Il Giovane Favoloso
Era un film scommessa già sulla carta, quello di Mario Martone: portare su schermo la tormentata vita di Giacomo Leopardi, le sue poesie, le sue vicissitudini interiori e esteriori.
Il rischio di farne un prodotto da fiction c'era, ovviamente, ma il regista ha adottato semplici modi per raggiralo: affidare la parte del protagonista a un Attore con A maiuscola come Elio Germano, e non sminuire la parte tecnica al servizio dell'interpretazione, ma aiutarla e renderla ancora più fisica e di spessore.
La missione, almeno sotto questo punto di vista, è riuscita.
Il Leopardi che conosciamo è quello giovane dedito e costretto allo studio matto e disperatissimo, richiuso nell'odiata Recanati che trova le prime soddisfazioni con il carteggio con Pietro Giordani. Iniziano così i primi tormenti, i primi tentativi di evasione per arrivare in luoghi e città dove la vita e la letteratura è più viva, ma anche i tormenti fisici si fanno sentire, con le ossa che lentamente si consumano, i nervi che addolorano e la debolezza sempre allarmante.
Sotto l'ala protettiva dell'amico Antonio Ranieri, Giacomo trova però nuovo slancio, buttandosi in salotti e serate mondane che non fanno però che aumentare la sua malinconia, con le donne amate che non lo desiderano, e la prestanza dell'amico come inevitabile confronto.
Il film prosegue seguendo i suoi numerosi traslochi (da Firenze a Napoli a Torre Greco), mostrando un poeta sempre più consapevole della sua condizione e del suo io interiore, che non nasconde la sua tristezza o il suo pessimismo, ma che nelle poesie riversa tutto se stesso. Così anche queste si susseogono sullo schermo, decantate nei luoghi e nei momenti della loro composizione e esaltate dalle scene.
La regia si fa sicura, si fa poetica essa stessa, incorniciando una vita in finestre, porte e quadri in cui Leopardi passa e osserva, esaltando una fotografia luminosa e sognante.
Tutto bene, quindi, tutto perfetto, fin troppo, però.
Perchè se l'interpretazione di Germano (prima di tutto fisica, che mentale) e anche di Riondino non si discutono, e se anche la regia non è certo arraffazzonata a fare il più classico dei biopic, ci si aspettava qualcosa di più, qualcosa di meno classico forse.
Ad aiutare in questo verso, è la colonna sonora che oltre a pezzi d'opera naturalmente inseriti, lascia ampio spazio alle composizioni del dj tedesco Sasha Ring, che donano un nuovo sguardo e una nuova atmosfera alla visione, che se avesse seguito questa rotta, avrebbe entusiasmato maggiormente, almeno la sottoscritta.
Loin des Hommes
Ancora deserto, ancora un uomo che lo deve attraversare, ancora la I Guerra Mondiale che infervora.
Siamo però ad Algeri, dove un maestro francese, nato e cresciuto però nella colonia, si trova suo malgrado costretto ad accompagnare ad un processo in cui verrà sicuramente condannato a morte un giovane assassino. La sua colpa: quella di aver ucciso il cugino che rubava il grano dalla sua terra.
L'onestà dell'uomo non vuole però essere immischiata, e quando anche solo per proteggerlo inizia il lungo cammino alla volta della città vicina, cercherà in tutti i modi di far scappare il ragazzo che a poco a poco inizia a conoscere, capendo anche le sue, di ragioni.
Si scontrano così due culture diverse, quella europea e quella araba, si scontrano due uomini ugualmente soli, che finiscono in fatti più grandi di loro con i ribelli e i soldati che si uccidono a vicenda in un deserto tanto grande quanto vasto.
La storia si segue tranquillamente, con i paesaggi suggestivi che inancantano gli occhi assieme alle musiche, composte da Nick Cave e da Warren Ellis, e con l'interpretazione sentita di Viggo Mortensen (il cui francese è invidiabile) a reggere il tutto.
Il finale, in cui ormai i due uomini sono diventati amici e intimi, è la scossa necessaria a far uscire dalla sala soddisfatti, per un film onesto e solido.
La Zuppa del Demonio
Com'era l'Italia 50 anni fa? Cos'è successo in quel boom economico di cui tanto abbiamo sentito parlare nei libri di scuola?
La corsa al consumismo, la felicità collettiva, gli uomini e le donne che passavano dall'essere agricoltori, pescatori, barbieri, ad essere operai in catene di montaggio, tecnici e costruttori?
Come è avvenuto questo passaggio, questa trasformazione che ha toccato le città stesse in cui i poli industriali nascevano e fiorivano?
Attraverso immagini d'archivio, attraverso soprattutto parole di letterati importanti, l'Italia che cambia ci viene mostrata in tutti i suoi pregi e i suoi difetti, in tutte le sue contraddizioni che vanno dai danni ambientali e umani, alla vita di per sé.
L'excursus tocca così le industrie più importanti, comprese la Fiat, l'Olivetti, la centrale nucleare di Latina, passando di anno in anno per far capire, a chi non poteva esserci, cosa quegli anni sono stati, cosa simboleggiavano e cosa costituiscono come basi per l'oggi.
Un lavoro che tocca le corde giuste, e ben costruito, anche a livello musicale.
+ O Velho do ResteloPrima del documentario di Ferrario, è stato presentato anche il cortometraggio dell'ultracentenario Manoel de Oliveira.
Visto il tema trattato (il Don Chisciotte comparato ad altre letture portoghesi) e la realizzazione (francamente approssimativa), meglio tacere ogni altro commento.