Verba volant / Provocare

Creato il 16 aprile 2014 da Margheritapugliese

Provocare, v. tr.

Il significato del verbo latino provocare è letteralmente chiamare fuori. Quante volte in un film abbiamo sentito un’espressione come

vieni fuori, se hai coraggio

Ecco questa è, in senso strettamente etimologico, una provocazione. In italiano questo verbo significa prima di tutto spingere, con la parola o con l’azione, a un comportamento aggressivo; e quindi, quando viene usato in senso intransitivo, comportarsi con qualcuno in modo offensivo, irritante, ostile. Provocare è qualcosa di piuttosto semplice, richiede poca fantasia e poca intelligenza: sarà per questa ragione che in questi tempi tristi è così frequente incontrare qualcuno che provoca e così raro qualcuno che dialoga.

In un’altra definizione ho parlato di quell’artista statunitense che, per descrivere il complesso rapporto tra l’uomo e il cibo, ha realizzato un video in cui una donna “gioca” con una bottiglia di latte. Il sesso è notoriamente qualcosa che provoca e che crea interesse, come sanno bene quelli che preparano le home page dei principali siti di informazione italiani che, quando non sanno cosa scrivere o registrano un calo di accessi, usano quest’arma potentissima.

Sapete qual è la parola che ha avuto, fino ad ora, più contatti tra le ormai 81 definizioni di Verba volant? Puttana, ovviamente; anche merda è in buona posizione, ma non arriva a quel livello di interesse.

E non è un caso che provocare significhi anche assumere volutamente atteggiamenti tali da suscitare il desiderio fisico, da eccitare l’interesse sensuale. Lo sanno bene purtroppo le vittime di violenza sessuale che, troppe volte, vengono accusate di aver provocato i loro molestatori, solo perché hanno avuto la faccia tosta e l’impudenza di indossare una minigonna o dei jeans attillati. In questo caso evidentemente la provocazione sta negli occhi di chi guarda.

Ovviamente anche in politica provocare va per la maggiore; anche perché ho già detto che si tratta di una pratica che non richiede particolare intelligenza. Si butta lì una frase ad effetto, cercando magari un punto debole dell’avversario, la si urla il più forte possibile, la si amplifica, facendola girare nei social network, e si spera che qualcuno ci caschi. La regola generale di buon senso sarebbe quella di non cedere alle provocazioni, ma a volte è difficile, rischi di fare la figura del codardo e quindi rispondi, magari provocando a tua volta. Il provocatore però è sempre in vantaggio, è partito per primo e tu non sarai più in grado di raggiungerlo, come il povero Achille che insegue vanamente la tartaruga.

Beppe Grillo è un maestro della provocazione, la sa usare con teatrale efficacia; anzi la sua fortuna politica si basa proprio sull’uso calcolato di questo strumento retorico. Ed ha una base di seguaci sempre pronti a diffondere ogni sua frase ad effetto e a difenderlo contro chi osa rispondergli, come sta avvendendo in questi giorni dopo la sua parafrasi cretina di Se questo è un uomo, che ha giustamente suscitato disagio e fastidio in tante persone.

Ho deciso di dedicare una definizione a questa parola perché nei giorni scorsi il politico genovese è stato a Bologna per uno dei suoi comizi-spettacolo. Per altro ci dovremmo interrogare su questa forma inusuale di propaganda politica, in cui le persone addirittura pagano per ascoltare un comizio, ma non è questo il tema che mi interessa oggi. Tra le molte provocazioni fatte da Grillo ce n’è una che mi ha particolarmente colpito e sui cui vorrei fare una riflessione. Si tratta ovviamente di un esercizio inutile perché ormai la provocazione ha colpito, ha raggiunto il proprio obiettivo, è stata detta e propagata, senza alcun contradditorio. Questa mia riflessione anzi finisce per amplificare ulteriormente questa frase di Grillo, e non riuscirà a convincere nessuno dei suoi adepti. Ma nella mia vita politica mi è già capitato di fare cose inutili e controcorrente: una in più non fa la differenza.

Grillo ha detto che a

a Bologna la sinistra non esiste più da anni

Applausi. Si tratta di una stupidata naturalmente, ma di sicuro effetto. Dal momento che a Bologna ci sono nato e ci ho vissuto molti anni – per quanto ora non ami tornare in quella città – e soprattutto perché io sono diventato di sinistra, rImanendolo tenacemente e ostinatamente ancora adesso, nonostante tutto, il tema mi appassiona. Molto di più di quanto interessi allo stesso Grillo, che probabilmente ha già dimenticato la sua boutade, per concentrarsi su un nuovo bersaglio polemico. Credo poi che meriti parlarne su un blog che ha Bologna nel titolo.

Probabilmente nessuna città può essere definita semplicemente di sinistra – o di destra, ovviamente – perché una città è una struttura complessa, che cambia nel tempo e che ha in sé moltissime anime e molte contraddizioni. Ha ragione chi dice che Bologna è una città di sinistra, quanto chi dice che si tratta di una città massonica o di una città clericale. Eppure quando si parla di Bologna affermare che sia una città di sinistra è più vero – scusate la forzatura sintattica – che nella maggioranza degli altri casi. Perché questo è avvenuto? Come mai l’anima di sinistra è diventata così forte, da oscurare perfino quella clericale, con buona pace di Biffi e di Caffarra? Francamente non lo so e non è neppure questa la sede per un’analisi del genere.

Immagino che qualcuno possa fare riferimento alla lunga storia della città, allo spirito egualitario, che si è espresso fin dal tempo del Liber paradisus. Io, essendo nato nel contado, non posso non citare le partecipanze e il loro antico comunismo agrario. E poi ci sono state le società di mutuo soccorso e le cooperative, la cui storia è gloriosa, al netto di quello che molte di loro sono diventate ora, fino ad esprimere un ministro del lavoro di centrodestra.

Non so se qui, in queste terre, ci sia una particolare predisposizione, quasi genetica, alla sinistra. Certamente qui c’è stato un singolare e fortissimo radicamento territoriale del Pci, anche se neppure questo fatto, da solo, credo basti a raccontare un universo di solidarietà che si è manifestato anche fuori – e talvolta contro – il sistema del partito-chiesa. E poi c’è la tradizione di ottimi amministratori pubblici comunisti, con storie personali molto diverse, anche in quel caso con le loro contraddizioni, che comunque sarebbe perfino ingeneroso paragonare alla vacuità degli attuali amministratori.

Come ho detto la forza del bravo provocatore sta nel colpire uno dei punti deboli del proprio avversario. E Grillo qui ha potuto affondare il colpo con facilità, dal momento che il partito più importante della città, che esprime il sindaco e gran parte della classe dirigente cittadina, non è più un partito di sinistra, ma un partito, nelle migliori delle ipotesi, di centro moderato, che cerca di espungere gli ultimi germi di sinistra, fingendo comunque di essere un partito di centrosinistra, per garantire il proprio tradizionale insediamento elettorale. Grillo avrebbe potuto dire che il Pd bolognese non è più di sinistra, ma non sarebbe stata né una provocazione né una cosa particolarmente originale; anzi qualcuno degli esponenti di quel triste partito fatica a definire se stesso di sinistra e quindi la cosa non avrebbe colpito nel segno. Dire che Bologna non è più di sinistra ha invece colto il bersaglio, quantomeno perché ha squarciato il velo sull’ipocrisia di un partito che si definisce tale, solo per fini elettorali e per mantenere in vita, grazie a quel po’ di militanza rimasta, una struttura per altri aspetti del tutto autoreferenziale.

Questo però non risponde ancora alla mia domanda, scaturita dalla provocazione grillesca: Bologna è ancora una città di sinistra? Sul tema mi piacerebbe sentire anche la vostra opinione, sia che siate della città sia che la osserviate da fuori, anche se, in quest’ultimo caso avete sempre troppa indulgenza verso una città che credete sia migliore di quello che effettivamente è. Avviene lo stesso per la cucina: chi ci arriva e ci sta per poco tempo è convinto, sbagliando, di mangiare bene, mentre è molto difficile farlo, visto il livello medio dei locali bolognesi. Per tornare alla sinistra, io credo lo sia ancora, indipendentemente dalla classe politica che la rappresenta e la guida. Credo basterebbe dare un’occhiata al numero di associazioni che ci sono in città e in provincia, alle migliaia di persone che dedicano il loro tempo libero, le loro risorse, le loro capacità, alle altre persone, specialmente a quelle che hanno più bisogno.

Persone che immaginano il futuro così, con e per gli altri - per me – sono di sinistra. E contribuiscono a fare una città di sinistra. Almeno un po’ più delle altre.


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