Anche il governo venezuelano si è rivolto all’Onu per denunciare le violenze post-elettorali seguite alle dichiarazioni infuocate del leader della Mud. Una decina di militanti chavisti erano rimasti uccisi, 25 dispensari popolari erano stati dati alle fiamme, assaltate le radio comunitarie e le sedi del Partito socialista unito del Venezuela (Psuv). Un piano preordinato, avevano sostenuto tre membri di opposizione poco prima delle elezioni, ritirando il loro appoggio a Capriles. Un piano basato sulla «guerra economica» all’interno e sulla delegittimazione internazionale. Per questo Capriles – che governa il ricco stato di Miranda, vinto per un soffio il 16 dicembre contro l’attuale ministro degli Esteri Elias Jaua – ha effettuato a più riprese visite all’estero e intende continuare: per consolidare l’asse di destra dagli Stati uniti alla Colombia, dal Cile al Perù. Le destre hanno provato a riprendersi un paese sotto shock per la morte del presidente Hugo Chávez, che aveva governato per 14 anni e che è scomparso il 5 marzo. Con tutti i mezzi: anche a costo di presentare il loro piano di governo, basato sulla privatizzazione di beni e servizi, come un progetto progressista.
L’opzione golpista – di cui Capriles è stato parte attiva nel colpo di stato contro Chávez, nel 2002 – resta però in cantiere. Una recente inchiesta della magistratura ha rivelato l’esistenza di un piano, sventato, per destabilizzare il paese con l’infiltrazione di 400 paramilitari. Un’operazione finanziata dagli eterni complottisti di Miami (F4, Coru, Omega 7 e consimili), tristemente noti per le innumerevoli aggressioni a Cuba. Per questo tentativo, la rete che fa capo all’imprenditore cubano-venezuelano Eduardo Alvarez Macaya avrebbe speso circa 2,5 milioni di dollari. L’operazione prevedeva azioni simultanee destabilizzanti che sarebbero culminate nell’omicidio di Maduro durante le celebrazioni per la nascita di Simon Bolivar, il 24 luglio.
Il paese però ha dimostrato la sua buona tenuta democratica, forgiata in 14 anni di tornate elettorali e di crescita del «poder popular». Chavismo e opposizione in questi giorni stanno ultimando la presentazione dei candidati per le prossime elezioni comunali, previste per l’8 dicembre. La Mud sta riscoprendo la propria vocazione alla rissa, attraversata da defezioni e corruzioni, ma promette una campagna di piazza e di proposta. L’ex autista del metro Nicolas Maduro scommette sul suo «governo di strada», che sta dando buoni risultati nei sondaggi. Un progetto di paese che, dopo aver risolto le urgenze come la fame e l’analfabetismo (premiato di recente dalla Fao) ha preso di petto altri problemi drammatici come l’insicurezza e la corruzione. Anche all’interno del chavismo vi sono stati arresti eccellenti, mentre un grosso caso che coinvolge un deputato di opposizione, Richard Mardo, a cui è stata tolta l’immunità parlamentare, sta portando in luce altre magagne della Mud.
Il Movimento per la pace e la vita, volto a combattere la criminalità risolvendo le cause che la producono, coinvolge istituzioni e reti sociali. Molte organizzazioni di malandros (di malavitosi) hanno accettato di consegnare pubblicamente le armi e di aderire ai progetti sociali. Ieri Maduro ha incontrato i vescovi, per coinvolgere la chiesa in questo lavoro e ribadire quanto proposto al papa Bergoglio: la collaborazione della chiesa nelle Misiones, basate sull’autopromozione sociale e politica dei settori popolari. Progetti che, vista la buona riuscita, potrebbero essere estesi anche ad altri continenti abbandonati come l’Africa, ha detto il presidente socialista a Bregoglio.
In un po’ più di 100 giorni di vita, il governo Maduro ha puntato sui giovani e sulle donne, continuando un indirizzo contenuto nella costituzione bolivariana e fortemente voluto dal suo predecessore. I fondi destinati alla cultura, allo sport e alle attività giovanili dalle nostre parti sembrano cifre da fantascienza. E giovani donne competenti sono diventate ministre. Come la sciabolatrice Alejandra Benitez, 33 anni, che oggi affronta a Budapest l’azzurra Livia Stagni. [1] Il link non fa parte dell’articolo originale