauretta, era un giovane di talento, di spirito e d’ambizione. Rifiutato un comando nell’esercito di Castruccio, egli fu in ogni modo costretto a spendere la sua capacità d’azione e il desiderio di distinzione nella caccia e nei tornei. Era un uomo molto ricco, rispettato e amato a Lucca, perché i suoi modi erano cortesi e l’indole generosa, tanto che tutti criticavano il principe di trascurare una persona di tale pregio a causa della sua fazione. Ogni anno tuttavia s’aggiungeva allo scontento di Leodino e lui spesso visitava il castello della cugina Eutanasia per lamentarsi del suo destino e dichiarare quanto desiderasse un cambiamento che lo portasse via dall’ozio e dall’oscurità. Lauretta era una ragazza bella ed amabile, ma i sentimenti di parte contavano così tanto in Lucca, che lei fu evitata come guelfa e fiorentina, e perciò si unì con forza alle lamentele del marito, mentre il timore di confisca delle sue proprietà tratteneva Leodino dal servire un capo del suo partito. Eutanasia lo stimava tantissimo, era molto colto e la rassomiglianza dei loro gusti e propositi fece nascere tra loro un sincero affetto e simpatia. Gli ambasciatori fiorentini videro Leodino e la moglie al castello di Valperga, intuirono facilmente il suo carattere e gli auspici, e Bondelmonti s’incaricò di lavorare su lui per collaborare con loro nel progetto. Leodino aveva bisogno di una piccola spinta e subito iniziò a darsi da fare a Lucca per procacciarsi dei seguaci: tutto prometteva bene. Tutto questo era stato accuratamente nascosto ad Eutanasia, che era troppo sincera d’animo per sospettare la frode negli altri. Ma il loro complotto adesso era maturo e gli ambasciatori erano alla vigilia del loro ritorno a Firenze per condurre le loro truppe all’attacco, quando la cospirazione fu rivelata a Mordecastelli e Castruccio apparve a Lucca all’improvviso.

Bondelmonti e i suoi soci lasciarono all’istante Valperga e parecchi cospiratori, presi dal panico, fuggirono da Lucca, però Leodino, sicuro della segretezza con cui aveva avvolto il suo nome, decise di sfidare ogni pericolo e restare. Questa imprudenza gli costò la vita. La mattina dopo il ritorno di Castruccio, lui e più di sei suoi soci furono arrestati e gettati in prigione. Lauretta disperata corse al castello di Valperga, si gettò nelle braccia di Eutanasia, confessò il complotto ordito con Bondelmonti, e supplicò la sua intercessione col principe per salvare la vita a Leodino. Eutanasia sentì crescere l’indignazione nello scoprire che si era abusato della sua ospitalità e la sua amicizia impiegata come pretesto per coprire una cospirazione. Ma, quando Lauretta in lacrime insisté sul pericolo di Leodino, tutta la sua ira si cambiò in compassione ed ansia e ordinò che si portassero i cavalli al portone per potersi recare subito a Lucca. «Mia povera cugina», disse, «temo che se il principe non è di per sé incline alla pietà le mie preghiere avranno uno scarso effetto: ma state certa che non mi risparmierò per assicurare la vita a Leodino. La sua vita! È davvero troppo preziosa per essere sacrificata con leggerezza. Io nutro una fiducia che mi assicura che si salverà. Perciò, non temete. Lo riporterò con me quando sarò di ritorno.»

Si coprì la testa con il suo velo e indossò il mantello, quando un attendente annunciò l’arrivo di Castruccio al castello. Questa notizia inattesa la impallidì e di nuovo il suo sangue, spinto dal cuore, fece arrossire le guance e persino le dita. Non sapeva perché fosse agitata, ma tremava, gli occhi si riempirono di lacrime, la voce si spezzò. Castruccio entrò.

Non era più il suo amante e appena suo amico. Non ci fu alcuna gioia nei loro sguardi in questo incontro dopo una separazione di mesi. Lo aveva amato appassionatamente e ancora provava tenerezza al ricordo di ciò che era stato, ma non vedeva somiglianza tra l’amico pieno d’amore, gioia e speranza della sua gioventù e il principe che adesso era davanti a lei. La fronte era accigliata, le labbra esprimevano disprezzo, il suo atteggiamento e i gesti erano altezzosi e quasi ripugnanti. Eutanasia non si scoraggiò di fronte alla sua aria di superiorità, recuperò all’istante il suo spirito e avanzò verso di lui con calma dignità, dicendo, «Mio signore, stavo per venire a visitarvi mentre voi m’anticipate onorando il mio castello con la vostra presenza. Sarei venuta a supplicarvi per la vita di un caro amico.»

«Contessa, forse la mia commissione ha un’importanza maggiore… almeno per voi: e, visto che potrebbe comprendere una risposta alla vostra supplica, vi prego di ascoltarmi prima d’affrontare ogni altro argomento.»

Eutanasia assentì e Castruccio continuò.

«Madonna, ricorderete che spesso vi ho chiesto in termini amichevoli di mettervi sotto la protezione del mio governo a Lucca. Avete sempre rifiutato e io con indulgenza ho accettato il vostro rifiuto. Ho sottomesso tutti i castelli qua intorno, molti più robusti di questo, ma vi ho sempre permesso di godere dell’indipendenza che avevate. L’ho fatto confidando nella vostra promessa che, pur non essendo mia alleata, non sareste divenuta mia nemica, e che, in qualunque guerra io entrassi, avreste mantenuto una rigida neutralità. Al mio ritorno da Genova, costretto a questa brusca misura dall’annuncio di un complotto contro di me, mi accorgo che siete a capo dei miei nemici e che, in violazione del vostro patto, se non avete dichiarato guerra, avete svolto una parte più nociva, fomentando una cospirazione e offrendo ai traditori quelle opportunità per far maturare i loro piani che, senza di voi, loro non si sarebbero mai sognati.»

Eutanasia rispose pronta: «Mio signore, il vostro errore sarebbe perdonabile se non mi conosceste abbastanza per essere sicuro che sono incapace di svolgere il ruolo che mi attribuite. Ma, anche se avete dimenticato che il tradimento e l’astuzia sono estranee alla mia natura come il buio lo è al sole, almeno mi crederete mentre vi garantisco solennemente che fino a stamani non sapevo niente della cospirazione contro di voi. E adesso…»

«Ma come può essere? Bondelmonti e i suoi sodali non sono stati in questo castello per due mesi?»

«Sì, sono venuti a chiedermi di entrare nella guerra di Firenze contro di voi, cosa che ho rifiutato.»

«E c’era bisogno d’esitare due mesi per la vostra risposta? O, piuttosto hanno aderito ai vostri piani e sono rimasti come spie e cospiratori per la mia distruzione? Ma basta…»

«Sì, basta, è troppo, mio signore. Dubitate della mia buona fede e non credete alla mia parola: questi sono oltraggi che non m’aspettavo da voi, ma ai quali mi sottometto. E adesso permettetemi di parlarvi dell’argomento della visita che intendevo fare.»

«Perdonatemi, ma ricorderete che l’accordo era che io sarei stato ascoltato per primo e ancora non vi ho detto perché mi sono introdotto nel vostro castello. Sono in guerra con Firenze, voi no, e voi credete di avere licenza non solo di tenere una corrispondenza con i miei nemici, ma anche di offrirgli grazie a voi un’opportunità di complottare con i miei traditori. Voi per parte vostra l’avrete fatto innocentemente, però non posso permettere che si ripeta la stessa pantomima, o un’altra che, seppur diversa in termini, è la stessa nello spirito. Se non vi siete approfittata della mia indulgenza, tuttavia vi siete mostrata incapace di sostenere la fiducia che ho riposto in voi. Ma, Eutanasia, se siete davvero innocente, sarei un villano ad essere così severo con voi e, visto che negate d’essere entrata in questo complotto, vorrei credervi, ed è con ripugnanza che affronto l’argomento della mia visita. Dovete consegnare il vostro castello a me: la prudenza non mi concede più di tollerare la vostra indipendenza e, pur essendo dolorosa l’alternativa, dovete accettare di diventare mia alleata.»

«Un trattato con me sarebbe di poca importanza», disse Eutanasia con un sorriso amaro: «dato che sono in grado di tradire e sarei più pericolosa come alleata che come nemica.»

«Direi di no, poiché il primo punto del nostro patto deve essere l’abbattimento di questo castello. In cambio vi sarà accordato un luogo per la costruzione di un palazzo, in modo che non incorriate in alcuna perdita di beni o di reddito. Dovete però scendere al rango di privata cittadina, e questo castello e il vostro potere in questo paese vanno consegnati nelle mie mani.»

«Mio signore, temo non ci sarà accordo sul primo punto del vostro trattato. Manterrò la neutralità promessa e mi sforzerò d’essere più prudente rispetto all’ultimo spiacevole affare. Ma non posso cedere il mio castello o permettere che il luogo dei miei antenati venga raso al suolo. E adesso fatemi parlare di quello che mi sta più a cuore. Leodino de’ Guinigi ha cospirato contro di voi, voi avete scoperto il suo complotto e l’avete messo in prigione. So che considerate la sua vita una rinuncia alle vostre leggi, però vi scongiuro di risparmiarlo: se la generosità del vostro carattere, né l’impotenza del vostro nemico v’indurrà alla pietà, io vi supplico in nome della nostra antica amicizia. Sua moglie, Lauretta dei Adimari, è mia cugina e amica. Leodino, anche se vostro nemico, è un uomo insigne in ogni virtù, coraggioso, generoso e saggio. Se vorrete un’amica fedele e affidabile, perdonatelo, credetegli e la sua gratitudine sarà per voi forte come cento garanzie: se non avete abbastanza magnanimità per credere nel vostro nemico, esiliatelo. Ma per amor mio risparmiate la sua vita.»

Castruccio sembrò piuttosto scosso dalla sua sincerità, ma replicò: «Non può essere. Mi dispiace dirvi di no, ma l’esempio sarebbe troppo pericoloso. Mettete da parte questo vostro pensiero e lasciate ch’io vi chieda ancora di considerare ciò che vi ho appena detto. Me l’avete chiesto delicatamente, ma state certa che non ho menzionato questa alternativa di guerra o pace tra noi, finché il mio proposito non è fissato: riflettete seriamente ai mali che la resistenza vi può comportare e mandatemi una risposta domani.»

«Domani o oggi è lo stesso. Ma voi, Castruccio, riflettete sulla sofferenza che causate se rifiutate di salvare il mio povero amico.»

«Non tormentate più voi e me sulla faccenda di Leodino, la vostra intercessione è senza frutto, lui è già morto. Ho dato ordine della sua immediata esecuzione prima che io lasci Lucca. Ma perché siete così pallida? Cosa vi agita?»

Eutanasia non poteva parlare, l’orrore provato nel sentire della morte violenta di una persona amata annunciata così freddamente dal suo esecutore, la sconvolse: cercò con forza di non svenire, ma, quando Castruccio si avvicinò per sorreggerla, lei sentì la sua mano fredda e priva di vita e solo le sue membra tremanti mostravano che lei era cosciente: le labbra erano pallide, stava in piedi come se fosse diventata una pietra:

«Eutanasia, parla!»

«Parlare! Cosa dovrei dire? Lasciatemi! Mi toccate e le vostre mani sono lorde di sangue, i vostri abiti grondano di sangue… non avvicinatevi! Oh! Dio, abbi pietà di me, che io debba conoscere questa disperazione! Lasciatemi. Voi non siete un uomo. Il vostro cuore è di pietra, i vostri tratti tradiscono il sangue di ghiaccio che scorre nelle vostre vene. Oh, Leodino!»

Lei pianse e i suoi tratti si ripresero dall’orrore mortale che avevano espresso con dolore e mitezza. Dopo aver pianto un po’, e calmata così la sua agitazione, disse: «Mio signore, questa è l’ultima volta che ci incontriamo. Potete attaccare il mio castello, se volete; potete abbatterlo e non lasciare una pietra a mostrare dov’era, ma non mi sottometterò mai volontariamente a un tiranno e assassino. La mia risposta è breve: fate del vostro peggio, non può essere così male rispetto a quello che avete già fatto! Avete distrutto ogni speranza della mia vita, avete fatto peggio, molto peggio di quello che le mie parole possono esprimere. Non esasperatemi o che io vi esasperi restando di più: non potrò dimenticare mai la morte di Leodino. Addio! Noi siamo nemici. Fate del vostro peggio contro di me.»

Lo lasciò, non più in grado di sopportare la sua vista, ma non concesse nulla al suo dolore o all’indignazione. Lauretta aveva sentito della morte del marito e la sua disperazione, e le convulsioni che seguirono, occuparono tutta l’attenzione d’Eutanasia, tanto che dimenticò i suoi sentimenti, la sua situazione e non le tornarono in mente le minacce di Castruccio, finché non le richiamò per altri avvenimenti che lo riguardavano.

Lui non aveva dubbi che, spinta all’estremo, la contessa avrebbe ceduto il castello. All’inizio, quando sentì che il castello era stato scelto dai cospiratori come luogo d’incontro, pensò che lei avesse un ruolo principale nel complotto, ma adesso, assicurato della sua innocenza (perché era impossibile non credere alle sue parole, tanto chiaramente la verità e la sincerità coraggiosa erano dipinte sul suo volto), per questo non venne meno al suo proposito di privarla dell’indipendenza che aveva in mezzo al territorio da lui sottomesso. Come molti dei suoi predecessori e successori nell’usurpazione, Castruccio aveva un criterio per la sua tirannia e non commetteva alcuna violenza senza prima consultare la sua assemblea e ottenere l’approvazione dei suoi provvedimenti. Al ritorno dal castello di Valperga, convocò quest’assemblea amica e fece presente il pericolo in cui incorreva permettendo ad una guelfa così intemperante come la contessa Eutanasia di mantenere il proprio potere ed innalzare il vessillo nel cuore del suo principato. Il suo consiglio rispose alle sue rimostranze con una sola voce: il castello andava sottomesso.

La mattina seguente Castruccio ordinò a Arrigo di Guinigi di portare un messaggio a Eutanasia. Arrigo era sempre stato un prediletto della contessa e Castruccio pensò che sarebbe stato più delicato e indulgente mandare qualcuno così giovane e non presuntuoso come latore del suo più sgradevole messaggio. Eutanasia ricevette il giovane con gentilezza. Parlarono di varie cose, ma lei si trattenne accuratamente dal menzionare il nome di Castruccio, o alludere alle ultime operazioni a Lucca. Passò del tempo prima che Arrigo potesse trovare il coraggio di entrare nell’argomento. Alla fine disse:

«Madonna, ho un messaggio per voi dal principe.»

Eutanasia sbiancò a sentir accennare a lui. Lui che un tempo amava e adesso temeva. Rispose in fretta: «A che debbo il piacere di Antelminelli? Parlate senz’indugio e arrivate presto alla fine del discorso, a cui non riesco a pensare senza agitazione.»

«Vi debbo chiedere d’avere pazienza, perché il mio messaggio non è breve né di poco conto. Mi dovete perdonare se ne sono il latore: sapete quali sono i vincoli che mi legano a Castruccio e se io ora gli obbedisco, carissima contessa, non condannatemi troppo duramente. V’invito a ricordare ciò che lui vi ha detto due giorni fa. Egli ha discusso l’argomento in consiglio e s’è convenuto che non vi è più concesso di mantenere la vostra indipendenza. Voi sapete che il principe qui è onnipotente, il suo esercito è ben addestrato e fortissimo, i suoi ordini sono indiscutibili. Guardate ogni castello e paese qua attorno per miglia, conoscono la sua legge, per cui non vi potete sognare di resistere. Se rifiutate di sottomettervi è perché credete che lui non procederà contro di voi. Mia cara Eutanasia, è un compito orribile per me, nessuno che non avesse il potere di Castruccio mi avrebbe potuto persuadere a intraprenderlo. Perdonatemi se mi mostro villano nel ripetere le sue parole.

Lui dice che non dimentica l’amicizia che c’è stata tra voi e si rammarica molto che la vostra freddezza e aggressività abbia causato una divisione, ma questa è una ragione di stato e non un alterco privato, e da parte sua sarebbe indegno per la fiducia riposta in lui se permettesse alle vostre inclinazioni individuali di interferire con il dovere che ha verso la comunità. Gli è stato ordinato dai poteri di governo del suo paese di imporre la sottomissione del castello e la rocca di Valperga, e lui è risoluto ad obbedire: vi prega di condividere con lui l’infelicità che gli infliggerete e il sangue che si spargerà, se resistete. Sarebbe assurdo cercare di difendervi da sola: per dare alla vostra causa un’ultima possibilità di successo dovreste ricorrere all’aiuto straniero, e portando i fiorentini nel cuore di questa valle voi non solo porterete guerra e distruzione là dove c’è pace, ma reciterete una parte disonesta (perdonatemi se ripeto la sua parola), nel trarre vantaggio dal potere che avete grazie alla sua indulgenza, cercando di rovinarlo. Ma, qualunque sia la vostra decisione, se resistere con le vostre piccole forze, o chiamare gli stranieri in vostro soccorso, lui è deciso a non risparmiare alcun sforzo e a non essere fermato da alcun ostacolo, finché non avrà ridotto in suo potere Valperga e tutti i suoi dipendenti. Contemporaneamente voi, lungi dall’essere in perdita, a parte i vantaggi del titolo, sarete pienamente compensata per i vostri beni presenti.»

Eutanasia ascoltò con attenzione, sebbene talvolta il disprezzo corresse a fior di labbra e gli occhi lampeggiassero di fronte a quelle parole. Prese una pausa momentanea per raccogliere i pensieri e poi replicò: «Mio caro Arrigo, io vi perdono molto volentieri tutta la parte che prendete in queste spiacevoli circostanze. Vorrei che il principe non si fosse degradato a tal punto da ricoprire la sua tirannia di ipocrisia e falsità. Il potere è suo e non del senato. Rispondo a lui e, rigettando tutti i vani pretesti dietro cui si nasconde, forse per se stesso, la sua iniquità e l’ambizione illegale, rispondo a chiare parole al suo discorso artefatto e vi supplico di riportare fedelmente senza alcun cambiamento il mio messaggio a lui.

Non cederò mai volentieri il mio potere nelle sue mani: ce l’ho per il bene della mia gente, che è felice sotto il mio governo e per la quale io farò sempre il mio dovere. Io considero lui un tiranno senza legge, a cui tutti sono chiamati a resistere al massimo del loro potere, ed io non cederò all’ingiustizia per viltà. Potrei essere esasperata al di là della prudenza, ma il diritto è dalla mia parte: io ho rispettato gli articoli della mia alleanza con lui e li rispetterò ancora, ma se lui mi attaccherà dovrò difendermi e sentirmi giustificata nell’accettare l’aiuto dei miei amici. Se non avessi quel diritto, se davvero avessi impegnato me stessa a sottomettermi ogni volta che m’avesse sollecitato a deporre i miei diritti di nascita, che presa di giro assurda è parlare della sua moderazione verso di me! Riconosco che già da tempo avrebbe potuto, come adesso minaccia, ridurre questo castello ad un cumulo di rovine, ma avrei resistito allora come resisterò ora con le forze mie e dei miei alleati. Valperga sta su di una rocca arida e i pochi villaggi che ha sono poveri e non protetti, ma questo castello mi è caro come lo sono i suoi domini a lui. L’ho ereditato dai miei antenati e se desiderassi spogliarmi del mio potere, sarebbe per rendere libera la mia gente e non per forzarla a entrare nei ranghi di un usurpatore e di un tiranno.

Mio caro Arrigo, non cercate di indurmi a cambiare decisione, perché la mia è già presa. Non sono giovane o vecchia abbastanza per esser spaventata dalle minacce, ne felice abbastanza per comprare la vita in qualsiasi condizione offertami da Castruccio. Sono pronta a perderla per una giusta causa, ed è così che io concepisco la conservazione della mia eredità.»

Arrigo, troppo inesperto per gareggiare a parole con Eutanasia, era sopraffatto dall’entusiasmo della donna che, sebbene seria e apparentemente serena, era un torrente che scorreva profondo e calmo, ma il cui corso è più rapido e forte di quello che spreca le sue forze con schiuma e rumore.



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