Ne abbiamo già parlato diverse volte in passato. Vale la pena tornarci su, seppur brevemente, anche oggi.
Lo spunto della discussione nasce da alcune polemiche lette in Rete riguardo a Fabio Volo e al suo ultimo libro. Che scriva banalità supreme credo che sia un fatto riconosciuto anche dai suoi lettori, salvo i casi clinici. Volo prende i soliti quattro/cinque elementi e li mischia in romanzi fotocopia, con una profondità specifica pari a zero, o quasi. Eppure c’è chi sostiene, probabilmente non senza ragione, che Volo potrebbe scrivere anche la lista della spesa, e venderebbe comunque.
Perché? Perché i suoi ammiratori comprano lui, e non i suoi romanzi.
Ovviamente il meccanismo vale anche per scrittori più affermati. Stephen King, tanto per fare un nome. Conosco lettori che da anni si dicono delusi dal Re, ma che continuano ad acquistare i suoi libri, perché c’è il nome King in copertina.
E quindi?
Gli esperti di marketing e di social commerce non si pongono nemmeno il dubbio: occorre vendere il proprio nome (il proprio brand) ancor prima dei propri prodotti. Vale anche per gli scrittori, ovviamente.
Non a caso tutti gli autori, ma anche i saggisti, i fumettisti etc etc, sono anche dei comunicatori (o almeno ci provano). Gestiscono dei blog, sono presenti sui social network, interagiscono coi lettori, cosa che fino a vent’anni fa era impensabile. Anzi, si trattava quasi di lesa maestà.
C’è chi tutto questo non lo sopporta proprio. Persone particolarmente riservate o introverse vorrebbero semplicemente scrivere e essere valutati per i loro racconti, non per quanto riescono a essere brillanti su Facebook. Sembrerà strano, ma li capisco. E immagino che la situazione attuale del settore sia tale da gettarli nel più totale scoramento.
Eppure, piaccia o non piaccia, le cose oramai funzionano così. I lettori, specialmente quelli “forti”, comprano tanto lo scrittore, quanto i suoi libri. In un rapporto quasi paritario. Uno scrittore che non chiacchiera, che non fa rumore, risulta praticamente invisibile. Specialmente se è un giovane o un emergente.
Mi piace essere schietto, almeno qui sul blog: io stesso subisco questa cosa, quando mi pongo nei panni del lettore. La subisco però in senso inverso: ci sono tre/quattro scrittori che mi ripugnano talmente tanto a livello umano ed etico che non comprerei un loro libro nemmeno se fosse l’unica cosa da leggere dell’intero Sistema Solare. Immaturità? Senz’altro! Eppure la mente umana funziona al di là dei nostri buoni propositi.
E come scrittore, come mi pongo?
A me non spiace affatto comunicare. Questo blog ne è la prova. C’è qualcuno che mi compra a scatola chiusa, per simpatia? Penso di sì. C’è qualcuno che non comprerebbe nulla di mia, per antipatia congenita? Altrettanto vero.
Purtroppo non penso che le cose cambieranno in futuro. Anzi, questa identificazione tra prodotto e brand (tra libro e scrittore) sarà sempre più intensa.
E non è detto che sia un bene, soprattutto nell’ottica in cui qualcuno interpreta questa necessità di dover comunicare/chiacchierare con il dover far polemica gratuita e continuata.
Ma così vanno le cose.
I consigli di Sarah Allen per costruire un buon brand come autori.
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