venerdì 22 giugno 2012 di L'Abattoir
di Greg
Quando si parla di coming out, spesso, si pensa alla prima volta che un uomo/donna rivela a qualcuno i suoi veri gusti sessuali, cioè quando questo confessa la sua omosessualità agli amici o parenti e le reazioni che gli altri hanno di fronte alla sua “rivelazione”.
Ma qualcuno ha mai pensato che il “vero coming out” sia quello che un individuo fa a se stesso? Spesso, infatti, si identifica il momento clou della rivelazione della sessualità di un individuo a quando questo si è esposto al giudizio degli altri rivelando l’inconfessabile, o presunto tale, ignorando invece che la prima persona a cui un omosessuale confessa la sua sessualità è SE STESSO.
Ecco, io voglio raccontare del mio coming out, del fatto che, pur sapendo fin da piccolo che non ero un bimbo come gli altri, pur sapendo che non mi piacevano le femminucce ma i maschietti, la mia consapevolezza e la mia accettazione, il mio capire “cosa e chi fossi” è avvenuta tardi, persino piu tardi “degli altri” che avevano già capito cosa fossi prima ancora di me o forse credevano di averlo capito.
Per tanti anni, ho vissuto nella mia città natia, con un amarezza di fondo che non mi consentiva di affacciarmi al mondo, di coglierne l’essenza, di vivere come tutti i miei coetanei, di guardarmi attorno e capire che anche io avevo diritto a vivere come gli altri e soprattutto di potere gioire della vita.
Portavo una maschera, che era quella del ragazzo che non aveva tempo per certe cose – e per certe cose intendo la possibilità di capire chi volessi, cosa volessi per me, se mi piacevano le donne o gli uomini (anche se già lo sapevo), se fossi quello che gli altri chiamavano FROCIO o, se vogliamo dirlo in maniera piu sobria e civile, gay.
Non lo accettavo, pensavo di non saperlo, mi dicevo addirittura che tanto se non andavo, in senso biblico, con un maschio non ero gay e che gli altri potevano pensare quello che volevano(anche se ne soffrivo, e anche tanto).
Ero deciso a rimanere nel mio “angolo di cielo nero”, a rimanere solo fino a che i miei genitori, il piu tardi possibile ovviamente, sarebbero passati a miglior vita, ma non avevo fatto i conti col destino, che a volte è beffardo, ti spiazza e ti mette davanti a fatto compiuto, ad alternativa senza soluzione, ti fornisce le ali pian pianino e ti consente di spiccare il volo, di uscire fuori.
Tutto è iniziato con un corso di teatro iniziato per caso ma per volonta’, in cui dovetti affrontare il mio spauracchio piu grande: interpretare un giullare gay!!
Il mio peggior incubo, ciò che nascondevo e che speravo nessuno notasse,dovevo portarlo su un palcoscenico, dovevo rendere divertente e giocoso ciò che per anni ho cercato di non ammettere, ciò che ho sempre cercato di dimenticare in tutti i modi: l’omosessualità.
È stato difficilissimo, volevo lasciare il corso prima dello spettacolo per non dover affrontare tutto cio’, ma, non so come sia riuscito, alla fine ho portato a compimento la mia sfida e ho interpretato sul palco un giullare gay, una macchietta piena di colore e ilarità che più differente da me e da quello che volevo essere nella vita di tutti i giorni non poteva essere.
Quest’esperienza mi ha dato modo di vedermi in una chiave diversa, mi ha dato modo di farmi superare qualche mia reticenza, di essere piu possibilista e volenteroso nel voler comprendere davvero cosa volevo, quali erano i miei obiettivi di vita. Per cui decisi di partire, lavorare altrove, vedere posti e cose nuove, per capire e vedere come avrei potuto affrontare la vita in un contesto diverso.
Partii subito dopo un paio di mesi, destinazione TRENTINO ALDO ADIGE.
Ero affascinato oltre che dal posto, dal modo di essere della gente, così diversa dalla mia realtà quotidiana, così troppo spesso bigotta e ipocrita, piena di machismo e moralità. Qui infatti la gente non solo era calorosa, come i miei conterranei, ma a differenza loro mi guardavano come uno dei tanti. Sì avevano intuito che ero gay, ma non gliene fregava nulla, come se ne avessero visti di tutti i tipi e io ero solo una goccia in un mare variopinto e tempestato di sfumature, in cui io ero solo una di queste, con delle caratteristiche uniche.
Dopo neanche un giorno, fui avvicinato per strada da due individui,che molto carinamente mi fecero i loro complimenti (nella mia Palermo di 10 anni fa una cosa del genere era impensabile),dicendomi che ero molto carino e se mi andava di bere qualcosa con loro. Il giorno successivo mi avvicinò un altro ragazzo proponendomi un gelato. I giorni trascorsero tranquillamente e dopo 10 giorni in quel posto scoprii cosa voleva dire la frase “avere le farfalle allo stomaco”.
Ero in un paese di confine, in uno di quei paesi di montagna alpini con le casette tutte in legno e i fiori su ogni davanzale, lavoravo in un hotel e la sera dopo il lavoro con i colleghi si usciva sempre a prendere un gelato o a bere qualcosa. Proprio lì, al miglior bar turistico del luogo, in cui la famosa Coppa Melba era la piu succulente fra le delizie, lì dove i tavolini stavano sul prato del bar attorniati da altri bar simili, lì fu dove, per la prima volta, capii che uno sguardo che ti penetra gli occhi vuol dirti che sei anche tu parte di quel mondo a cui fino ad oggi hai tentato di sfuggire.
Prendiamo tutti posto a uno dei tavolini e di fronte a me vedo uno splendido ragazzo, più grande di me, sia di stazza che di eta’, sarà stato sull’1,86, biondo, occhi azzurro intenso, che mi guardano fisso, mentre con le mani usa il cucchiaino per prendere il gelato dalla sua coppa. Ha un età che si aggira tra i 30 e i 40 e mi guarda, mi mette in tremendo imbarazzo, divento paonazzo, ho solo 21 anni e sono inesperto e davvero piccolo.
Balbetto qualcosa ai colleghi, avvertendoli che vado un attimo al bagno; lo sconosciuto mi continua a guardare fisso, io farfuglio qualcosa a una mia amica/collega che mi chiede se sto bene, non le dò corda e mi dirigo in bagno, sperando che lui mi segua perchè nessuno sa di me. Non voglio che qualcuno sappia di me, ma non voglio nemmeno perdere quello sguardo che mi brucia il viso.
Attendo nel disimpegno del bagno una 30ina di secondi. Non arriva nessuno. Frastornato decido di tornare al tavolo, pensando di essermi sbagliato, ma quando apro la porta lui entra ed è davanti a me e mi rifissa intensamente, mi sorride e io divento di nuovo bordeaux e tento di parlargli, ma mi dice che parla solo inglese. A quel punto col mio inglese stentato e balbettante cerco di dirgli che sto con i miei colleghi, ma che non sanno di me e che quindi gli avrei dato il num… mi afferra il viso e mi bacia appassionatamente facendomi mancare il respiro. La terra ruota vertiginosamente attorno a me.
Bacio dolce, appassionato, tenero, generoso, si sta per staccare, guardandomi dritto negli occhi, ma stavolta sono io che mi isso sulle punte dei piedi lo riporto a me, aggrapandomi ai suoi fianchi e lo bacio. Ho il cuore a 1000 e lui ricambia dolcemente mi accarezza il viso, mi scruta negli occhi, continuando a darmi piccoli baci. Sono sconvolto e senza forze. È la prima volta per tutto tutto. Rincoglionito gli dico in inglese che purtroppo devo scappare, ma che gli lascio il numero di telefono e ci saremmo visti l’indomani sera, se per lui era ok… e lo era.
L’indomani al lavoro ero totalmente inebetito, mi parlavano ma non c’ero, qualsiasi cosa facevo, pensavo a LUI, non sono riuscito a far colazione né a pranzare. Lo stomaco chiuso, solo un tintinnio in testa, l’orologio e in mente un orario, le 23,30, l’ora dell’appuntamento.
La mia collega in cucina, dove lavoravamo, mi chiede se andasse tutto bene. Io non la ascolto, mi richiama ancora, non la sento, mi strattona, la sento per forza e mi chiede: “ma stai bene?”. E io: “Certo, Cecilia, perchè?”. E lei: “Boh, sei strano,sei nel tuo mondo. Non ti ho mai visto così, che ti succede? Mi stai facendo preoccupare. Non hai toccato cibo!”. Io: “no tranquilla non avevo fame.”. Lei: “sei tutto rosso,perchè?”…
(attimo di silenzio)… ODDIO SEI INNAMORATO!!! Io: “ehm … no ti sbagli. E lei: “si si hai gli occhi a cuoricino, oddio!!!”.
MI HA SGAMATO!!!
Ore 22.00. Scappo da lavoro, ai colleghi dico che devo fare delle cose a casa, ma in realtà scappo alla gelateria della favolosa Coppa Melba (Cecilia è l’unica che adesso sa). Prendo un gelato alla nocciola per ingannare il tempo, il tempo passa, il mio cucchiaino affonda nel gelato, ma non riesco mai a mangiarlo, si squaglia e a un certo punto alzo gli occhi e lo vedo davanti a me che si avvicina,vestito tutto in jeans, anche il giacchetto di jeans. È davvero un figo spaziale, sembra un modello e io torno ad avere lo stomaco bloccato… le farfalle!!
Mi guarda e capisce che sono in fibrillazione, tremo e quindi mi chiede se mi va di andare via. Facciamo un giro per il paese e fa ciò che non mi sarei mai aspettato ne di subire né di contraccambiare: mi bacia in piazza, davanti al mondo intero.
Poca gente per la via, ma comunque in pieno centro lui che mi bacia e io, rosso come un peperone, cerco di protestare. Lui ridacchia e mi ribacia zittendomi. È dolce come sempre e io ormai ho ceduto e sì ormai lo so: sono gay e felice, l’ho accettato adesso, sono in piazza davanti alla gente, lo bacio e sono tanto felice.
Notte stupenda, soprattutto il prosieguo, giorni successivi stupendi e stupendo il mio primo coming out, tra una Coppa Melba, una spazzata in cucina e una piazza da cartolina.
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