Varsavia 1935 - 1945 - 1955...2005 & adesso

Creato il 11 maggio 2013 da Valeskywalker @valeskywalker


Questo post per essere completo dovrebbe essere un'enciclopedia.
Il mio intento e' invece quello di raccontarvi alla buona e in breve quanto l'architettura di questa citta' sia lo specchio concreto e quotidianamente vivo della sua storia, reso tale da generazioni di abitanti che l'hanno vista svilupparsi, crollare e risorgere infaticabilmente nel corso dei secoli.
Il cortometraggio Warszawa 1935 propone una ricostruzione di com'era prima dell'invasione dei nazisti nel 1939:  una citta' architettonicamente sorella delle citta' francesi e italiane, pur piazzata a distanza di centinaia di kilometri da esse.
Solo il piccolo centro storico, creato nel '400 e ricostruito fedelmente dopo la distruzione della II gm, ricorda le analoghe piazze del mercato di area asburgica: case tutte colorate e chiuse a quadrato intorno al monumento centrale.
Anche la mentalita' generale polacca e' piu' vicina a quella francese e a quella italiana di quanto molti possono immaginare: la passione per le arti, il piacere di mangiare, la voglia di far festa (i matrimoni polacchi possono competere con quelli siciliani per numero di ospiti, di portate e di ore). Certo, quando uno pensa joie de vivre non gli vengono in mente i polacchi, ma se noi fossimo stati per cinquecento anni la fetta di prosciutto in un panino tra russi e tedeschi, perennemente spazzati via dagli uni o dagli altri, un senso di ansia o di tragedia innato ce l'avremmo pure noi.
Nel 1939 a Varsavia vivevano un milione  e trecentomila abitanti.
Nel 1945, quando i russi si decisero finalmente a entrare a Varsavia per "liberare" i polacchi dai Nazisti, avendo avuto cura di aspettare fuori dalla citta' tutto il tempo necessario ai nazi per deportare l'intera popolazione ancora rimasta dopo la coraggiosa resistenza, costatarono che l'85% per cento della citta' era andata distrutta e in questa enormita' di rovine abitavano ancora mille persone.
1000.
Si, mille.
Il Museo della Resistenza di Varsavia ha prodotto un cortometraggio che ricostruisce lo stato della citta' alla fine della guerra. Guardare i due film e' stato piu' evocativo dei mille spiegoni che ho sentito in questi otto anni.
Perche' hai voglia a cercare di immaginare da te, quando sei cresciuta a Torino, dove, come disse un mio amico bulgaro, un qualsiasi operaio della fiat quando al mattino va al lavoro vede piu' bellezza architettonica e artistica in  quella mezzora di quanta un professore bulgaro durante il regime comunista ha potuto vedere nella sua vita.
Dopo la guerra sono iniziati i restauri, le ricostruzioni e le costruzioni. Non sono ancora finite oggi.
Restaurati i pochi gioielli rimasti, come il Palazzo sull'Acqua, sbuchettato e riempito di dinamite dai nazi che pero' si erano ridotti talmente all'ultimo minuto (perche' ci stavano dentro loro, mica scemi)  che non riuscirono a farlo detonare prima che arrivassero i russi.
Ricostruiti utilizzando dipinti, illustrazioni e foto, il centro storico (patrimonio Unesco dal 1980), chiese e palazzi.
Costruiti nuovi elementi, secondo il gusto sovietico: il Palazzo della Cultura in particolare, ancorche' odiato a lungo perche' "donato" da Stalin, fa anche lui parte del volto di Varsavia .
Nello stesso periodo fu costruito il Parco Centrale della Cultura, seguendo il naturale declivio del centro della citta' avvicinandosi alla Vistula, dove gia' vi erano dei giardini creati nel 18esimo secolo. Furono rimosse moltissime rovine (vi sono due colline fuori dalla citta', fatte di detriti delle rovine) e piantati 10mila alberi e 60mila piante.
Un gran scalone, degli stagni, delle fontane,  grandi statue, sentieri, panchine in quantita'.
  Una pista da ballo per 600 coppie e 1500 posti a sedere per cenare ai tavoli ed ascoltare la musica dal vivo, cosi' riporta un quotidiano dell'epoca.

La Viatrix balla da sola sulla pista

Oggi, questo e' il mio parco sotto casa.
Come se gia' non bastasse l'aver da gestire le rovine della guerra, si  sono aggiunte negli anni le rovine moderne, quelle strutture volute dal regime e poi cadute in disuso per mancanza di requisiti di sicurezza, incendi, carenza di soldi. Le rovine moderne non ispirano alcun sentimento, si aspetta solo che un costruttore ci metta le mani sopra per tirarne fuori qualcosa di buono, le rovine vecchie fanno soffrire perche' ricordano.
Sono arrivata qui la prima volta nel 2005:  a sentire com'era prima e a guardarmi intorno, mi sembrava che fosse gia' stato fatto tanto, ma questi otto anni mi hanno dimostrato che non era cosi': i miglioramenti sono costanti, le strade si fanno via via sempre piu' lisce, le facciate ritornano chiare,e mentre i vecchi palazzi ritrovano il passato splendore, nuovi sfidano il cielo

 Andando a zonzo tra grattacieli di vetro, blocks cmunisti di cemento, palazzi preguerra (kaminica), i segnali dei cantieri in orizzontale e le gru in verticale, oggi ho incontrato questo muro, uno dei pochi ancora esistenti del Ghetto, sul lato lungo di un palazzo disabitato da tempo.
Ora, io non sono un'esperta di arte, ma ci ho visto queste cose
Il bianco e il rosso della bandiera
Il male accaduto rappresentato da quel muro enorme, la voglia di leggerezza e di naturalmente salire verso l'alto di quel palloncino.
E ho pensato che era giunta l'ora di concentrarmi e cercare di spiegarvi grossomodo perche' ogni mattone di questa citta' non solo parla ma e' ascoltato, a volte contestato, sempre celebrato.


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