“Per la festa di San Valentino, il liceale Mizushima riceve dei cioccolatini dalla nuova studentessa, Monami Arukado. Mizushima, però, non sa che i cioccolatini contengono tracce del sangue di Monami, che è un vampiro. Mangiandoli si infetta e Monami gli confessa di voler vivere per sempre con lui, come vampiri. La ragazza di Mizushima, Keiko Furano, li vede insieme e, in preda alla gelosia, inizia a perseguitare Monami. Nel tentativo di far precipitare Monami da un tetto cade e rimane uccisa ma il padre, Kenji Furano lo scienziato pazzo, la fa risorgere come Franken Girl”
Adorato da un’icona vivente quale è Bruce Campbell, il recente lavoro del controverso duo nipponico supera i limiti evidenti delle precedenti opere, appesantite da una narrazione segnata da un incedere “a livelli” (metodo abusato nel fumetto o peggio derivato dal mondo dei videogiochi) e da imperdonabili ingenuità nella caratterizzazione dei personaggi.
Come una sorta di cross-over tematico contaminato da elementi di commedia adolescenziale, Vampire Girl VS. Frankenstein Girl demistifica l’aura sacrale che ammanta le figure della grande cinematografia del terrore (la vampira Monami appare persino ingenua e solare) e moltiplica, stravolgendolo senza ritegno, il valore simbologico della loro stessa rappresentazione filmica: il sangue, di un irrealistico rosso vivo, diventa per i vampiri materia plasmabile e liberamente “usabile”, che permette di creare improbabili spade di emoglobina e pericolose seghe circolari. Nel caso della “creatura” Keiko, classicamente composta da selezionatissime membra assemblate, il gioco perverso dei registi è identificabile nella sua azzardata reinterpretazione fisica, il cui parossismo tocca frequentemente vertici di inaspettata demenzialità (una gamba conficcata con un chiodo nel cranio permetterà roteando di volare come un elicottero!).
A condire il piatto – già di per sé ricco – di un’opera segnata da un’evidente bulimia visionaria, si affiancano una moltitudine di rimandi alla società ed alla cultura nipponica, in merito tanto ai lati dichiaratamente popolari (ed esportabili) quanto a quelli più tristemente conosciuti, come nel caso delle studentesse depresse, veterane dell’autoflagellazione tramite affilati taglierini.
Eccessivo, infantile e squinternato, il film di Tomomatsu e Nishimura diverte senza pretese, fiero della cialtroneria goliardica delle situazioni narrate. Considerato in questi termini, un esperimento interessante. Ma il cinema è tutt’altra cosa.
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