è che il tempo mi piace catturarlo con gli occhi ... e anche con la fotocamera
Frugo in tasche che penso vuote e trovo pezzi di appuntamenti perduti. Accarezzo un polso che fugge il cappio dell’orologio, mi do un morso e con una mina intinta nel blu traccio due frecce e due numeri. Sono distanti, si rincorrono, sanno che si ritroveranno al prossimo giro. Intanto fuggono, mentre i segni del morso di dissolvono e le frecce sbiadiscono, come tutte le intenzioni vinte dal timore. Insieme agli appuntamenti perduti e a tutti i venerdì che non chiedono d’esser ritrovati. Le mani frugano ancora. Girano e rigirano tra i pezzi di appuntamenti perduti di cui ho le tasche piene, per la verità. Che poi non è mai una sola e non è mai la stessa. Che poi, a guardarlo bene quell’orologio strappato tra un morso e una linea d’inchiostro, non è che credo abbia proprio tutte le rotelle a posto. Fa compagnia al venerdì, a un’ora qualunque, in un posto che sarebbe quello giusto anche se fosse di giovedì, in una tasca piena di pezzi di vite e di prossimi giri e capogiri di direzioni confuse e fughe. E giorni che sono sempre gli stessi, bevuti al sole caldo di una giornata di settembre mascherata d’agosto, una di quelle giornate in cui non c’è nulla di più logico da fare che dare i numeri. E non sono mai quelli che s’incontreranno alla fine della corsa e non sono mai quelli per cui, quella corsa, hai deciso di correrla fino in fondo.