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VeneziaFestival2014: i 5 film che ho visto oggi, mercoledì 27 agosto (con voti)

Creato il 28 agosto 2014 da Luigilocatelli
The President

The President

ore 9,00: Birdman or (the unexpected virtue of ignorance) di Alejandro Gonzalez Iñarritu. Stati Uniti. Venezia 71-Concorso. Voto tra il 7 e l’8
Era molto atteso, e non ha per niente deluso,questo film di Iñarritu, il secondo suo senza Guillermo Arriaga sceneggiatore. Diventato famoso decenni fa interpretando il supereroe Birdman, e poi dimenticato, Riggan Thomson cerca adesso di rilanciarsi a Broadway con un play tratto da Carver. Prima della sera della prima però son dubbi, paure, paranoie. Gli altri attori fan le bizze, la figlia ex tossica continua a rinfacciargli di non essere stato un buon padre ecc. ecc. Tutto come in tanti altri film di backstage teatrale, da Eva contro Eva a La sera della prima di Cassavetes (cui Iñarritu guarda molto). Ma la differenza la fa la schizofrenia del protagonista, che non ce la fa, non ce l’ha mai fatta a liberarsi del tutto dal personaggio che l’ha trasformato in un’icona pop. Tenete conto che a interpretarlo Iñarritu ha chiamato l’ex Batman timburtoniano Michael Keaton, e capirete che il cortocircuito tra vita e rappresentazione in questo film ha il suo bel peso. Con una parte finale che lo apparenta al bellissimo Bird People di Pascale Ferran visto a Cannes quest’anno a Un certain regard, e perfino a Metamorfosi di Christophe Honoré visto ieri sera. Un festival mutante e metamorfico, almeno finora.
ore 11,30: Messi di Alex De La Iglesia. Documentario. Spagna. Giornate degli autori. Voto 4 e mezzo
Docu su vita e opere sul campo del supercampione della palla Lionel Messi, anzi, un monumento in vita, un’agiografia da santo-eroe laico. Confidavo nella regia di Alex De La Iglesia, uno che può anche non piacere (e a me gran parte dei suoi film non garbano affatto), ma che di sicuro non è uso a un cinema tradizionale e reverente, anzi più tendente all’anrchico-sulfureo. Mi rendo conto della difficoltà dell’impresa, però in questo film non si fa altro che tessere le lodi e far l’elogio del Grandissimo, Magnificissimo Lionel Messi. Tutto svolto in chiave di narrazione orale, chiamando a raccontare la storia del campione i suoi amici d’infanzia, il suo primo e unico amore, un po’ di colleghi del Barça, un pugno di giornalisti ed esperti vari (tra cui Crujiff). Quando il materiale di repertorio – che pure abbonda – non basta, De La Iglesia ricostruisce con attori pezzi di vita dell’eroe (soprattuto la parte di Lionel pargolo con la nonna appassionata di calcio). Tanto, si sa, che un po’ di fiction nel documentario ormai ce la metton tutti, inutile fare i puristi scandalizzati. Iffanzia e adolescenza del campione, con il ben noto problema che il bambino, dotatissimo in dribbling, serpentine e quant’altro, però non cresceva in altezza, e dunque via con la somministrazione per anni e anni dell’ormone della crescita. Terapia così costosa che a un certo punto la famiglia non ce la farà più a sostenerla. Sarà allora il Barcellona a farsene carico mettendo sotto precoce contratto il ragazzino, e vedendoci giusto, vedendo lontano. Interviste a Messi non ce ne sono, se non spezzoni tratti dagli archivi. Le cose in my opinion più interessanti sono le considerazioni tecniche. Quali allenatori hanno davvero valorizzato Messi? Perché campioni come Ronaldinho, Eto’o e Ibrahimovic non son riusciti a coabitare con lui e se ne sono dovuti andare? Come mai non ha mai fatti vincere, a differenza di Maradona, un mondiale all’Argentina? Annotazione: vedendo questo film me n’è venuto in mente un altro, proprio argentino, Wakolda – Il dottore tedesco, in cui la regista Lucia Puenzo immagina uno Josef Mengele scappato in Argentina che riprende i suoi sciagurati esperimenti su umani condotti ad Auschwitz e somministra a una bambina l’ormone della crescita.
ore 16,00: The President di Moshen Makhmalbaf. Orizzonti, film di apertura. Voto 5
Come il connazionale Abbas Kiarostami, ormai anche Makhmalbaf, l’autore di Viaggio a Kandahar, lavora lontano dal suo Iran. Un altro regista della diaspora. Stavolta è andato in Georgia per realizzare questo The President, ambientato in una immaginaria repubblica-autocrazia un po’ caucasica e un po’ centroasiatica, una tipica demokratura post-sovietica, dove il dittatore di turno viene spazzato via da una rivolta popolare. E lui, il presidente, anzi Sua Altezza, se ne deve scappare via travestito da povero insieme al nipotino. Idea ottima, che intercetta l’air du temps e si ispira ai vari regimi morti o morenti degli ultimi anni, con un presidente in fuga simile a un barbone tra Saddam e Gheddafi. Sarebbe potuto diventare in altre mani una specie di Tutti a casa adeguato a questi tempi, il ritratto di un paese in disfacimento, allo sbando, sospeso tra vecchio potere e un altro che arriverà. Invece Makhmalbaf la butta sul bozzetto, e molto sul patetico, privilegiando nel character protagonista più che il presidente il nonno, assai protettivo verso il nipote (peraltro un po’ troppo de’ coccio, che non capisce in che situazione son precipitati). Però al pubblico il film è piaciuto immensamente e The President potrbbe diventare un ottimo successo, sempre che trovi un’adeguata distribuzione.
ore 19,14: The Look of Silence di Joshua Oppenheimer. Documentario. Venezia 71-Concorso. Voto 7+
Lo Joshua Oppenheimer di The Act of Killing, uno dei film più importanti della decade, torna in Indonesia, e torna a indagare attraverso testimonianze il massacro dei comunisti o presunti tali da parte del regime di Suharto nel 1965. Anzi, per mano di squadracce pilotate dai militari al potere. Già, ma cosa mai può dirci di più di quanto non ci abbia già detto nel suo film precedente? Difatti, The Look of Silence sembra in certi momenti una specie di bigino, di digest di The Act of Killing, ad uso di chi non l’avesse visto e poco sa di quegli avvenimenti. Ma, oltre alle testimonianze dei killer (che restano la parte più disturbante e sconvolgente), stavolta introduce la voce delle vittime. Quella del fratelo di un giovane uomo che fu orrendamente ucciso, e che ora vuole ricostruire i fatti, stanando coloro che lo torturarono e ammazzarono, incontrandoli, chiedendo spiegazioni. Se The Act of Killing era uno sterminato affresco, questo è un ritratto più circosritto, più raccolto, il ritratto di una famiglia offesa che, pur tra molti pericoli (al potere ci sono sempre quelli che un tempo uccisero), vuole tenere viva la memoria e cercare verità e giustizia. Non è The Act, ma resta un film importante, necessario. Io un premio glielo darei.
ore 22,00: Reality di Quentin Dupieux. Orizzonti. Voto 8
Ne son rimasto fologorato. Del francese Dupieux – musicista, fotografo, videomaker, regista e chissà cosa’altro ancora – avevo visto due anni fa Wrong Cops a Locarno, un poliziesco fuorissimo di testa, per niente canonico. Ma stavolta mi ha incantato, ecco, anche se la parola con un mattocco come lui può sembrare fuori posto. È che, rispolverando il caro vecchio surealismo e altre avanguardie storiche (come già Carax in Holy Motors), ci squaderna un film felicemente incomprensibile, dove le storie si snodano prima a canocchiale, con una storia che ne contiene un’altra che ne contiene un’altra ancora, e poi a incastro, mescolando realtà e sua simulazione, realtà e sogno. Chiedendosi: ma signora mia cos’è mai la realtà? Vediamo matti e pervertiti sflarci davanti, come in un Todd Solondz, però un filo meno cupo anche se altrettanto devastato. Una bambina sicura che tra le viscere di un cinghiale ci fosse un Vhs. Un produttore che obbliga un aspirante cineasta a rirprodure il miglior gemito possibile, un gemito da oscar. Un preside che di nascosto si veste da donna sulla sua jeep. Un presentatore tv che si gratta davanti alle telecamere convinto di avere un eczema (che non c’è). Una ballata di svaporati e svalvolati che però si snoda fluida come un sogno. Com molti echi del Manoscritto trovato a Saragozza di Potocki, mica per niente libro di culto dei surrealisti. Per me, una scoperta di questo festival. Un piccolo capolavoro. Compare in un cameo non creditato (consegna una specie di Oscar) MIcghel Hazanavicius.


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