Pecora, sost. f.
Non sum dignus. Non ho il diritto di giudicare le scelte di un papa, specialmente quando decide di incontrare una pecora che si è allontanata dal gregge.
Immagino che un papa abbia tutto il diritto – anzi abbia il dovere – di incontrare chi ha peccato. E di perdonarlo, se lo ritenga pentito. Se non si capisce questo si rischia di fare una figura meschina, come capita a don Abbondio quando, seppur in silenzio, critica il cardinal Federigo Borromeo per la sua familiarità con l’Innominato. Se papa Bergoglio ha deciso di incontrare in pubblico e di abbracciare in maniera così plateale Diego Armando Maradona, che qualche peccato l’ha pure commesso – per sua stessa ammissione – un cristiano può pensare a un disegno della Provvidenza.
Ma siccome io sono un vecchio ateo e alla provvidenza non credo, penso che papa Francesco questa volta abbia commesso non tanto un peccato – deciderà il suo confessore se veniale o mortale – ma quantomeno un errore di comunicazione. Cosa insolita per un pontefice che padroneggia con maestria questi strumenti.
Nelle scritture si trova la parabola della pecora smarrita. Non citerò le versioni più conosciute, quelle dei vangeli di Luca e di Matteo, ma quella del vangelo di Tommaso, l’apostolo dubbioso.
Il regno è come un pastore che aveva cento pecore. Una di loro, la più grande, si smarrì. Lui lasciò le altre novantanove e la cercò fino a trovarla. Dopo aver faticato tanto le disse: “Mi sei più cara tu di tutte le altre novantanove”.
L’abbraccio di Bergoglio, la sua emozione sincera, il suo entusiasmo nel trovarsi davanti la Mano de Dios, sono sembrati non tanto quelli del pastore quanto quelli del tifoso argentino di fronte al campione indimenticato e indimenticabile. Ovviamente l’emozione e l’entusiasmo sono legittimi, sappiamo che Bergoglio ama il calcio e non nasconde di essere un tifoso; anzi questa è una di quelle cose che l’ha fatto amare, che lo rende più simile a noi.
Forse in questo caso avrebbe dovuto mandare un altro messaggio; proprio in nome di quello sport che tanto ama. Maradona è stato certamente il campione più grande della sua generazione e uno dei più grandi di tutti i tempi, ma fuori dal campo è un uomo che ha commesso molti errori, e quel che è peggio ha usato la sua fama, l’amore dei tifosi e la stima di tutti gli appassionati di calcio per giustificare questi suoi errori. Al di là del perdono, che è qualcosa di personale e che attiene ad una sfera che non ci riguarda, credo che il papa avrebbe dovuto dire al campione argentino: non tutto ti è concesso, soltanto perché sei Maradona, anzi proprio il fatto che sei Maradona ti obbliga a una certa condotta, perché inevitabilmente tu sei un esempio per gli altri.
E comunque non possiamo certo criticare il papa noi terzomondisti che abbiamo perdonato a Maradona quel famoso gol di mano nella partita dei mondiali dell’86 contro l’Inghilterra, perché quella rete, seppur platealmente fraudolenta, era anche contro Mrs Thatcher e vendicava la sconfitta argentina nella guerra delle Falkland.
E il suo secondo gol fu così bello da far dimenticare quella scorrettezza. Gli dei del calcio hanno già perdonato Maradona che però non ha imparato la lezione; un papa argentino dovrebbe ricordaglelo.