Venezia è un’anima fragile, una donna bella fin dal risveglio, una nonna che racconta un milione di storie nel suo silenzio, che ricorda la sua ricca e lussuriosa giovinezza, mentre si guarda allo specchio e vede un volto rovinato dai segni del tempo, calpestato dall’ignoranza e ormai sbiadito dai flash di milioni di macchine fotografiche.
Sì, è vero, Venezia la ritroviamo sotto forma di donna alla Basilica di Santa Maria della Salute, mentre prega la Madonna di scacciare la peste, la vediamo promessa in sposa al mare ogni anno, la riconosciamo in quel meraviglioso leone alato che appare in ogni sua ex colonia, ma ciò non toglie che Venezia è di chi la sa guardare e non di chi rimane in superficie.
Non c’è angolo di Venezia che non riesca a stupirmi dopo tutti questi anni, il segreto per riuscire ad apprezzarla è il sapersi e il lasciarsi sorprendere dai suoi particolari, che possono essere uno stemma sopra una porta, un simbolo su una colonna, una storia legata ad un palazzo o ad un personaggi come Casanova.
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Venezia è di chi la sa guardare e un po’, magari arrogantemente, io la sento un po’ mia.
Ogni mattone ne ha viste tante, ogni trifora è probabilmente stata il conforto di anime di donne in preda ai tormenti d’amore più spietati, come quelli di Giustiniana Wynne per il suo Andrea. I muri delle case sono stati testimoni delle più estreme lussurie, d’altronde, Venezia era la città del libertinaggio per eccellenza, ma anche di congiure, di accordi politici e commerciali e di omicidi.
Venezia è un labirinto di avvenimenti, oltre che un groviglio di calli e fondamente, di ponti e sottoportici che rivelano corti nascoste e giardini meravigliosi.
Venezia è un’amante silenziosa che, di soppiatto, vi entra nel letto, vi fa sognare e poi se ne va, senza dire una parola e in punta di piedi, ma se la saprete guardare, vi lascerà dentro qualcosa che nessun’altra città può: la libertà.
Venezia, la figlia primogenita della libertà. William Wordsworth
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