Rabitto horaa 3D, Giappone, 2011, 83 min.
E’ ufficiale: il maestro del J-horror Shimizu Takashi ormai è diventato vittima di una qualche perversa ossessione per i conigli per la quale, oltre ad infilarli in ogni suo film, si è presentato in sala (per il secondo anno di fila!) indossando la stessa maschera conigliesca del film, costringendo anche il malcapitato Muller a fare lo stesso.
Una delle cose che saltano all’occhio vedendo Tormented (o Rabbit Horror 3D) è come si collochi in territori molto simili rispetto al precedente The Shock Labyrinth 3D, sia per tematiche che per trovate registiche. Ormai il J-Horror è passato di moda, tanto che neanche gli americani ne fanno più oggetto dei loro remake e tutti i registi di punta di questo movimento (Kurosawa Kiyoshi, Nakata Hideo) hanno nel frattempo tentato strade nuove. Shimizu invece ha solo sostituito all’horror duro e puro fatto di bambini col cerone in faccia (The Grudge) e misteriose donne dal volto coperto dai lunghi capelli corvini, la variante, altrettanto di moda in Giappone, degli psycho-horror: entrano quindi in gioco traumi infantili e paure ancestrali, sensi di colpa e incubi fin troppo reali.
A farne le spese sono Kiriko (la Matsushima Hikari già vista in Love Exposure di Sono), muta da quando un ignoto trauma infantile ne ha minato la psiche e il fratellino Daigo. I due vivono assieme al padre (Kagawa Teruyuki, eterna spalla del cinema giapponese), un uomo distrutto per aver perso sia la prima che la seconda moglie, chiuso semi-permanentemente in una stanza dove passa le giornate a fabbricare libri pop-up. L’incubo inizia quando Daigo pone fine alle sofferenze di un coniglietto morente: a partire da questo episodio il piccolo, oltre a essere ostracizzato dai propri coetanei, viene condotto per mano da un pacioccoso ma altrettanto inquietante mega-coniglio-bianco-di-peluche in un mondo fiabesco che però si rivelerà ben presto molto poco amichevole, dal quale la sorella Kiriko tenterà di salvarlo.
Come si può facilmente immaginare, trattandosi di un horror psicologico, i piani temporali andranno presto a confondersi e in una girandola di colpi di scena i personaggi stessi cambieranno faccia nel più classico dei “nulla è come sembra”. Shimizu architetta una storia che si avvita su se stessa tra flashback e sogni per parlare, come nel precedente The Shock Labyrinth, di sensi di colpa e traumi che si ripresentano quando ormai sembravano superati, ma lasciando da parte l’amicizia del film precedente per andare diretto al cuore nero dei segreti di famiglia. In Tormented il modo di dire “scheletri nell’armadio” diventa tangibile e nella porta dimensionale nella quale passa Daigo per entrare nel mondo di fiaba si nasconde una mansarda ricca di sorprese. Pur con uno spunto interessante, i discorsi fatti a suo tempo per l’altro film rimangono sostanzialmente invariati: veri spaventi non ce ne sono, l’angoscia serpeggia a tratti ma non è mai davvero efficace e anche i non pochi colpi di scena che ribaltano drasticamente le prospettive perdono forza di fronte ad una certa ripetitività delle situazioni.
Sicuramente Shimizu è un regista in grado di gestire la tensione e qui azzecca la trovata, neppur così originale a dire il vero, del tenero coniglio di peluche che diventa fonte primaria della paura. Nonostante questo non sembra più riuscire ad appassionare davvero con le sue storie e la sensazione di riciclo con la precedente pellicola è forte. I due film possono essere quasi considerati come un dittico e almeno il gioco metacinematografico è piacevole. Nella scena migliore del film infatti i due protagonisti vanno al cinema a vedere proprio The Shock Labyrinth costruendo praticamente una scena in “6D” (Daigo interagirà lui stesso con il film che sta vedendo); una trovata originale e divertente, meta-cinema intelligente e non pretestuoso. Se c’è una cosa che non si può contestare a Shimizu è infatti una insaziabile volontà di sperimentare e cercare di capire il nuovo mezzo; in questo si può dire che il regista può essere annoverato tra una delle maggiori avanguardie del mondo. Purtroppo il solo aspetto tecnico non può salvare un film che per il resto è davvero poco interessante e coinvolgente e che risulta incapace di offrire spunti nuovi, non solo al genere, ma anche rispetto alla sua pellicola precedente.
EDA
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