Mario Tobino, Il perduto amore, Mondadori, 1979
PREMIO STREGA
La prima edizione Mondadori uscì nel gennaio 1979 , seguita da una seconda edizione nel febbraio successivo. L’ho voluto riprendere in mano per una seconda lettura, perché Tobino graffia lo specchio dell’anima. Ma cosa è il perduto? Anche in amore può esserci il perduto? O c’è soltanto il vissuto? Forse è il vissuto che ci distanzia dal perdere gli amori e la vita. Così Pierfranco Bruni :”La letteratura è uno scordare e un ritrovare. Un dimenticare e un recuperare. Lo sguardo degli occhi sconfitti dallo specchio nella letteratura di Mario Tobino sono una costante esclamazione. Mai un interrogativo. Dirà in alcuni versi dedicati alla madre in una poesia “A mia madre”: “ero forte solo di pensieri,/ ricco solo d’amore”AMORE...
L’amore di cui parla Tobino nasce in tempo di guerra sul fronte libico,la tragedia accade all’inizio, quando casualmente, nell’ospedale da campo 129, da una pistola di un tenente medico parte un colpo che uccide un altro tenente medico. È l’occasione perché la “bella, fatale”infermiera contessina Romana Augusta Ludovisi, detta Dedé, e il protagonista, il tenente medico Alfredo, “quello che delle volte zoppica un poco”, si conoscano. Alfredo (ancora una volta personaggio autobiografico: “con i propositi che si era sempre fatto di non sposarsi per dedicarsi alla sua passione letteraria”) è stato trasferito da pochi giorni al campo, dal fronte marmarico, dove le schegge di una bomba lo hanno ferito, e mal si adatta a quella vita così differente: mancano il calore, la solidarietà, la confidenza presenti invece sul campo di battaglia: “Non mi ci ritrovo in questo ospedale.” Soltanto quando fa visita ai feriti, che hanno combattuto come lui sul fronte, il suo carattere si trasforma e diventa gioviale, pronto a scoprire e a sollevare l’animo dei soldati. Ritroviamo in questo ritratto il medico Tobino che visita le sue malate febbricitanti di follia nel manicomio di Lucca, amorevole e solidale, come era stato anche il tenente medico Marcello ne “Il deserto della Libia”.
Eccoti Tobino, mi colpisci ancora per la sincerità della tua commozione e per la spontaneità del sentimento che ci trasmetti in ogni circostanza mediante la tua scrittura. Essa d’improvviso ne riluce, sprigionando quel personale baluginio in cui si fondono narratore e poeta:
“Il tenente Alfredo era ogni mattina preso come da una ventata di frenesia e gli si sprigionava l’immaginazione. Questi erano gli uomini che lui amava, coi quali – persino in quella amara guerra – poteva nascere una sorta di felicità.”
Eccoti per il pensiero per Dedé: “Ancora mai si era detto se l’amava”. Non si possono differenziare le due tue attitudini; esse sono alla base della singolare qualità della tua scrittura, sempre e pronte ad emergere e ad imporsi al lettore.
Ma è così? L’amore che nasce deve restare nell’ombra, segreto?
“I suoi soldati, laggiù a Tobruk, erano ormai come in un cannocchiale guardato alla rovescia. Nella coscienza di Alfredo regnava, cioè imperava, la crocerossina Ludovisi.”
Eppure la guerra non è lontana. Un aereo nemico mitraglia il campo, facendo dei feriti.
La critica Marina Monego mi ha ricordato che il perduto amore, questo delicato sentimento che affiora lungo il romanzo e lo addolcisce dalle miserie della guerra, acquista un significato ben più alto di un occasionale innamoramento di due individui che s’incontrano e si corteggiano. Esso si pone come il punto di riferimento più alto, il solo che possa avvilire, se non addirittura annientare, gli orrori della guerra, il solo che resti nel tempo a risarcire ed illuminare una vita:
“L’amore tra la Dedé e Alfredo continuava; era divenuto diafano. A lungo si guardavano, si sorridevano, si sfioravano le mani. I baci erano radi; le labbra si premevano leggere. I corpi non si avvinghiavano.” E poco più avanti:
“E allora spontaneamente accadde che si misero a sognare un ritorno in Italia, dove finalmente si sarebbero potuti a lungo, a lungo abbracciare.”
Il ritorno in Italia avviene grazie alla intercessione della infermiera Ristori, bella e giunonica, “dallo sguardo assassino”, di cui è innamorato il colonnello Guidiccioni, che questa volta aiuta Alfredo a rimpatriare. Faranno il viaggio insieme.
Sopra tutto sta il perduto amore. Tobino tratta l’amore (“è nato un fiore sentimentale”) con pudicizia, e più che l’amore dei sensi, è l’unione dei sentimenti che egli esalta. Anche nel momento in cui il legame tra Alfredo e Dedé si attenua, egli mantiene quel filo tenero e discreto che mette in comunicazione due anime. Quando l’amore sarà finito:
“Ora tutti e due hanno i capelli bianchi, le rughe, spesso un mesto sorriso. Se per caso un giorno si incontrassero l’autore pensa che andrebbero l’uno verso l’altra guardandosi senza alcun rancore.”
COSA RESTERA' ?? Per Tobino la letteratura è qualcosa di più profondo che ha radici nell’anima e richiede una vita di sacrificio, una dedizione assoluta. Egli affiderà alla letteratura la sua vita. Vivrà, solitariamente, nella sua cameretta del manicomio di Lucca, avendo per compagni le sue letture e i personaggi dei suoi romanzi; si circonderà di pochi privilegiati amici coi quali discorrerà di arte. “Il perduto amore” è, così, anche, la determinata dichiarazione della propria irrevocabile scelta, della propria vocazione e del proprio sacrificio. Così che, nel momento in cui Alfredo decide di non rispondere ad una lettera di Dedé, che finalmente dichiara di amarlo, Tobino scrive:
“Avrei inoltre messo a rischio il mio lavoro, quello che davvero mi cuoce, messo in forse la libertà, non più secondo il mio piacere stare solo oppure in mezzo a una vociante compagnia, essere triste o allegro come mi viene. Quello che amo è non dipendere da nessuna convenienza, compagno di ricchi o poveri come la mia anima detta.”