Vengeance Is Mine (aka: Sunday in the country)- La Giustizia privata di un cittadino onesto

Creato il 27 febbraio 2012 da Robydick
1974, John Trent.
Vengeance Is Mine” (conosciuto anche con il titolo canadese, “Sunday in the country”) proviene da una filiera di titoli di film della cosìddetta Canuexploitation realizzati in Canada grazie ad un regime di detassazione fiscale sulla produzione dei nuovi film, nata nei primi anni '70. Questo “La Giustizia privata di un cittadino onesto”, secondo il titolo dell'uscita cinematografica italiana nel 1974, diretto da John Trent, è a rivederlo tutt'ora, forse uno dei migliori e più riusciti esempi di film sull'abusato e ricchissimo tema del “vigilantismo”, mai realizzati. Un film intelligente sociologicamente e profondamente drammatico, che pone molte problematiche, quasi niente a che spartire con il filone del vigilantismo ultra-violento che aveva inondato gli schermi cinematografici appunto negli anni '70. Il film ci presenta Ernest Borgnine, eccezionalmente bravo, come un pio contadino il quale fortuitamente cattura per poi torturarli, tre rapinatori di banca che durante la fuga capitano casualmente nella sua fattoria, e i quali inizialmente prendono in ostaggio la sua famiglia. Come nei simili exploitation canadesi di quel periodo dai titoli famosi tipo“Death weekend”(Un lungo week-end di terrore) ('76) di William Fruet, (per non parlare di “Rituals-Il Trekking della morte” ['77] di Peter Carter, “Shoot- Voglia di uccidere” ['76] di Harvey Hart,e “Deadly Harvest” ['77]), “Vengeance Is Mine” vanta tutti gli ingredienti tipici di un thriller rurale canadese: un solitario, la violenza all'aperto senza compromessi la quale provoca una risposta dura e cruda, la sopravvivenza, oltre ad una certa dose di esistenzialismo e una parte finale raccapricciante,che lascia tutti i personaggi principali o morti, o sopravvissuti a malapena.
Accanto ad altri film realizzati dai “cugini” americani, Vengeance Is Mine” venne all'epoca abbastanza biasimato e bistrattato dai critici canadesi per tre motivi: per aver assecondato i gusti del mercato americano incassando sui gusti di base del pubblico dei drive-in, restituendo in questo modo molti dollari delle tassazioni sul cinema tramite la CFDC. Particolarmente critica è stata la recensione schiacciante di uno dei più celebri recensori cazzoni canadesi, Martin Knelman, nel suo libro “Adverts Where We Came In”, nel quale si è scagliato contro il film (a fianco de “Il Demone sotto la pelle” ['76] [Shivers]di David Cronenberg e “Black Christmas-Un Natale rosso sangue” ['76]di Bob Clark, che tra l'altro sono eccezionali), per i soliti eccessi. "Si esce calcolando quanti siano stati i più bassi impulsi del pubblico che siano stati sfruttati” egli scrive, sostenendo che Straw Dogs”(Cane di paglia) ('71)di Sam Peckinpah, rechi al suo confronto una certa sottigliezza di sguardo."Il film di Peckinpah, il quale è tuttavia ripugnante (!), ha avuto dietro di esso l'abilità e il talento, per cui tutto ciò che succede sullo schermo è provenuto e ben padroneggiato dalla visione del regista, e non per assecondare il gusto di un certo pubblico." Non è così con questo film”, che Knelman sente come "non solo odioso, ma falso." Un altro critico fellone Gerald Pratley lo deride come un "melodramma sanguinoso e artificioso", marcando il film come l'inizio di un "periodo pseudo-americano (cioè statunitense)” per il cinema di genere canadese, nel momento in cui i talenti di casa (principalmente provenienti da Toronto) si sarebbero accodati agli attori e alle impostazioni stilistiche a sud del 49 ° parallelo, il confine con gli Stati uniti. Mark Miller, scrivendo in Canada Cinema, ha espresso un'opinione simile, sostenendo che "Se la violenza genera violenza, come (John) Trent si sforzi tanto e tanto si entusiasmi per le suggestioni di questo film è, in un certo senso, una parte dello stesso processo."
Ulteriori aggravanti secondo i critici, i produttori vollero apparente sfruttare una connessione con il film di Bloody Sam, “Straw Dogs”, nella sua campagna pubblicitaria (”Dopo “Cane di paglia”, lo schermo esplode di un'altra giusta vendetta!” ). Questo ha soltanto contribuito a far percepire e sigillare il film marchiandolo come apparentemente solo un altro derivato Canuck con manie di grandezza, un rip-off buono solo per le sue velleità al box-office, da vendere subito dopo alle TV via cavo di tarda notte e al noleggio delle videocassette. Che è un peccato, perché proprio per tutto il film, “Vengeance is Mine” rimane invece un avvincente e ben fatto racconto di suspence degno di rivalutazione. Sottile non è, ma è anche un film che possiede egregiamente una sua vera e propria convinzione, nell'atto d'accusa che lancia a quelli che ci si aspetterebbe essere i presupposti di questo filone popolare, e comunemente associati all'etica dell'occhio per occhio, quando invece la pellicola rivela una vera e propria sfida al machismo imperante nei film americani del genere, applicandovi intelligentemente una netta distinzione tipicamente canadese, e anche se in un film che si poteva pensare come destinato quasi esclusivamente ai drive-in, ma senza alcunchè dell'etichetta abusata di questo tipo di pellicole, ed anzi con una dignità tale, che non vi si può non parteggiarvi.
La nostra storia inizia in una cittadina americana rurale abbastanza anonima dal nome di Locust Hill. Siamo introdotti alla figura di Adam Smith (Ernest Borgnine), un virtuoso contadino dedito al suo raccolto, che vive quasi da solo nella sua casa colonica, con a fianco soltanto la nipote Lucy fanciulla in fiore, (Hollis McLaren) e il bracciante Luke (Vladimir Valenta). Interpretato con un gusto appropriato da Borgnine, Adam cammina in una linea sottile tra il devoto, gran lavoratore e patriarcale, fanatico religioso sempre in conflitto con la “crusca del diavolo”, che egli vede ovunque, ma anche con più di un'eccesso dovuto all'ira, nel suo armadio personale. Due aspetti di Adam sono presto rivelati. In primo luogo, oltre ad essere un vedovo, è anche ossessionato dall'ombra di sua figlia (e defunta madre di Lucy), che ha lasciato la casa per morire in giovane età. "Forse la sua morte era la cosa migliore che poteva capitarli ", addirittura pensa, sospirando. "Morire è un bene per alcune persone se per loro la vita non vale la pena di essere vissuta'". In secondo luogo, sta diventando sempre più agitato circa lo stato della sua nazione. Dopo essere sceso a partecipare a una locale riunione di agricoli, ha amaramente lamentato con sua nipote, che con la terra che non basta più per pagare sé stessa e i politici locali che non vogliono dare una mano, il mondo sta diventando troppo brutto per essere un luogo sopportabile. "Io vi dico," ringhia, " Che questo paese sta andando diritto alla dannazione, nient'altro più." Lucy fa del suo meglio per tollerare l' amarezza di fondo del nonno e il conservatorismo folkloristico che gli dardeggia come un grano di sale nel cervello. Ma ahilei, anch'essa sarà impreparata per le ire che presto scateneranno in Adam una rabbia di Dio.
Il catalizzatore della rabbia più profonda di Adam si presenta sotto forma di tre viscidi criminali-rapinatori provenienti dalla città. Dinelli (Louis Zorich), Ackerman (Cec Linder) e lo psicotico, ma anche abbastanza idiota Leroy (Michael J. Pollard, come al solito semplicemente portentoso), tutti e tre grandi facce e caratteristi del cinema americano anni '70. In fuga dopo una rapina in banca, e un omicidio, i fuggitivi si ritrovano per sfuggire alle autorità, a piedi nel cortile di Adam . Ma Adam, dopo essere stato precedentemente informato dallo sceriffo (Al Waxman) e seguendo i suoi istinti, ha preparato e impiantato una trappola per il trio, se mai passerà dalla sua fattoria. E così è. Prima spara al capo dei tre Dinelli, e prende Leroy e Ackerman prigionieri. Per il disgusto di Lucy, Adam non li consegna immediatamente alla polizia, decidendo di infliggere ai suoi ospiti un po' della propria “giustizia fatta in casa”. "Ho sempre protetto la mia famiglia e la mia proprietà." dichiara, e "Non ho intenzione di fermarmi ora."
Dopo aver sadicamente umiliato i due criminali sopravvissuti con le loro proprie armi da fuoco su un mucchio di letame, Adam li appende entrambi in cantina, appesi per il collo. Infuriata, Lucy cerca di scappare e informare le autorità, solo per essere fermata da Luke. Impossibilitato a giustificare ai suoi parenti la presunta saggezza delle sue azioni, Adam non capisce neppure che la sua “piccola lezione” debba a questo punto terminare. Quando, per umanità, Lucy cerca di offrire un bicchiere d'acqua fredda per i prigionieri quasi disidratati, Leroy sfugge per un attimo e cerca di violentare la povera ragazza. Adam, invece, si prende del tempo prima di intervenire, pensando così di dimostrare alla sua nipotina quanto questi banditi si meritino ciò che egli sta facendo passare loro. Ma la lezione si ritorce contro Adam, il quale ne viene fuori come un grande manipolatore, rivelando veramente a Lucy perché sua madre se ne sia presto andata via di casa . Questa svolta nella sua nipote alla fine lo costringe a compiere una decisione che sarà una fuga in avanti sventurata, la seconda e ultima.
Ora, Adam decide che si può anche fare un altro piccolo gioco. Egli libera i due fuggitivi, lancia una moneta, e gli concede di correre verso il camion della fattoria e fuggire, uno solo dei due potrà però farcela, in quanto avranno scatenati ad inseguirli dei cani feroci a guardia della proprietà. Nonostante ciò, Ackerman riesce ad arrivare oltre i cani da guardia del contadino. Nel climax sanguinario del film, il teppista è però poi lacerato a brandelli e sbranato nel suo tentativo di fuga, mentre la caduta di Adam dalla grazia di Lucy e Luke è completa: la polizia finalmente arriva a prendere in custodia l'istericamente ridacchiante Leroy, che adesso guarda Adam come se sarà infatti lui adesso, l'incriminato per un duplice omicidio, e Lucy e Luke, le uniche due persone a cui egli fosse veramente affezionato, se ne vanno dalla fattoria e lo abbandonano disgustati.
Ma ancora non è finita.
Vengeance is Mine” è un diamante grezzo, ma come in ogni pietra di merito, ci sono alcuni difetti veri e propri. Per esempio, i temi rurali, che Trent e i suoi co-sceneggiatori cercano di incapsulare sono troppo unidimensionali, tendenti a volte ad una semplicità un po' sguaiata. In questo non è molto aiutato, quando Borgnine pur nella sua eccellente interpretazione, calca occasionalmente il personaggio di Adam come uno zotico campagnolo che non ha mai lasciato il suo cortile, con la sua mentalità chiusa in un guscio ed i suoi aforismi sempre incentrati sul granoturco. Inoltre, il film manca di un come noi diremmo centrato “regionalismo”, il quale avrebbe potuto essere a sua volta imbevuto di un senso più genuino di tempo e luogo, accentuando così le tensioni sottostanti tra Adam e il mondo oltre la sua comunità agricola d'appartenenza, mondo che non dovrebbe avere una visione datagli un po' evidentemente da persone che provengono dal cuore di Hollywood. In aggiunta a questo è un po' fastidiosa la fredda musica delle canzoni campagnole e western di Paul Hoffert, guadagnandoci di più grazie alla sovraeccitata e tesa musica di William McCauley, che si gonfia però nei momenti più inopportuni. Durante l'incontro l'amore di Lucy con il fidanzato Eddie, la musica diventa più nauseante della carneficina del film.
Sebbene il dialogo dello script a volte vacilli, il film è aiutato dalle buone interpretazioni di un solido cast, e dalla fotografia illuminata dal sole di Marc Champion, con la quale viene contrapposta la quiete luminosa della campagna alla carneficina sullo schermo. A dispetto di tanto in tanto di un po' di “over-acting” nella parte di bifolco del paese, Borgnine è come detto meravigliosamente impegnato in uno dei suoi migliori ruoli post-”Marty”. La sua testa grande come una zucca, gli occhi piccoli e luccicanti, le gigantesche sopracciglia nere e il suo sorriso dai larghi e grossi dentoni, ne possono fare un uomo sia benevolo che malevolo. La sua presenza è completata da un grande Michael J. Pollard, il semi-ritardato Leroy, dalla risatina maniacale. Con i suoi capelli unti, il viso rincalcato, l'enorme naso da maiale, l'animalesco, selvaggio e trasandato Pollard è una gioia maligna dall'inizio alla fine, e le cui buffonate da eccitato pazzoide possono dar luogo ad ogni sorta di reazioni. Come la sua presenza di spontaneo depravato, diventa e molto, un distintivo stesso del film e grazie soprattutto al quale, almeno io, l'ho sempre avuto così ben impresso nella memoria, offrendo naturalmente il contraltare di Adam, e infondendo al loro confronto finale un tono quasi ''shakespeariano''.
Vengeance is Mine” colpisce anche per il suo passo, soprattutto quando si attacca alle nude ossa che sono la base stessa dell'exploitation.
Anche se la violenza, per tutto l'impatto che può raggiungere nel film, è mite rispetto a certi viscerali salassi contemporanei, il film merita e molto un'attenzione e una stima seria, ben lontana da certe “arlecchinate” di ritorno compiute con smodate e livellanti riscoperte. Questo è un film importante e purtroppo abbastanza misconosciuto se non ai veri cultori, ma interessante anche per ritornare agli atteggiamenti contrastanti verso gli uomini e la violenza portati sullo schermo negli anni '70. L'assalto del cinema ultraviolento dalla fine degli anni '60 alla metà degli anni '70 era in gran parte improntato a personaggi quasi esclusivamente maschili. Di solito l'eroe anti-eroe opponeva il caos come mezzo sia per opporsi al sistema che per far valere il peculiare trionfo della propria volontà, non più ostacolata dalla Hays o altri codici obsoleti di censura e d'onore. Billy Jack, il tenente Frank Bullitt, Jimmy “Popeye” Doyle, “Dirty” Harry Calla-g-han, lo sceriffo Buford Pusser, il detective John Shaft, Travis Bickle, Alex e i suoi Drughi, ecc.. erano adesso liberi di giurare fedeltà al distintivo, come anche di fornicare, di mutilare, e bastonare qualcuno. La corruzione delle forze di polizia, del governo civile, e della società in generale ha fatto sì che divenisse una necessità fare secchi da sé i bastardi, così come essa era divenuta una forma di liberazione maschile. I critici, come la famosa femminista Pauline Kael hanno deplorato questa posizione (più di una volta ci si riferiva ad essa come "fascista"), ma se anche l'atteggiamento fosse stato cinico, ha comunque aperto un enorme potenziale filmico catarticamente anti-establishment, il quale ha fatto sì che cineticamente si schizzasse molto sangue.
Ovviamente, il lavoro di Peckinpah era il sinonimo stesso di questo spirito secondo alcuni “machista”, e mentre la regia di John Trent certamente potrà mancare della forza estetica di Peckinpah, sa bene però come si distribuisce la violenza cinematografica, energicamente e rapidamente. Scene come quella dell'assalto a Lucy, o dei due passanti innocenti uccisi dai banditi hanno un tratto, una loro bruciante brutalità, simile a quella di un toro che carica in un negozio di porcellane. Esaminando i due film faccia a faccia , però,Vengeance” si pone come antitesi a tutto ciò che “Straw Dogs” e il “machismo cinematografico” degli anni '70, rappresentava.
Nella sua critica aVengeance is Mine”, Mark Miller in ultima analisi adduce erroneamente ai suoi creatori come im personaggio di Adam presenti un fianco scoperto, la sua scrittura e descrizione: "(Adam) non offre alcuna ammissione o rimorso. Né il film suggerisce che avrebbe dovuto: Sono chiaramente scritte a suo favore le sue razionalizzazioni. Le quali a loro volta, parlano per la morale semplicistica del film." In realtà, chiunque guardi il film sarebbe altrettanto incline a trarre la conclusione opposta. E 'abbastanza chiaro che Adam sta discendendo su un piano morale appena po' meglio di quello dei banditi che egli sta torturando. Eppure non si tratta solo del marchio di auto-amministrazione della giustizia da parte di Adam che lo spinge giù per un pendio così scivoloso. Come tanti anti-eroi, egli sta veramente utilizzando sia Leroy che Ackerman per sfogare la sua rabbia contro il mondo esterno, un mondo che ha rivendicato la sua unica figlia e che lo ha tradito ad ogni occasione. Ciò diventa più evidente nella sua condiscendenza verso Lucy, che si sviluppa inavvertitamente ma volutamente come vero e proprio ancoraggio morale del film. Restituita con accattivante sensibilità dalla McLaren (meglio conosciuta per la sua parte come Liza in “Outrageous!” ['77] di Richard Benner), Lucy funge inizialmente da intermediario tra Adam e la comunità circostante, quindi ancora una consenziente partecipante della società circostante che Adam tanto disdegna (lei è, dopo tutto, una studentessa di college). Con l'arrivo dei rapinatori, Lucy diventa non solo la voce della ragione che Adam non ascolta, ma purtroppo, la vittima involontaria della sua veemenza. Nessuna scena dimostra meglio questo, rispetto a quando Lucy infine fugge, con Eddie nel suo furgone, portando Adam a puntare addirittura momentaneamente la propria pistola contro di loro mentre stanno fuggendo. Povero Adam. Ancora una volta, ha perso i suoi unici parenti per il mondo che è la fuori, oltre alle recinzioni della sua fattoria.
In “Straw Dogs”, l'accademico e pacifico David (Dustin Hoffman, strabiliante) trascorre la maggior parte del confronto in atto nel film, evitando i locali teppisti di sesso maschile. Adam, invece, è fin da subito pronto per il confronto sapendo già da una posizione di destra, dove esso lo potrà condurre. David, verso la fine, prende la bellissima decisione definitiva di prendere finalmente una posizione, proteggendo lo scemo del villaggio locale, Niles (David Warner, a detta di molti da sempre il mio sosia, ben quattro film con Bloody Sam, grandissimo e qui in uno dei suoi tanti ruoli più famosi, e migliori) dalla folla di bulani all'esterno che vorrebbe linciarlo. La sua semplice logica del "Questa è casa mia" è la stessa visione alla quale aderisce anche Adam. Sia David che Adam sono dello stesso condiscendente parere verso l'unica donna in mezzo a loro, sia ammonendo il gentil sesso di andare al piano di sopra e di smettere di preoccuparsi, lasciando agli uomini di prendersi cura dell'”affare”. Ma qui è dove finiscono le somiglianze. “Straw Dogs” è chiaramente dalla parte di David, come lui stesso afferma,sua moglie è vile, oltre a essere una discreta zoccola, anche se più potenziale che altro (Susan George), quando ella cerca di acconsentire alla folla di bifolchi all''esterno di entrare in casa a prendersi Niles. Ma con”Vengeance”, come già notato e fatto notare, è Lucy che ha la moralità più alta, rifiutando di arrendersi al nonno, e fronteggiando sempre in un modo o nell'altro, la sua concezione e il suo stile di “giustizia”.
Infine, vi è la differenza di tono finale fissato dai finali dei due film. C'è sempre stato un certo dibattito sul fatto che in “Cane di paglia” David perda la sua bussola morale, dopo aver fatto della propria casa un macello degli stronzi del paese, ma è d'altronde il luogo nel quale è evidente che ha preso nuovamente piede la sua virilità. Non più rannicchiato di fronte al mondo, è lui ora in piedi e ben preminente in altezza rispetto a tutti gli altri che gli si credevano ben più forti. Questo non può certo essere trovato in “Vengeance is Mine”. Dopo essere stato preso in custodia, Leroy maniaco ma anche quasi demoniaco, riesce ad avere la meglio sugli agenti uccidendoli, blocca il veicolo della polizia incidentandolo, e tiratosi fuori barcollante, torna alla fattoria di Adam. Ancora ammanettato e ancora tenendo la pistola dello sceriffo, ritorna alla fattoria gridando ad Adam di uscire e affrontarlo. Scoraggiato, Adam sta accasciandosi nella più completa noncuranza prima che il suo ex ostaggio arrivi di ritorno dalla strada che porta al paese, allora egli esce fuori, il fucile tenuto mollemente al suo fianco, come se preparato a prendersi la sua giusta ricompensa. Quello che esattamente succeda dopo è un po' ambiguo, e proprio per questo splendido, e memorabile. La scena è incorniciata in modo che possiamo vedere solo Leroy che lo tiene a tiro, per poi subito dopo sentire cadere la sua arma, senza farci capire se sia la sua pistola che ha fallito o se Adam ha veramente sparato con il fucile. Ma uno splendido piano finale ravvicianto ci mostra Adam ancora sulle sue gambe, da solo, a contemplare con la faccia rassegnata ma anche molto amareggiata, i frutti delle sue azioni. Il punto è che gli uomini impersonati dai due personaggi, infatti, sono ovviamente entrambi specularmente psicotici: uno depravato, l'altro ipocrita. Entrambi sono stati trattati con la loro giusta ricompensa: uno con la morte, l'altro con i peggiori rimorsi e l'isolamento affettivo. Come Re Lear, Adam è stato dunque punito per il suo travisato e patologico orgoglio maschile, abbandonato da quelli che amava, con solo l'altro pazzoide (anche se morto) a tenergli compagnia. Le vigne dei frutti dell'ira, alla fine hanno prodotto un vino veramente molto amaro.
E questo finale è stato intenzionale, e così tipicamente canadese. Un film americano avrebbe finito per avallare Adam, in cima a tutto, da solo, ma indomito, ancora un modello per il pubblico. “Vengeance is Mine” fa coraggiosamente l'esatto contrario, giudicando e mostrandoci il vigilante e uomo forte della casa come oramai abbandonato, e svuotato, riempito solamente dai rimpianti e dalle amarezze. In qualche modo, e forse neanche voluto dai produttori, il film diventa una critica Canuck delle zone rurali più chiuse dell'America, ipocrite e in definitiva sempre auto-indugenti, così come una dissezione delle ambiguità che circondano la moralità dell'occhio-per-occhio. O come iscrisse una volta Dennis Valdron in un compendiale approccio al cinema canadese di genere degli anni '70, scritto anni fa in occasione di una retrospettiva al Festival di Toronto, "Questa ambiguità può rappresentare un approccio decisamente canadese: Un rifiuto o una riluttanza a credere che una calza o un passamontagana bene aderente alla mascella risolva tutti i problemi del mondo" E 'questo approccio che dà a Vengeance is Mine” la sua statura. Come esempio della lunga e fiorente progenitura dell'industria cinematografica Canadese di quel periodo, a lungo esclusa dagli annali di quello che era considerato a livello nazionale corretto da inserire in una visibilità più internazionale, non è niente di cui vergognarsi, anzi.
Questo è stato il film finale della Releasing Cinerama, mitica casa distributiva canadese di cinema indipendente e B-Movies anni'70
Napoleone Wilson

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