Tsili
La Guerra è decisamente uno dei temi portanti di questa edizione, e torna anche nel film di Amos Gitai.
Il regista però non ce la mostra, non la fa entrare in scena, ma la lascia in sottofondo, con esplosioni di bombe e proiettili che scuotono in continuazione la pace bucolica della foresta in cui Tsili, giovane ebrea, si è rifugiata, costruendosi un vero e proprio nido di riparo. I suoi giorni di solitudine vengono però interrotti bruscamente dall'arrivo del disturbante Marek, che si installa senza troppi complimenti assieme a lei, iniziando una condivisione e un convivenza in un modo così particolare che anche allo stupro può seguire l'amore.
La prima parte del film prosegue quindi con lentezza, prendendo i ritmi della natura e con piani sequenza a macchina ferma che incorniciano di volta in volta la bellezza circostante, della protagonista e il suo ammaliante nido.
Nella seconda parte, però, tutto cambia, tutto ci viene anche spiegato (o almeno parzialmente) con un altro lungo piano sequenza, durante il quale una voice over narra la storia di Tsili, e ce la mostra in quelle che potrebbero essere le sue incarnazioni.
E infine, tutto scema ulteriormente con documenti di repertorio nel quale si muovono bambini ebrei scampati, o ancora ignari, della guerra.
Peccato, quindi, perchè l'estetica del film era particolarmente forte, a partire dai bellissimi titoli di testa danzanti e continuando con le musiche di violino.
Sivas
Un piccolo racconto, una piccola storia, che per quanto conquisti da un lato, lascia con un po' di amaro in bocca dall'altro.
Il protagonista di questa storia è Aslan, ragazzino particolarmente bellicoso e arrabbiato, che se la prendere vuoi con il maestro, vuoi con il suo compagno che piace alla ragazzina che piace a lui, vuoi con il fratello. Le sue giornate sono così segnate dagli sfoghi che di volta in volta si concede, e dalle delusioni nel non vedere il suo amore corrisposto.
Tutto prende un'altra piega quando Sivas, razza kalgan, perde un incontro di combattimento tra cani e creduto morto dai suoi padroni viene lasciato sul campo. Aslan deciderà di prendersene cura, e di portarlo a casa, affezionandosi e usandolo come oggetto prezioso con cui conquistare amicizie e magari anche la sua donna.
Kaan Müjdeci non edulcora certo questa fiaba, non mettendoci redenzione, non risparmiando scene di lotta sanguigna e soprattutto un linguaggio particolarmente scurrile vista l'età del protagonista. Ma queste sono anche le forze del film, che scorre via piacevolmente, mostrandoci e soffermandosi su un paesaggio turco brullo e scarno, privilegiando piani stretti e intensi sui protagonisti.
Il finale, però, lascia perplessi, lasciando prima di tutto mozzata la storia, con una decisione che dovrebbe sembrare definitiva e rincuorante.
La sensazione è invece quella di aver assistito a una piccola per quanto intensa storia, ma nulla di più.