L’esordio di una protagonista indimenticabile
Se vi sono sembrato troppo sbrigativo nel delineare le figure di Enrico Fuschi e del Dottor Mantegna chiarisco subito che è stata un’azione premeditata per non anticiparvi troppo togliendovi così il gusto di immergervi nella lettura di quello che è un romanzo che cattura dalla prima all’ultima pagina riunendo in sé una serie di vicende e di situazioni che si amalgamano alla perfezione tra loro dando vita così ad un intreccio a dir poco perfetto. Altri elementi di questo intreccio sono Riccardo Randi, professore universitario entrato nel rutilante mondo letterario dopo l boom del suo romanzo d’esordio e che qui ritroviamo impantanato nella stesura del suo secondo romanzo, il quale intesserà con Vani un rapporto che pian piano si evolverà ben oltre i normali rapporti editoriali. Vi è poi Morgana, una studentessa quindicenne, che vive nello stesso palazzo di Vani e che sembra il suo clone con vent’anni di meno sulla carta d’identità. Completano, per così dire, il quadro Bianca, una scrittrice new-age, autrice di una collana di libri sugli Angeli e i loro messaggi e il commissario Berganza, un personaggio che “sembra uscito da un fumetto” o da un romanzo giallo, con quel suo impermeabile beige che lo fa somigliare molto a personaggi quali Dick Tracy, il tenente Colombo e il tenente Sheridan.
Ah…
E poi naturalmente vi è la famiglia di Vani che nel romanzo troviamo impersonata principalmente da Lara, la sorella di Vani che ne incarna l’antitesi. Almeno all’apparenza. Se infatti si legge il romanzo e si scava un pochino nelle sue pieghe troviamo che le due sorelle qualche punto almeno vagamente in comune ce l’hanno. Il principale di questi è, a mio avviso, dato dall’”uomo di punta” delle loro vite. Per Lara questa figura è incarnata dal marito Michele, un manager con dei comportamenti che spesso lo fanno somigliare ad un bambino capriccioso ma che comunque, nonostante tutto, si dimostra comunque “un buon marito e un padre meraviglioso”. Per Vani invece questa figura maschile preminente è data proprio dal suo capo il quale, pur apparendo non certo come il capo ideale per il quale lavorare, con quel suo essere freddo ed attaccato a quelli che sono gli aspetti economico-finanziari, ciononostante rivela, nel corso del romanzo, degli aspetti umani che lo rendono, se non proprio il prototipo di “Mister Simpatia”, quantomeno accettabile e vagamente, in fondo in fondo, ma proprio in fondo, vagamente simpatico.
Quindi, detto questo, non mi resta che invitarvi caldamente, ad acquistare e godervi fino in fondo “L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome” di Alice Basso e a lasciarvi avvolgere dalle sue atmosfere e avvincere dalle vicende e dalle trame alle quali questa promettentissima narratrice riesce a dare vita!