Il primo Buio
L’incipit di Valter Buio si confonde con le numerose serie, con scadenze a orologeria, che la Star Comics propone ai suoi lettori. Dopo che anche il gigante Bonelli si è convertito alle miniserie, queste sono diventate la formula magica anticrisi, che pare indispensabile per provare a galleggiare in mari fumettistici increspati dalla disattenzione dei lettori.
Anche per la serie di Valter Buio è stato previsto un termine: la sua vicenda si dipana nello spazio di dodici numeri e quindi si conclude nel marzo dell’anno successivo (e cioè settimana fa).
Ma Valter Buio, già nella confezione iniziale, ha qualcosa di speciale che regala fiducia al lettore. La copertina, dipinta da un efficace Paolo Martinello, illustratore prestato al fumetto, offre un realismo tecnico che produce una sintesi di simboli narrativi altamente drammatici e immediatamente percepibili. L’alto valore aggiunto delle copertine della serie sarà una caratteristica qualitativa che rimarrà inalterata (registrerà piuttosto qualche picco verso l’alto) per l’intero anno di vita della testata.
Il mio nome è Valter Buio
Ma chi sarebbe il protagonista che già nel suo nome rivela una familiarità, inconsueta alle testate fumettistiche, le quali, sin dal dopoguerra, non possono esimersi da esotismi anglofoni?
Valter Buio è uno psicanalista molto particolare dal momento che i suoi pazienti sono fantasmi (che chiama “Inconsci”). I suoi clienti sono spiriti inquieti che non riescono ad abbandonare la terra e trovare pace in più sereni liti celesti. Le ragioni delle resistenze a lasciare un larvale livello di esistenza sono rinvenibili in un trauma psichico inconscio, riconducibile alla vita trascorsa, che il nostro bravo psicanalista si assume il compito di individuare e quindi rimuovere.
Già a partire dal secondo numero malevoli sospetti di tale specie iniziano a scemare e svaniscono del tutto man mano che le storie di Bilotta cominciano a dispiegare la sua reale natura.
Valter Buio, spogliato delle vesti esteriori che lo mimetizzano fra mille personaggi, si offre, nudo, con nerbo di originalità, scabra autenticità, deliziose forme, seducente bellezza. Seppure affondi le proprie radici mediatiche in un terreno ampiamente sfruttato, il personaggio trova una singolare originalità in una vocazione minimalista e antieroica che gli rende una forza empatica cui il lettore stenta a resistere.
Buio presenta una personalità spigolosa e non banale, puntiglioso e accanito, eppure sul punto di perdere disastrosamente nel conflitto con la vita. Non sono avversari mostruosi o nemici rituali quelli che Buio deve affrontare bensì le quotidiane asperità contro le quali normalmente ci si infrange. Valter Buio è stato abbandonato dalla moglie e questo fatto è alla base delle sue tendenze alcoliste. I dettagli della vita del protagonista non sono quelli appropriati a un eroe: Buio non vive fra gli agi, è fondamentalmente maldestro, ha paura degli insetti e se viene aggredito le prende sonoramente. Nelle personali debolezze di Buio ritroviamo l’autentica umanità che serve a rafforzare, nel lettore, il processo di riconoscimento con il personaggio.
Valter Buio opera nel suo studio che è un barcone ancorato lungo il Tevere: la precaria dimora è la metafora della sua vita e delle esistenze di tutti gli uomini che tentano di rimanere saldi galleggiando sugli eventi che scorrono come fluidi, loro accanto, cullandoli, a volte, spesso travolgendoli. Perché può succedere a tutti di piombare disperati nel fondo del fiume della vita, finire nei suoi più profondi abissi, gelidi e oscuri, come capita a Valter Buio che affonda, in un tentato suicidio, nel buio del Tevere, nell’episodio Elena Fioravanti (n. 9).
Gli incubi crepuscolari di Bilotta
La peculiarità di Buio sta comunque nel viaggio profondo verso la propria interiorità, nella labirintica introspezione delle propria esistenza che affascina maggiormente di avventure in esotici non-luoghi della fantasia.
Nella retorica minimalista di Bilotta non esistono grandi imprese, azioni memorabili e neanche orrori immani, tutto quanto si risolve nell’ambito di una piccola e sofferente umanità in cui è persino troppo facile riconoscersi. Anche quelli che dovrebbero essere gli attori spettacolari, nelle vicende di Valter Buio, e cioè i fantasmi, che costituiscono il nucleo centrale delle avventure e delle frequentazioni del singolare psicanalista romano, lungi dall’essere paurosi o lugubri protagonisti, si rivelano miseri esseri, spauriti e sperduti, che inseguono come obiettivo l’oblio, il dimenticare e l’essere dimenticati dalle faccende del mondo.
Bilotta, con il suo dimesso crepuscolarismo, con il suo istinto narrativo attento a cogliere le piccole cose che formano la vita, disinteressato a concepire avventure che guardano allo straordinario, bensì concentrato sulla commedia umana in cui noi tutti siamo attori, rappresenta un singolare caso nel fumetto popolare italiano. Caravan di Antonio Serra, in effetti, aveva già provato a mettere in scena gli affascinanti casi dell’uomo comune, peritando di dissolvere la figura del solitario e consueto eroe protagonista in un mosaico di interpreti, di vicende, persone comuni, trascinati nel gorgo dell’evento straordinario. Serra riusciva a regalarci un mosaico di storie minime che però rimanevano saldamente inserite in una cornice che offriva un quadro di straordinarietà, da cui poi ciascun lettore poteva ricavare il (non) senso che riteneva più adeguato. Bilotta non ha bisogno di eventi straordinari per coinvolgere il lettore nella fitta tessitura delle sue narrazioni, che appassionano senza che suscitino stupore, solo per il fatto che sono le storie cui tutti apparteniamo, anonimi, sofferenti protagonisti.
I disegnatori di Valter Buio
Le copertine di Martinello
La prima cosa che colpisce delle copertine di Martinello è la costruzione dell’immagine che evidenzia gli elementi salienti della narrazione, sintetizzandoli e così offrendo una visione compendiale di quello che il lettore troverà nell’episodio. Tutto questo mettendo in mostra uno stile grafico tecnicamente perfetto. Martinello tradisce fatalmente le proprie radici di illustratore, regalando composizioni ricche di sfumature cromatiche altamente evocative, sia quando sprofondano nei grigi più cupi, sia quando esplodono in colori incendiari che sembrano infiammare la pagina (si vedano le copertine de: n. 2, Un giro di giostra; n. 11, Riservami un valzer.) Copertine che sembrano quadri, quadri che raccontano storie, immagini dietro cui si acquattano gli incubi.
Quelle di Martinello sono rappresentazioni surreali che non smarriscono agganci ferrei con la consueta realtà. Gli incubi della quotidianità di Valter Buio non potevano trovare più efficace esposizione.
La maledizione del numero dodici
In tal senso è un vero peccato che la serie si sia interrotta con il numero 12. Valter Buio non aveva le caratteristiche di una Graphic Novel, un racconto unitario formato da vari episodi, con una traccia narrativa definita, destinata a tirare le sue conclusioni nel breve periodo. Il personaggio di Bilotta aveva, bensì, tutte le caratteristiche di un personaggio seriale, con caratteristiche molto azzeccate, la cui vita editoriale avrebbe potuto, potenzialmente, durare all’infinito.
Esigenze di marketing hanno voluto diversamente.
Ma forse è meglio così. Meglio rimpiangere un personaggio amato che ci lascia nella piena maturità creativa, che indugiare su serie, le quali, per sfruttare un primitivo successo, sopravvivono ripetendo stancamente i consueti schemi in una senescenza inarrestabile.
Salutiamo allora Valter Buio, con l’augurio che la sua conclusione sia terreno più fertile su cui Alessandro Bilotta possa ancora seminare le proprie personali intimistiche fantasticherie.
Abbiamo parlato di:
Valter Buio nn. 1-12
Alessandro Bilotta, AAVV
Edizioni Star Comic, marzo 2010 – marzo 2011
96 pagine, brossurato, bianco e nero – 2,70€ cada