Puntata 7 – anno 3, 15 febbraio 2014
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Severino di Giovanni
Ciao a tutte e tutti da Debs e Olga.
Non è una novità che in Italia ci sia un problema di razzismo. Ma anche alcuni aspetti delle critiche antirazziste dovrebbero essere spurie da caratteri paternalisti che vedono i migranti solo come vittime e individui da proteggere e mai come soggetti attivi o potenzialmente rivoluzionari. Proprio a febbraio ricorre l’anniversario della morte di un immigrato anarchico italiano in Argentina: viene dall’Abruzzo, ha lottato per i suoi ideali antifascisti dall’altra parte dell’oceano, era anarchico e la sua patria era il mondo intero.
Nel 1925, l’Argentina è il paese che ospita la comunità di immigrati italiani più grande del mondo e si prepara a festeggiare il venticinquesimo anniversario della salita al trono di Vittorio Emanuele III. Al teatro Colón di Buenos Aires tutto è pronto per la festa, allestita dalla delegazione del Fascio. La banda si appresta a musicare l’inno di Mameli mentre le dame e i signori borghesi scalpitano impazienti dentro i loro vestiti migliori. La marcia parte e all’improvviso dalle prime file della platea si alza un grido: «Assassini! Ladri! Viva Matteotti!», corredato da una fitta pioggia di volantini che investe le guardie fasciste. Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti viene ucciso da una squadra fascista reo di aver denunciato brogli elettorali e di essersi contrapposto al fascismo.
La caccia all’uomo ha inizio, volano cazzotti e spintoni. Nel parapiglia generale, un ragazzotto biondo comincia a gridare il contenuto del volantino:
…Santificatori della monarchia Sabauda avete dimenticato che proprio sotto il regno di Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e volontà… di pochi Re d’Italia; sorse, si alimentò nel sangue, quell’accozzaglia di briganti che si chiamano i FASCISTI… con tutti i suoi Dumini, i Filippelli, i Rossi, i De Vecchi, i Regazzi, i Farinacci… e che trova in Benito Mussolini la più precisa e perfetta raffigurazione di tutte le infamie… Glorificatori della Monarchia appuntellata dal pugnale dei Dumini scrivete nella storia della Casa Savoia questo nome glorioso: Matteotti! Ricordate i 700 assassinati nel 1898 dai cannoni di Umberto il Buono. W la mano di Bresci!…
Il biondo del teatro Colón di Buenos Aires si chiama Severino di Giovanni. È arrivato in Argentina da meno di tre anni e già entrato nei registri della polizia bonaerense a seguito di questa azione. Nel 1922 ha 21 anni quando lascia l’Abruzzo e s’imbarca per l’America con la moglie Teresina e i suoi figli. Non sogna il nuovo mondo, sa che per quelli come lui la vita è dura su entrambe le sponde dell’Atlantico. Decide di partire perché non tollera l’avanzare del fascismo e il crescere della repressione nei confronti degli anarchici.
Oltreoceano diventa presto uno dei massimi esponenti della corrente illegalista dell’anarchismo argentino. Sostiene la campagna internazionale di solidarietà agli anarchici Sacco e Vanzetti con gli articoli pubblicati sul suo giornale «Culmine» e con ripetuti assalti alle banche. Crede ferventemente nella legittimità di queste azioni. I soldi ricavati dai colpi messi a segno servono per finanziare il sostentamento delle famiglie dei compagni arrestati, la propaganda libertaria a mezzo stampa e il suo ambizioso progetto di pubblicare l’opera completa di uno dei suoi autori preferiti: il geografo pacifista e anarchico Élisée Reclus. Solcando le strade degli espropri e dell’illegalismo di terra argentina Severino incontrerà diversi anarchici europei, tra cui Buenaventura Durruti – protagonista della Guerra Civile spagnola del ‘36 – con il quale condividerà alcune azioni.
Ma non tutto il movimento anarchico argentino accetta le pratiche illegaliste di Severino. Men che meno quando queste provocano morti o feriti innocenti e inaspriscono la repressione nei confronti degli anarchici. È il caso della bomba alla National City Bank, ventitré feriti e due morti, e dell’ordigno esploso al Consolato italiano, nove morti, di cui sette fascisti italiani, e trentaquattro feriti. A seguito di queste azioni Severino diventa il nemico pubblico numero uno della Repubblica Argentina e viene violentemente attaccato da alcuni esponenti del movimento anarchico bonaerense.
Braccato dalla polizia e consigliato dai compagni decide di fuggire dall’Argentina destinazione Francia. Solo che la ragazza di cui è innamorato, América Scarfò, non è ancora maggiorenne e non può lasciare il paese senza l’autorizzazione dei genitori. Severino mette in scena un’opera buffa che si prende allo stesso tempo gioco della morale borghese e dei dogmi cattolici. Convince un compagno anarchico, Silvio Astolfi, a fidanzarsi per finta con América. Pochi mesi più tardi il falso matrimonio si consuma. Ora con il consenso del marito la sposa può espatriare. Il loro viaggio di nozze dura il tempo di una corsa in macchina per arrivare da Severino che li aspetta fuori città con delle rose rosse in mano.
Paulino Scarfò
In questo periodo, nonostante il cerchio intorno a lui si faccia sempre più stretto Severino trascorre probabilmente i mesi più sereni della sua vita insieme ad América. È a un passo dalla fuga e dalla rinascita in Francia, dove i compagni italiani espatriati lo aspettano. Ma accade un imprevisto: il fratello della sua compagna viene incarcerato. Severino non se la sente di fuggire in Europa senza aver prima liberato il compagno di idee e di tanti colpi. Insieme a Paulino Scarfò, fratello di América, tenta l’ultimo colpo in terra argentina ma fallisce. Il tempo stringe e a peggiorare la situazione ci si mette l’inasprirsi della repressione dettata dalla conquista del potere del dittatore Uriburu.
La sera del 30 gennaio 1931 Severino, si nasconde nella tipografia di Gennaro Bontempi. Poco dopo la tipografia è circondata dai poliziotti. Inizia così una corsa forsennata, seguita da una sparatoria che costerà la vita a una bambina e a un poliziotto. Anche Severino è a terra ma non è morto. Forse si è sparato da solo, forse l’hanno colpito. Il giorno successivo viene processato. La mattina del 1 febbraio 1931 sembra di essere tornati indietro di sei anni, a quel teatro Colón allestito a festa dai fascisti. Gli invitati sono gli stessi: dame e signori borghesi che scalpitano impazienti dentro i loro vestiti migliori.
La notizia dell’esecuzione
I militari argentini preparano il palcoscenico. Severino entra in scena. Risa e scherni. Ha gambe e braccia legate. Lo legano alla sedia con delle corde per evitare che il cadavere si afflosci a terra una volta colpito a morte. Il plotone si schiera davanti a lui. Un ultimo grido: «Viva l’anarchia!» e si chiude il sipario. Gli spettatori tornano nelle loro case accoglienti e intanto la storia di Severino vola da una parte all’altra dell’oceano. Il giorno dopo nello stesso modo ammazzeranno Paulino Scarfò, le sue ultime parole saranno le stesse di Bartolomeo Vanzetti: «Signori, buona notte, viva l’anarchia!».
E con queste riflessioni vi salutiamo vi salutiamo e vi invitiamo a visitare il nostro sito casoesse.org e… alla prossima puntata.
Per approfondire
- Osvaldo Bayer, Severino di Giovanni, Milano: Agenzia X, 2011.
- O. Bayer, Severino di Giovanni, «Carmilla», 10 dicembre 2011.
- Camilla Cattarulla, Anarchici italiani in Argentina: Severino di Giovanni, «DEP – Deportate, esuli, profughe», 11, 2009, p. 81-93.
- Virgilia D’Andrea, Viva l’anarchia!, «Adunata dei Refrattari», 28 marzo 1931.
- Alberto Prunetti, America, «Carmilla», 13 settembre 2006.
- Gian Antonio Stella, Severino di Giovanni, storia d’amore e d’anarchia, «Corriere della Sera», 31 dicembre 1999.
- Sur Blog, L’esecuzione di Severino di Giovanni, «Sur Blog», 14 dicembre 2011.
Approfondimento musicale
Osvaldo Bayer & Quinteto Negro La Boca, Milonga para Severino:
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