Poi mi sono accorta che non c’eri.
Niente “coma etilico”, niente cose di casa così simili, niente sale nel dolce.
Niente.
Mi sono accorta che non c’eri.
Che è colpa mia, alla fine. Che sono ripassata, ancora, gli stessi errori, camminando male e inciampando, guardando in alto, con l’acqua negli occhi, pensando che, in fondo, quella paura di toccarti o di viverti mi ha fatto stare 365 giorni chiusa e non solo, 365 a quanto? un pugno di chilometri da te, mi ha fatto pensare che non c’eri, quest’anno.
Non c’eri, ancora, e ti ho cercato, pensato, sorriso a pensarti così, lontano. Così.
Una papera per l’acqua e un nero natale, in borsa, come se fossero àncora per non perdermi troppo in un mare di dolore e di nero.
Ho scavato il fondo, l’ho raschiato con le dita e mi ci sono consumata le unghie.
E non ho vinto, almeno in parte.
Certe cose sono state sistemate.
Altre, no
Altre, sono buchi.
Assenze. Di risate, di pelle, di cibo. Di Lui, che manca in ogni cosa; sai, avevi ragione: l’assenza ha portato incattivimento, apatia, dolore diffuso, come aria, come merda, come non lo so.
Io, sono diventata più dolorosa del solito, più cinica del solito, io, mi sono guardata e mi sono vista fredda, quasi morta, Lui non c’era, non c’ero io. Non c’era più quella felicità che ti scrivevo e tu rispondevi così.
Non mi sono accorta di te che scivolavi via, piano, che andavi via, piano, che non eri più solo.
Cambiamenti che percepivo sulla pelle, prima, che sentivo e che anticipavo non li ho sentiti.
Mi sono caduti in testa, detti in un secondo tutto d’un fiato, come se fossero coltelli lanciati, senza mira.
Tutti andati a segno.
Quest’anno niente coincidenze.
Quest’anno niente chiacchierata, dopo.
Non ci sei.
E mi manchi.
Tu. E il giornale arrotolato.