Anno: 2012
Distribuzione: 01
Durata: 112′
Genere: Drammatico/Sperimentale
Nazionalità: USA
Regia: Terrence Malick
Non si affronta la visione di questa nuova opera di Terrence Malick senza conoscere l’esperienza di The tree of life. Prima di tutto perché To the Wonder è il naturale proseguimento linguistico di una evoluzione (o per alcuni, involuzione) narrativa che è in corso nella poetica del regista; e in secondo luogo, perché l’anticamera del precedente film preparerebbe ad affrontare una visione senza ombra di dubbio difficoltosa.
Tuttavia, non mancano degli spunti interessanti che hanno giustamente diviso la platea in amanti e detrattori, applausi e fischi.
Dopo aver esplorato l’amore generazionale, Malick si rivolge al rapporto di coppia in una riflessione sul sentimento che è portata quasi all’assoluto: i protagonisti (Ben Affleck e Olga Kurylenko) vivono delle intense storie d’amore che, tuttavia, sfumano troppo rapidamente per essere credute. Parallelamente, si assiste alla crisi esistenziale di un prete, interpretato da un Javier Bardem in principio poco credibile, che ricerca attorno a sé la traccia della fede e di quel Dio che rappresenta il suo compagno di vita. Il risultato è una considerazione sull’amore come qualcosa di esterno, che i protagonisti non vivono quindi come una emanazione interiore ed umorale, ma quasi come un abito in affitto che stanca al troppo indossarlo. La traduzione metaforica preferita del regista è quella della corsa nei campi, continua, ridondante, che alterna punti di vista oggettivi a quelli soggettivi, dove a volte qualcuno rincorre per essere rincorso immediatamente dopo.
A questo si associa un tentativo di plot civilmente impegnato, dove Ben Affleck raccoglie campioni di terra e schifezze in giro per le fabbriche che avvelenano l’aria e la vita della città: una versione manierista maschile di Erin Brockovich.
Sebbene questa riflessione filosofica rappresenti il punto centrale e di forza del discorso introspettivo che Malick ha avviato con The Tree of Life (che stia nascendo una trilogia dell’assoluto? Dopo la vita e l’amore cosa ci aspetta?), il film è davvero un’avventura: la struttura criptica, basata più su ellissi videoartistiche che su tre atti e funzioni di Propp, non consente un facile avvicinamento. Bisogna preparare la testa ad una narrazione non lineare, a volte surreale, e seguire i passi del regista per ben due ore; la scarsità di dialoghi, che è un bene per l’interpretazione di Affleck, e la musica prevaricante rendono questo prodotto di fiction una cosa altra rispetto al cinema multisala per il quale il pubblico, temo, non sia né pronto né disponibile.
Tuttavia, apprezziamo quell’amore smisurato per la perfezione pittorica dei quadri, dei panorami, delle architetture, dei corpi delicati e perfetti. Non capiremo nulla delle storie dei due protagonisti: resteranno due sconosciuti qualunque incontrati nel mezzo del cammino della loro vita; ma lasciamoci cullare dalle immagini e dalla musica, gustandoci le danze rituali e spensierate dei giovani innamorati.
Rita Andreetti