Espellere, v. tr.
Il verbo latino expellĕre – da cui deriva per facile analogia quello italiano oggetto di questa definizione – è composto di ex, che significa fuori, e pellĕre, ossia battere, scacciare. Per inciso il verbo pellĕre ha la stessa radice di pilum, il giavellotto usato dai soldati dell’esercito romano nei combattimenti a breve distanza, e di palla, due oggetti dalla forma molto diversa, che però condividono il fatto di dover essere lanciati, gettati, spesso a lunga distanza.
In questi giorni assistiamo a una nuova pratica sportiva: il lancio del senatore. Campione indiscusso di questo sport è Beppe Grillo. Le regole sono piuttosto semplici: si prende un senatore, si aspetta un suo cenno di dissenso dalla linea del partito decisa dal Capo – a volte basta davvero un nonnulla, un sopracciglio aggrottato, una smorfia involontaria – e il Capo decreta la sua espulsione, con successivo lancio nella fossa dei leoni. Dal momento che anche il popolo ha diritto alla sua dose di divertimento – come sapevano bene gli imperatori romani – si sottopone l’espulsione alla decisione inappelabile del web e, siccome il popolo è in genere vendicativo e rancoroso, questa viene immancabilmente ratificata tra il plauso generale. Attorno all’espulsore supremo si muove poi una pletora di felloni, che, contenti di aver scampato il pericolo, si accaniscono contro il malcapitato di turno. A qualcuno degli scampati, per un sussulto di dignità, può sfuggire una parola di pietà: ecco trovate le nuove vittime, quelli pronti ad essere espulsi in un giro successivo. In questo modo il gioco può riprendere tra il tripudio urlante dell’arena.
Immagino che, a questo punto, i miei già scarsi lettori Cinque stelle abbiano smesso di leggere questa definizione, denunciandomi al loro tribunale supremo. Su di me penderà un provvedimento di espulsione, una sorta di fatwa grillesca, di cui mi potrò vantare in società.
Leggo che, secondo alcuni analisti, queste espulsioni danneggerebbero il movimento di Grillo. Personalmente non credo, anzi penso servano a Grillo, in vista della prossima campagna elettorale. Quando qualcuno gli farà notare che in fondo in questa legislatura i suoi “cittadini” non hanno combinato poi molto, nonostante il numero permettesse loro di svolgere un’azione parlamentare incisiva, Grillo potrà sempre dire che i risultati non sono arrivati perché il Movimento ha dovuto lottare non solo contro la partitocrazia tentacolare – tanto potente che basta un Renzi qualunque a spaventarla e a metterla all’angolo, come si è visto in questi giorni – ma soprattutto contro gli infiltrati, quelli che hanno tradito la causa, per incassare tutti i rimborsi. E funzionerà, molti continueranno a crederci. Almeno fino a quando non verrà un nuovo Grillo a prendere il posto di quello che abbiamo adesso.
Il problema è che non è stato fatto nulla per espellere – in questo caso il verbo è molto adatto – il marcio che c’è nelle istituzioni. E finché quello ci sarà, ci saranno populisti che di questo si faranno forti, inneggiando alla pulizia. O al repulisti generale.
La cosa curiosa e, a suo modo paradossale, di Grillo e del suo movimento è che, nonostante l’uso invasivo e massiccio di uno strumento come la rete, ossia qualcosa di estremamente moderno, si tratta di qualcosa di assolutamente antico, già visto, che ripete schemi e cliché di movimenti populisti di inizio Novecento, quando va bene. Non c’è alcuna novità politica in questo tribuno che aizza le folle, facendosi forza di argomenti vaghissimi e generici – che coprono uno spettro amplissimo, dall’estrema destra all’estrema sinistra – sfruttando il malcontento verso la corruzione delle classi dominanti, usando un linguaggio artificialmente rozzo e volgare.
Ho l’impressione che molti sottovalutino ancora quello che Grillo ha scatenato, confondendo il Movimento Cinque stelle e l’antiipolitica tout court. Pensano che l’assedio sia finito, che il pericolo dell’antipolitica sia ormai scampato; si illudono naturalmente, ma oggettivamente in questi anni questi analisti non hanno mai dato dimostrazione di grande lungimiranza.
Si è arrestata la “spinta propulsiva” del Movimento Cinque stelle, dopo aver raggiunto il proprio apice alle elezioni politiche dell’anno scorso. Proprio quel successo determinerà alla lunga la caduta di Grillo. Gli elettori avevano dato a Grillo e ai suoi – forse in maniera avventata, ma d’altra parte la situazione era disperata – la possibilità di incidere davvero sulla vita politica e istituzionale di questo paese; però la possibilità era una e una soltanto. Quell’opportunità – come noto – è stata gettata al vento – per un calcolo errato – e Grillo, i suoi consiglieri più o meno occulti, i giovani eletti - qualcuno di loro è anche una persona per bene – ne pagheranno le conseguenze.
Purtroppo la pagheremo anche noi. Temo che alla fine, forse anche tra poco tempo, li rimpiangeremo, non certo Grillo naturalmente, ma magari gli eletti di quel partito – quelli non supinamente schierati – o quelli come il sindaco di Parma, quando salterà fuori un nuovo movimento di protesta, molto più populista, molto meno idealista e velleitario, molto meno di sinistra, ma soprattutto molto meno rassicurante degli innocui giovani grillini. Quando avremo la nostra Alba dorata nelle strade e in parlamento saremo qui a preoccuparci più seriamente, ma ormai sarà troppo tardi.
Naturalmente la situazione in cui ci troviamo ora non è responsabilità solo della stupidità e dei bassi calcoli di Grillo, ma soprattutto di chi ha fatto sì che un personaggio del genere avesse argomenti, perché di argomenti ne ha; e su questo purtroppo non vedo davvero la voglia di incidere. Troppo vecchio è il giovane Renzi.