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Verniciatura – una poesia di Neal Hall tradotta da Francesca Diano

Creato il 22 marzo 2016 da Emilia48

NEAL HALL

Verniciatura[1]

Perfezione artificiosa,

sparsa superficialmente con uniformità su irregolarità di superficie,

a nascondere imperfezioni emerse dall’interno;

manifestazioni visibili di intimi timori del timore, e

bugie coreografate attorno a cui danziamo

per far girare la verità.

Una banconota malamente contraffatta

da cento dollari, ben tesa

per avvolgere un rotolo di biglietti da uno

falsi sorrisi amichevoli

che laminano la superficie del nostro odio

una calza di satin liscio e setoso

che tessiamo a coprire i piedi ruvidi

su cui andiamo danzando in giro la verità.

Verniciatura

questo laminato,

questa immacolata concezione concepita per resistere all’inferno

la fabbrichiamo per indossarla, per coprire le nostre tracce le nostre code

per coprire i furti che compiamo,

quando uccidiamo,

quando rendiamo falsa testimonianza nel buio

abisso sotto la superficie di quegli

strati di laminato ben poco aderenti:

non rubare,

non uccidere,

non dire falsa testimonianza.

Verniciatura

una tenda Marquise a mascherare maschere di pulizia e rinascita,

facciate che altro non sono se non

una maggior piacevole apparenza,

non più che un più attraente materiale di superficie

di bugie superficiali dal sottile rivestimento, che rivestono appena

chi veramente siamo e che s’annida sotto le menzogne

della purga e della rinascita dell’anima.

Verniciatura

questo intarsio di due, a ricoprire uno, sopra inserito

per dividere l’uno in due metà

che mai furono intese: un tu, un me,

un giusto, uno sbagliato, un nero, un bianco,

luce nera sintetizzata che emette

composti fluorescenti di oscurità artefatta,

a proiettare ombre ottenebrate

sotto cui nascondiamo i mali della nostra superficie.

Riverniciati

Noi siamo, manichini fabbricati,

modelli la cui superficie è una natura morta, abbigliati

con abiti monogrammati da vetrina,

facciate sotto cui sanguiniamo per negazioni di sangue,

avvolti in strati diafani di false verità

con cui celiamo la nostra vera essenza per apparire

più amorevoli nel nostro falso amore,

più tolleranti nella nostra tolleranza sintetica

più umani nella nostra umanità inumana

come appariamo falsamente essere

per mascherare quello che siamo diventati…

una banconota malamente contraffatta

da cento dollari, ben tesa

per avvolgere un rotolo di biglietti da uno

falsi sorrisi amichevoli

che laminano la superficie del nostro odio

una calza di satin liscio e setoso

che tessiamo a coprire i piedi ruvidi

su cui andiamo danzando in giro la verità…

Veneer

Articial perfection,

evenly spread superficially across surface irregularities,

concealing surfaced inner imperfections;

outward manifestations of inner fears of fear, and

choreographed lies we dance around

to spin around the truth.

An ill-fitted counterfeit

hundred dollars bill, stretched

to fit over a folded wad of ones

a forged friendly smile

laminated the surface of our hate

a smooth silky satin sock

we weave to cover rough feet

we dance around the truth upon.

Veneer

this laminate

this conceived hell-resistant immaculate conception

we fabricate to wear, to cover our trail to cover our tails

to cover when we steal,

when we kill,

when we bear false witness in the dark

abyss beneath the surface of those

loosely adherent layered laminates;

thou shalt not steal,

thou shalt not kill,

thou shalt not bear false witness.

Veneer

Marquise masquerading masks of cleansing and rebirth,

facades that are no more than

a more pleasing appearance,

no more than a more desirable surface material

of skim coat surface lies, thinly coating

who we really are lurking beneath the lies

of soul cleansing and rebirth

Veneer

this inlay of two, overlying one, added on top

to divide the one into two halves one

was never meant to be: a you, a me

a wrong, a right, a black, a white,

synthesized black light emitting

florescent composites of manufactured darkness,

casting unenlightened shadows

we hide our surface woes beneath.

Veneer’d

we are, manufactured mannequins,

still life surface paragons, dressed up

in monogrammed windows dressings,

facades beneath which we bleed sanguineous denials,

shrouded in diaphanous layers of artificial truths

we cover our true selves in to appear

more loving in our false love,

more tolerant in our synthetic tolerance

more human in our inhuman inhumanity

we falsely appear to be,

to cover over what we have become…

An ill-fitted counterfeit

hundred dollars bill, stretched

to fit over a folded wad of ones

a forged friendly smile

laminated the surface of our hate

a smooth silky satin sock

we weave to cover rough feet

we dance around the truth upon.

[1] Ho scelto di tradurre l’inglese Veneer, letteralmente “impiallacciatura, rivestimento, vernice, fig. apparenza superficiale”, con “verniciatura” nel senso di patina fittizia stesa sopra a nascondere le pecche. (N.d.T.)

(C) Neal Hall e Francesca Diano per la traduzione. RIPRODUZIONE RISERVATA



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