Non che In Their Skin sfugga a questa inevitabile categorizzazione, lo sviluppo del film segue la cadenza tipica del genere sommando il mistero all’imbarazzo e il terrore alla violenza, creando confusione e dissenso, un conflitto progressivo che sfocia nella naturale brutalità conclusiva, ma è molto interessante vedere come Jeremy Power Regimbal sappia giocare con il tema della sostituzione, per certi versi dello scambio, o comunque quello di diventare altro, mettendo in scena una situazione di malessere inestricabile, proprio perché incomprensibile, che funziona con maggior forza rispetto all’ormai povera idea della violenza-perché-sì. Non solo, quindi, Bobby (un bravo Josh Close, anche sceneggiatore) e Jane vogliono insinuarsi nella vita di Mark e Mary (come sempre bravissima Selma Blair) con quel sospetto enigmatico tipico del genere, ma vogliono diventare loro stessi, mimandone i gesti, replicandone le parole e infine sostituendosi a loro e dando così il via a uno strano, inquietante scambio di ruoli che Mark e Mary, così come lo spettatore, non sono in grado di definire, di spiegare né ovviamente accettare, e possono reagire soltanto regredendo e trasformandosi proprio in quello che gli stessi Bobby e Jane, introducendosi a poco a poco nella loro casa in mezzo al bosco, hanno fatto con loro a inizio film.
Rimangono molti schematismi di cui Power Regimbal avrebbe anche potuto privarsi per dare più luce al suo progetto (la crisi tra marito e moglie, il tentativo di riconciliarsi), ma bisogna dire che la qualità della sua penna, prima di tutto, è di elevata attenzione, e la sofferenza/stanchezza che si respira è molto ben dipinta. A questo è necessario aggiungere l’ottima sequenza di pugni allo stomaco improvvisi e schizofrenici (le prime aggressioni dei bambini, l’arrivo del fratello di Mark), certo, sempre momenti tipici dell’home invasion ma in grado comunque di funzionare agilmente per impatto e coinvolgimento, qualità con cui In Their Skin potrebbe comunque svettare sui titoli simili che l’hanno preceduto.