Venti di quasar

Creato il 22 marzo 2016 da Media Inaf

Inghiottiranno pure tutto ciò che capita loro a tiro, luce compresa. Ma restituiscono con altrettanta esuberanza. In forma di vento di materia, per esempio. Parliamo dei quasar, i cuori – al tempo oscuri e luminosissimi – di galassie attive agitati da buchi neri supermassicci (supermassive black holes, o SMBH). I getti di materia (outflows) ad altissima velocità provenienti da questi mostri cosmici sono da tempo sotto le lenti degli astrofisici, e si sospetta che giochino un ruolo fondamentale negli ecosistemi galattici. Ne abbiamo parlato più volte anche qui su Media INAF, per esempio riportando le misure eseguite dal telescopio spaziale XMM-Newton dell’ESA (“Dai buchi neri sgorgano gli UFO”) o quando, esattamente un anno fa, conquistarono la copertina di Nature grazie a uno studio guidato da Francesco Tombesi, un ricercatore italiano alla NASA (“Attila il buco nero, flagello della galassia”).

Ultimi in ordine di tempo, quelli individuati da un team d’astrofisici guidato da Jesse Rogerson, dottorando alla York University di Toronto, in Canada, il cui studio è appena uscito su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Analizzando i dati della Sloan Digital Sky Survey, Rogerson e colleghi hanno selezionato circa trecento quasar, cento dei quali sono stati ulteriormente studiati con i due telescopi gemelli del Gemini Observatory, in Cile e alle Hawaii. Uno in particolare, nome in codice SDSS J023011.28+005913.6 (troppo lungo persino per gli astronomi, che lo hanno abbreviato in J0230), presenta l’emissione più veloce mai osservata a frequenze ultraviolette.

«Parliamo di venti che viaggiano a un quinto della velocità della luce, dunque a più di 200 milioni di chilometri all’ora. Fosse un uragano», nota Rogerson, «avrebbe categoria 77! E abbiamo motivo di credere che esistano venti di quasar ancora più veloci».

Ma perché questi venti di materia continuano a esercitare tanto fascino sugli astrofisici? E cos’ha di nuovo, velocità record a parte, quest’ultimo descritto sulle pagine di MNRAS? Medi INAF lo ha chiesto a Mauro Dadina, ricercatore all’INAF IASF di Bologna da tempo coinvolto nei team internazionali che studiano questo fenomeno alle alte energie.

«Da qualche anno abbiamo evidenza che buchi neri supermassicci possano far nascere venti con energia sufficiente a spazzare via il gas da cui si formano le stelle delle galassie, così da creare un meccanismo di autoregolamentazione e spiegare le relazioni fra i buchi neri supermassicci e le galassie. Ma le prove più solide dell’esistenza questi venti», osserva Dadina, «le abbiamo viste nell’Universo vicino, mentre noi abbiamo bisogno di vederle quando l’Universo era giovane e le galassie e i buchi neri supermassicci si stavano ancora formando».

«Nell’articolo si riporta che un vento molto veloce, e quindi energetico, è osservato partire dalle regioni prossime al buco nero supermassiccio di un quasar che era attivo quando l’Universo aveva solo 2.5 miliardi di anni (oggi ne ha circa 13.5). È nella somma di queste cose», spiega Dadina, «che sta l’importanza della scoperta. Un tassello ulteriore che sembra indicare come le galassie e i buchi neri supermassicci siano effettivamente co-evoluti a partire dai primordi dell’Universo stesso. E come proprio questi venti possano essere stati, fin da allora, ciò che ha autoregolamentato il meccanismo di scambio fra buco nero supermassiccio e galassia ospite».

Per saperne di più:

  • Leggi su MNRAS l’articolo “Multi-epoch observations of extremely high-velocity emergent broad absorption”, di Jesse A. Rogerson, Patrick B. Hall, Paola Rodríguez Hidalgo, Patrik Pirkola, William N. Brandt e Nur Filiz Ak

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina