Roccaforte, sost. f.
Si tratta di una parola composta e infatti il plurale può essere sia roccaforti che roccheforti. Se già una rocca – la parola deriva significativamente da roccia – è un luogo sicuro e protetto, una roccaforte è inespugnabile per definizione e quindi quando viene alla fine espugnata – perché, prima o poi, tocca a tutti – quel fatto viene considerato con meraviglia o con sgomento, con entusiasmo o con rassegnazione. Ovviamente la nostra prospettiva cambia radicalmente se siamo tra gli assedianti o tra gli assediati, tra i vinti o tra i vincitori.
Il risultato più eclatante delle recenti elezioni amministrative è stata certamente la vittoria del candidato del Movimento Cinque stelle a Livorno, una roccaforte della sinistra, la città in cui è nato, quasi un secolo fa, il Partito Comunista d’Italia. Sul tema ho una qualche competenza, avendo assistito nel 1999 alla caduta di un’altra storica roccaforte della sinistra italiana e avendo cominciato, proprio in quei giorni complessi, a fare il funzionario della Federazione dell’allora Pds nella città felsinea.
Ho letto che diversi commentatori – anche tra i più quotati – hanno fatto un parallelo tra i due avvenimenti. Personalmente ho qualche dubbio, prima di tutto perché le vicende di ogni città rispondono a logiche diverse le une dalle altre, dal momento che ogni città ha una sua storia e sue caratteristiche peculiari, ma soprattutto perché da allora sono passati ben 15 anni. A dire la verità, prima di scrivere questa definizione, non mi ero reso conto che fossero passati già tanti anni; o più probabilmente ho preferito non pensarci, per non fare i conti con gli anni che passano, dal momento che dietro a quelle vicende ci ho speso un bel po’ di giovinezza.
Certamente credo che alcuni tratti comuni ci siano. In entrambe le città c’è stata una tradizione di amministratori locali bravi e capaci, in forte sintonia con i loro concittadini, e questo ha reso ancora più evidente le scarse capacità di chi è venuto dopo. Spesso il confronto è impietoso. Non so come abbia amministrato il precedente sindaco di Livorno – immagino non molto bene – ma credo che sull’amministrazione di Walter Vitali i giudizi successivi siano stati eccessivamente liquidatori e inutilmente ingenerosi, legati soprattutto alla sconfitta, di cui fu uno dei responsabili, ma non il solo responsabile. Il vero problema emerso allora a Bologna – e credo oggi a Livorno – è l’autoreferenzialità di un gruppo dirigente che ha dato troppe cose per scontate, pensando che alla fine i voti sarebbero arrivati comunque; e soprattutto la presenza di una trama di interessi, sedimentati negli anni e ormai considerati intoccabili, che – anche non dando adito a comportamenti illeciti – finiscono per prevalere sui valori, sugli obiettivi e sul disegno generale.
Mi pare però che le analogie finiscano qui. La vicenda bolognese si è svolta nello scontro, allora ancora possibile, tra destra e sinistra. La capacità di Giorgio Guazzaloca è stata quella di riunire attorno alla sua candidatura tutte le variegate anime della destra bolognese, dai vecchi democristiani antifascisti ai giovani picchiatori di Forza nuova, dalla massoneria laica agli ambienti clericali. Tutti questi, rendendosi conto che potevano finalmente vincere o meglio che gli eredi del Pci potevano finalmente perdere, hanno fatto un passo indietro e hanno dato vita a un’alleanza litigiosa che infatti non è riuscita di fatto a governare. Guazzaloca, al di là di qualche leggenda metropolitana, non ha sfondato a sinistra, ha semplicemente – anche se semplice non è stato – riunito tutta la destra. E ha vinto perché un pezzo consistente della sinistra non ha votato.
La vicenda di Livorno mi pare abbia caratteristiche differenti. Per Filippo Nogarin hanno votato compattamente quelli di destra, che sono contenti del fatto che è stato sconfitto il candidato del Pd, a prescindere, anche se sono rimasti fuori dal consiglio comunale, e soprattutto hanno votato persone di sinistra, contro Renzi. Con il voto “contro” è difficile costruire qualcosa di significativo, soprattutto in prospettiva, ma intanto sortisce un qualche effetto, come è successo appunto nella città toscana. Francamente credo che se fossi stato livornese avrei votato anch’io per il candidato Cinque stelle invece di astenermi come avrei dovuto fare, essendo ugualmente lontano da entrambi i candidati, solo per dimostrare la non invincibilità di Renzi. Come vedete, un voto per dispetto, di pancia.
Per tornare alle vicende bolognesi di quegli anni – anche per rispettare la testata di questo blog, in cui campeggia il nome della mia ex-città – io credo che nel ’99, nonostante tutto, ci fosse ancora la possibilità di costruire qualcosa di diverso, proprio partendo dagli errori commessi. Naturalmente non ci siamo riusciti, visto che i risultati finali di quel percorso sono stati Delbono e Merola. So che su questo non tutti i miei lettori bolognesi saranno d’accordo, ma penso che perfino Sergio Cofferati sarebbe potuto essere un’opportunità, mentre – come è noto – è stato quello che è stato.
Oggettivamente dobbiamo ammettere che noi di errori ne abbiamo commessi altri – e non pochi – e quindi siamo arrivati a questo punto. Parecchio in basso.
Se è vera questa mia ipotesi e quindi noi avremmo potuto ancora prendere una strada diversa, adesso la situazione è molto diversa. E ormai irrimediabilmente compromessa, perché 15 anni non sono passati invano e soprattutto perché ha vinto Renzi, culturalmente prima che politicamente. Loro ormai la strada l’hanno presa e, come sapete, per me è quella sbagliata. Anche a Livorno in qualche modo rimedieranno, visto che comunque alle europee il Pd ha preso il 53% in quella città. Non dovranno neppure passare per Cofferati come abbiamo fatto noi, ma rimarranno quello che hanno deciso di essere, ossia un partito centrista e moderato, caritatevole verso i poveri, e troveranno un Gori qualsiasi, con la sua finta Michelle d’ordinanza, che li farà di nuovo vincere. Perché per loro si vince rinunciando alla sinistra, e così infatti hanno vinto.
I cittadini di Bologna, non votando per il nostro partito, pur rimanendo a sinistra, ci diedero un segnale che noi non capimmo, o che forse molti di noi non hanno voluto capire, tanto è vero che prendemmo una strada probabilmente diversa da quella che loro avrebbero voluto, una strada che ci ha portato a Renzi, con l’ineluttabilità di un piano inclinato.
Un intellettuale che una volta stimavo e che si è consegnato, come hanno fatto molti altri, a Renzi, senza condizioni, ha scritto nella sua Amaca che la caduta di una roccaforte è perfino un fatto positivo – a meno che gli “invasori” non siano Hitler e Tamerlano – perché obbliga i vinti a rigenerarsi, cosa che non farebbero mai se continuassero a vincere. A Bologna non è andata così, anche perché il centrosinistra di quella città non ha fatto mai davvero i conti con quello che è successo nel ’99, lo ha considerato una parentesi ed è andato avanti esattamente come prima. Francamente cosa farà il Pd a Livorno mi interessa assai poco. Vorrei invece che quella sinistra che in quella, come in altre città, ha votato “contro” riuscisse a votare “per”.
E comunque state attenti, cari amici renziani, le roccaforti cadono prima o poi. Tutte.