“Vengo dal macello, vado oltre il macello, per tornare al macello”*

Da Abattoir

All’inizio c’erano delle persone che parlavano attorno a un tavolo tondo delle ronde organizzate da Forza Nuova. Poi, c’era una chat in cui si fantasticava di qualcosa di diverso dalle solite serate a bere e a parlare nostalgici del passato, del liceo e dello schifo universitario, della vita in paese, di Silvio o del rompicoglioni del giorno. All’inizio c’era solo il rimpianto di essere gente come tanta, impotente o forse solo passivamente disillusa, stanca dei telegiornali, entusiasta del coraggio di Marco Travaglio o del Niki Vendola di turno.

Foto di Nicoletta Fersini

A un certo, punto Gas ha scritto una poesia, io ho sentito quel titolo – “Abattoir” – e sono rimasta incantata, ho iniziato a pensare a quanto sarebbe stato bello fare qualcosa di concreto, avere un angolo per dire la propria, uno spazio nostro, mio, suo, che ci rispecchiasse, persone intelligenti ma senza spazi o senza palle per seguire veramente degli impegni che vadano oltre il proprio naso o troppo incasinate e incapaci di organizzarsi o troppo fuori da certi giri; o … o … o.
Disgiunzioni che allontanano da tutto e, intanto, la vita scorre e tu troppo spesso ne vedi solo una parte e non trovi comequandoperché rifletterci su, condividere.

Abattoir nasce così, neonato e in fasce, per mettere in moto i nostri cervelli e quelli degli altri, con noi scrittori silenti, prima con 50 visite al giorno, poi 70-100, oggi, a volte, anche più di 300. Siamo timidi e inesperti, non abbiamo grosse conoscenze, ma piedi di piombo e siamo voci tra tante, che non per questo dovrebbero essere zittite (e c’è anche da dire che a volte la gente è brava anche a zittirsi da sola).

Sabato sera, per la prima volta, dopo un anno e mezzo ero in mezzo a gente per mandare a fanculo le catene autoimposte che ti lasciano sempre al tuo posto, dentro una nicchia di silenzio o di ristrettissime élites, se sei di Abattoir e non ad esempio di Rosalio con le sue mille pubblicità e conoscenze.
Sabato ero lì, dopo un mese e mezzo di lavoro. Perché quello che abbiamo sempre voluto fare, fin dall’inizio, è dare voce a chi non ne ha perché “non è nessuno”.
Per primi, la voce ce la siamo presa noi con un sito e chi voleva avrebbe letto e collaborato.
Due sere fa, la voce è stata anche di tutti coloro che sono venuti a trovarci, che mi hanno ascoltato mentre spiegavo chi siamo e che facciamo, che ci hanno offerto volantini, che ci hanno messo i locali a disposizione, che ci hanno mandato delle foto, che hanno scritto per noi e con noi, che ci hanno aiutato ad allestire e che ci hanno lasciato le loro parole lì, a contribuire, in una città e in uno Stato in cui troppi bavagli ci macinano ogni giorno il cervello.

Perché?
Perché veniamo tutti dal macello: siamo voci dal macello e vogliamo esserlo di diritto; può andar bene anche sussurrare, va bene anche continuare a non essere nessuno e non guadagnarci il becco di un quattrino, se poi questo nessuno riceve feedback e complimenti dopo sacrifici di tempo-sonno-studio-lavoro e soldi spesi per autotassarsi, per avere una serata in cui dire alla gente “scriveteci, commentateci, mettiamo circolo i pensieri, cazzo!”.
Perché, come dice Michele*, “Il macello in fondo è una metafora ontologica-esistenziale dal quale essere in quanto è, nella sua esistenza, non può separarsi, può fuggire, ma sarà sempre incontro ad essa”. Lui è il nostro nerd-filosofo, ma il concetto è che le mani in pasta qui dentro, in questo manicomio di vita, le abbiamo tutti, e ieri noi eravamo lì per questo. Per essere con tutti e dirlo a tutti. Perché non c’è un macello statico o stilizzato o ghettizzato e lontano da noi: è tutto macello e noi con lui, uniti, e avevamo voglia di dirlo e farlo vedere a tutti, tra foto di macellazioni clandestine, spiriti animalisti, anime psicologizzanti, letterarie, politico-filosofiche, poetiche. Di dirlo soprattutto a gente estranea e di coinvolgerla, di darle il diritto – coerentemente con ciò – di prendere i nostri fogli macchiati ad arte di tempera rossa da Manuela e di scriverci su.
Ma in fondo è questo che volevamo: unirci, mescolarci, spiegare a tutti perché non c’è pubblicità sul nostro sito, perché organizziamo solo un evento all’anno, perché non abbiamo conoscenze importanti, perché attaccare delle parole su una lavagna. Spiegare a tutti con dei giri di parole quanto sia importante confrontarsi e pensare, cosa succede quando leggo i post degli altri, cosa succede quando scrivo i miei, cosa succede quando non ho tempo di lasciare un commento ma ci penso per giorni, costruisco i miei mattoni mentali, le mie idee su quell’argomento. E cosa succede quando qualcuno ci scrive “grazie per quello che fate”, anche se di fatto facciamo quello che chiunque può fare, ovvero mettere per iscritto, su un disegno e dentro una pellicola delle idee.

Succede tanto dentro una testa.
Per questo abbiamo voluto organizzare un evento; non è stato facile, ma lo abbiamo voluto, tra mille difficoltà, per farci conoscere e invitare la gente a unirsi a noi, a collaborare, a leggere, a interpretare, cambiare e descrivere nel suo personalissimo modo questo macello.
E’ stato bello, e non c’erano altri motivi dentro quella serata, se non le parole e i pensieri. Niente denari, niente vendite, niente pubblicità. Tutti potevano prendere tutto, fogli, gadget, cibo, e nessuno chiedeva niente, se non una mail, una firma, degli occhi per guardare e una bocca per parlare.
Sarà per questo che qualcuno non ha visto niente di strano nel prendere il nostro PDF cartaceo e portarselo via; e noi ringraziamo paradossalmente il nostro piccolo ladruncolo che ci dimostra che è vero: piccole bombe crescono, Abattoir cresce, i pensieri crescono, circolano, virtuosi e viziosi: e noi restiamo qui, nove voci (e più) dal macello, oltre il macello, per tornare al macello* loro, nostro, altrui.

E vi aspettiamo.

“Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza” (Antonio Gramsci).


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